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La legge di conversione 21 settembre 2022, n. 142 (in G.U. serie generale n. 221 del 21 settembre 2022) del decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115, recante misure urgenti in materia di energia, emergenza idrica, politiche sociali e industriali, ha inserito dopo l’articolo 21 il seguente: «Art. 21-bis. – (Modifiche al limite di impignorabilità delle pensioni) – 1. Il settimo comma dell’articolo 545 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente: “Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell’assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto e dal quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge».

La modifica consegue all’approvazione dell’emendamento 21.0.2. presentato dai Senatori Gallicchio, Vanin, Croatti, Naturale nel corso dei lavori della Commissioni 5° e 6° riunite. Va segnalato che, come risulta dal resoconto stenografico della seduta di Aula n. 464 del 13 settembre 2022, il relatore del disegno di legge, il Senatore Pesco, ha affermato che la sostituzione del testo del settimo comma dell’art. 545 c.p.c. costituisce «un gesto di umanità verso le persone che hanno pensioni veramente irrisorie, che adesso potranno godere di un limite all’impignorabilità un po’ più alto (da 750 euro a 1.000 euro), e a favore dei loro bisogni, perché veramente non hanno le risorse con cui arrivare alla fine del mese», così ringraziando tutti i colleghi.

Il precedente testo del settimo comma dell’art. 545 c.p.c. prevedeva come limite l’ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale aumentato della metà. Tale disposizione è entrata in vigore il 27 giugno 2015 ed è stata introdotta dall’art. 13, comma 1, lettera l), D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni dalla L. 6 agosto 2015, n. 132.

Dunque, le novità si pongonosu due piani: per un verso, è stato rivisto al rialzo il limite alla pignorabilità delle pensioni collegato all’ammontare dell’assegno sociale che, invece, di essere pari alla misura massima mensile dell’assegno sociale aumentato della metà è oggi corrispondente al doppio della misura massima mensile dell’assegno sociale e, per altro verso, è stato previsto il limite minimo di € 1000,00.

Si evidenzia che l’importo dell’assegno sociale, nella sua misura piena, per il 2022 è di 468,28 euro per 13 mensilità. Infatti, con la Circolare n. 33 del 28 febbraio 2022, l’Inps ha rideterminato l’importo dell’assegno sociale in euro 6.085,43. Sul punto corre l’obbligo di rammentare che la sentenza n. 400 del 1999 ha qualificato l’assegno sociale come «nuova prestazione assistenziale prevista dall’ordinamento per coloro che versano in situazione di indigenza» in sostituzione della pensione sociale; si tratta dunque di una prestazione economica, erogata a domanda, in favore di cittadini che si trovano in condizioni economiche particolarmente disagiate con redditi non superiori alle soglie previste annualmente dalla legge.

L’innalzamento del limite minimo di pignorabilità risponde a una chiara esigenza sociale di stretta derivazione costituzionale ed eurounitaria; essa èvolta ad assicurare lo svolgimento delle minime necessità di vita, costituendo il limite in parola il parametro per la quantificazione della parte di pensione necessaria in base all’art. 38, comma 2, Cost. per assicurare ai lavoratori mezzi adeguati alle esigenze di vita. Si tratta di una ratio meritevole di ampia considerazione specie dopo l’entrata in vigore della Carta sociale europea 12/12/2007 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE), pubblicata nella G.U.U.E. 14 dicembre 2007, n. C 303, il cui art. 34, terzo comma, stabilisce che «[a]l fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà, l’Unione riconosce e rispetta il diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa volte a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti». Peraltro, la disposizione presenta una stringente attualità in tempi caratterizzati dall’evolversi di un fenomeno inflazionistico di elevata entità e dal conseguente manifestarsi di una sensibile perdita del potere di acquisto, perfino in relazione a beni di prima necessità, dei trattamenti pensionistici in conseguenza della loro mancata rivalutazione secondo il reale andamento dei prezzi.

Da tale punto di vista essa svela pienamente lo scopo di tutelare il fondamentale diritto del pensionato di veder garantiti i mezzi adeguati alle esigenze di vita attraverso la fruizione del vitalizio di cui è titolare (Cass. 9 ottobre 2012, n. 17178), onde assicurargli i mezzi adeguati alle esigenze di vita costituzionalmente garantite (tra le varie, sentenze Corte cost. n. 468/2002 e Corte cost. n. 160/1974).

Non è inutile ricordare che sulla garanzia del minimo vitale, a giustificazione della compressione del diritto di rivalsa dei creditori sulla pensione in proporzione all’entità funzionale ad assicurare il rispetto del disposto costituzionale, si sono susseguiti molteplici e significativi interventi della Corte costituzionale (fra le tante, Corte cost. n. 183/2009; Corte cost. n. 256/2006; Corte cost. n. 444/2005; Corte cost. n. 506/2002 e Corte cost. n. 468/2002 e Corte cost. n. 55/1991; Corte cost. n. 315/1999 e Corte cost. n. 447/1994) che hanno portato, fra l’altro, alla dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme che ponevano un assoluto divieto alla pignorabilità delle pensioni erogate dall’Istituto nazionale della previdenza sociale, il R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 128, nella parte in cui dichiarava non pignorabili per intero le pensioni erogate dall’Inps invece di considerarle impignorabili nella sola parte necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati per sopperire alle sue esigenze di vita e, per la parte residua, nei limiti del quinto. Pertanto, nell’inerzia del legislatore, la giurisprudenza di legittimità ha contribuito a superare l’incerta determinazione del minimo vitale da garantire ai pensionati, riconoscendo che spettasse al giudice dell’esecuzione il compito di individuare l’importo maggiormente adeguato a soddisfare esigenza di assicurare, comunque, al pensionato sufficienti e adeguati mezzi di vita (cfr., fra le altre, Cass. 26 agosto 2014, n. 18225).

Quanto al regime intertemporale, atteso che, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 545 c.p.c., il pignoramento eseguito in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti da detto articolo è parzialmente inefficace e che tale inefficacia è rilevata ex officio dal giudice, la disposizione di cui al novellato comma settimo dell’art. 545, in forza del principio tempus regit actum, comporta che il giudice dell’esecuzione può, anzi deve, dichiarare l’impignorabilità delle somme nei suddetti limiti sino all’emissione del provvedimento di assegnazione, senza che rilevi la data di inizio del pignoramento da determinarsi alla luce del disposto di cui all’art. 491 c.p.c. Allora, entro il discrimine temporale dell’emissione dell’ordinanza di assegnazione è prospettabile anche l’esperimento di un’azione ex art. 615 c.p.c. volta appunto a far valere il limite di pignorabilità dei trattamenti pensionistici. È chiaro che l’ordinanza di assegnazione emessa successivamente alla data di entrata in vigore della novella (22 settembre 2022, giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della legge di conversione) in violazione dei detti limiti è impugnabile nei modi consueti.

Resta ovviamente pienamente applicabile l’ottavo comma dell’art. 545 c.p.c., aggiunto dall’art. 13, lett. l) del D.L. 27 giugno 2015, n. 83 (recante: “Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria”), convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 132, secondo cui: «[l]e somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge».

Quest’ultima disposizione consegue al monito contenuto nella sentenza n. 85 del 2015 della Corte costituzionale, ove si legge: «[p]ur disponendo di ampia discrezionalità nella scelta del tipo di tutela delle condizioni minime di sostentamento del pensionato tra le molteplici ipotizzabili, il legislatore ha determinato una situazione che pregiudica la fruizione di un diritto sociale incomprimibile quando i mezzi destinati a tal fine per la semplice confluenza nel conto corrente bancario o postale, perdono il carattere di indisponibilità in relazione a misure cautelari ed espropriative.

È specificamente sotto tale profilo di incompletezza del sistema di tutela del pensionato che l’attuale situazione normativa risulta incompatibile con il precetto contenuto nell’art. 38, secondo comma, Cost.

Il vulnus riscontrato e la necessità che l’ordinamento si doti di un rimedio effettivo per assicurare condizioni di vita minime al pensionato, se non inficiano – per le ragioni già esposte – la ritenuta inammissibilità delle questioni e se non pregiudicano la «priorità di valutazione da parte del legislatore sulla congruità dei mezzi per raggiungere un fine costituzionalmente necessario» (sentenza n. 23 del 2013), impongono tuttavia di sottolineare la necessità che lo stesso legislatore dia tempestiva soluzione al problema individuato nella presente pronuncia».

Con riguardo al regime transitorio del cennato ottavo comma merita menzione la sentenza n. 12 del 2019 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 Cost. rilevandone l’irragionevolezza, dell’art. 23, comma 6, D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 6 agosto 2015, n. 132, nella parte in cui prevedeva che la pignorabilità relativa, ossia per la sola eccedenza dalla parte necessaria ad assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita del pensionato, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, delle somme dovute a titolo di prestazioni pensionistiche, si applicasse esclusivamente alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del predetto D.L. (27 giugno 2015), anziché a tutte le procedure pendenti alla medesima data, poiché il diverso regime temporale previsto per le procedure pendenti alla data di entrata in vigore del D.L. n. 83/2015.

Come chiarisce in dottrina Annamaria Soldi, l’art. 545 c.p.c., riguardo agli accrediti intervenuti a partire dalla data del pignoramento o successivamente a essa, pone a carico del terzo pignorato l’onere, finora gravante solo sui datori di lavoro e sugli enti previdenziali, di circoscrivere il vincolo del pignoramento ai limiti previsti dai commi 3, 4, 5 e 7 dell’articolo 545 ovvero dalle altre speciali disposizioni di legge. Quindi, detta dottrina precisa che se l’accredito sul conto corrente del debitore è eseguito per somme versate a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, il terzo pignorato (e, cioè, l’istituto bancario o postale presso il quale è acceso il conto corrente dell’esecutato) non può “vincolare” a beneficio dei creditori un importo superiore a quello corrispondente alla quota degli emolumenti retributivi o pensionistici che sarebbe stata pignorabile “alla fonte” (e, cioè, presso l’ente erogatore) ai sensi delle citate disposizioni di legge. Invece, nel caso in cui gli accrediti siano già confluiti alla data del pignoramento sul conto corrente del debitore, si verifica la confusione con tutti i restanti beni dell’esecutato. Nondimeno, nell’esigenza di evitare il concretarsi di effetti iniqui e, quindi, di preservare lo svolgimento delle attività primarie del soggetto che subisce l’espropriazione, si sottraggono all’espropriazione forzata le sole somme confluite sul conto corrente dell’esecutato, a titolo di retribuzione o pensione, in una misura minima predefinita, pari al triplo dell’assegno sociale, evidentemente individuato come parametro atto ad assicurare il raggiungimento del divisato orizzonte teleologico a chiara impronta sociale fino alla maturazione dei ratei successivi.

Per altro verso, i limiti di impignorabilità delle somme spettanti a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a titolo di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengano luogo di pensione o di assegno di quiescenza, previsti dall’art. 545 c.p.c. rilevano anche in sede penale, posto che si applicano anche alla confisca per equivalente ed al sequestro ad essa finalizzato, come hanno stabilito le Sezioni Unite penali n. 26252 del 24 febbraio 2022.

Le Sezioni Unite in tale arresto si sono poste in linea di continuità con le Sezioni Unite civili e con le Sezioni semplici penali (Cass. 18 gennaio 2021 n. 14250, Marconi) secondo cui i limiti di pignorabilità previsti dall’art. 545 c.p.c. non si applicano agli emolumenti percepiti dall’amministratore di una società di capitali, in quanto l’amministratore unico o il consigliere di amministrazione di una s.p.a. sono legati alla stessa da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non può essere compreso in quelli previsti dal n. 3 dell’art. 409 c.p.c., sicché i compensi ad essi spettanti per le funzioni svolte in ambito societario sono pignorabili appunto senza i limiti previsti dall’art. 545, comma 4, c.p.c. (Cass. sez. Unite civ., 20 gennaio 2017, n. 1545).

Riferimenti normativi:

Art. 545 c.p.c.

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