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Il dibattito sul suicidio assistito in Italia è un tema portante di questi primi giorni del 2024.
Ieri, 16 gennaio, dopo 6 ore di confronto, il Consiglio regionale del Veneto ha approvato il rinvio in commissione della proposta di legge regionale Liberi Subito, che punta a regolamentare il ricorso al suicidio assistito nella regione. Il che equivale, quasi, a una bocciatura.

La proposta, elaborata e promossa dall’Associazione Luca Coscioni, non è diventata legge per un solo voto: un consigliere assente, 22 i contrari, 3 astensioni che equivalevano ad altrettanti no, 25 voti a favore. Non è scattata la maggioranza richiesta di 26 consensi.

Che cos’è il suicidio assistito

Il suicidio assistito è una pratica che consiste nell’aiutare un paziente a procurarsi la morte con un farmaco letale. Il paziente deve essere in grado di somministrarsi il farmaco autonomamente e volontariamente, senza l’intervento diretto di un’altra persona.

Il suicidio assistito è diverso dall’eutanasia in cui è un medico a somministrare il farmaco o a sospendere le cure che mantengono in vita il paziente. Nel suicidio assistito, invece, è il paziente che si autosomministra il farmaco “assistito” da un medico o da un’altra figura che procura il farmaco stesso.

Come funziona il suicidio assistito in Italia

In Italia, non esiste una legge sul suicidio assistito, ma sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza “Cappato\Antoniani” del 2019, un provvedimento spartiacque in materia.

La Consulta ha deciso che non è punibile chi aiuta una persona a suicidarsi, purché la persona che chiede di poter porre fine alla sua vita:

– sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, come la ventilazione meccanica o la nutrizione artificiale;

–  sia affetta da una patologia irreversibile, che non lascia alcuna speranza di guarigione o di miglioramento;

– soffra in modo intollerabile, sia fisicamente che psicologicamente, a causa della sua malattia;

– abbia espresso il suo proposito di suicidio in modo autonomo e liberamente formatosi, dopo aver ricevuto tutte le informazioni necessarie sulle sue condizioni di salute, sulle cure palliative disponibili e sulle modalità del suicidio assistito;

– sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, senza subire pressioni o influenze da parte di altri.

Anche la persone che assiste il suicidio deve rispettare delle condizioni.

Questi sono gli unici punti fissi dell’ordinamento italiano in tema di suicidio assistito. Negli ultimi anni, tuttavia, in Italia si sono verificati diversi casi che rientrano nell’ambito e riempiono il dibattito su un tema sempre più sentito; a volte anche tra le istituzioni.

Il requisito dell’autosomministrazione

L’elemento discriminante per parlare di suicidio assistito è l’autosomministrazione del farmaco.

Il paziente, quindi, deve essere in grado di assumere autonomamente il farmaco letale, senza l’intervento diretto di un’altra persona. Tuttavia, ci sono alcune eccezioni per le persone che non si possono muovere, ma che hanno comunque la capacità di discernimento e la volontà di porre fine alla propria vita. In questi casi, il farmaco può essere somministrato con l’ausilio di dispositivi meccanici o elettronici, come pompe, siringhe o cannule, che il paziente può attivare con un gesto minimo, come un soffio, una pressione o un clic.

L’importante è che l’ultimo atto, quello decisivo per la somministrazione del farmaco, non sia svolto da un’altra persona rispetto al paziente.

In questo modo l’autosomministrazione del farmaco è una garanzia della volontà libera e consapevole, priva di pressioni o influenze da parte di terzi. L’autosomministrazione del farmaco è ciò che distingue il suicidio assistito dall’eutanasia, che consiste nell’uccidere direttamente una persona sofferente e in Italia è a tutti gli effetti un reato.

Le diverse tipologie di suicidio assistito

Specificata la grande differenza con l’eutanasia, va evidenziato che si può verificare un:

suicidio assistito medico: quando un medico prescrive o fornisce un farmaco letale al paziente, che lo assume autonomamente;

suicidio assistito non medico: quando una persona diversa dal medico (come un familiare, un amico o un volontario) aiuta il paziente a procurarsi il farmaco letale.

Questa differenza, all’apparenza di poco conto, è stata ed è molto importante per discernere i diversi casi avvenuti e capire come si sta evolvendo la questione nella penisola.

A novembre il primo caso si suicidio assistito dal Ssn in Italia

Meno di due mesi prima del voto in Veneto, si è verificato il primo caso di suicidio assistito con l’assistenza del Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) in Italia. Anna, nome di fantasia, moriva in casa il 28 novembre 2023, a Trieste. Si trattava di una donna di 55 anni, affetta da sclerosi multipla, che si è auto somministrata un farmaco letale fornito dall’ente pubblico dopo aver ottenuto il permesso da un giudice e il parere del comitato etico.

Per la prima volta in Italia, la persona che ha scelto di porre fine alla propria vita ha ricevuto dal Sistema Sanitario Nazionale un completo supporto psicologico e medico.

L’evoluzione negli ultimi anni

In assenza di una legge sul tema, i precedenti, non solo giuridici, ma anche fattuali sono un elemento fondamentale per indirizzare il dibattito e le misure normative sul suicidio assistito.

Oltre al caso di “Anna”, l’Associazione Luca Coscioni ha verificato altri due casi di suicidio assistito in Italia nel 2023:

– Gloria, una donna di 50 anni, affetta da un tumore incurabile, che ha ottenuto il via libera dal tribunale di Firenze per accedere al suicidio assistito in Italia. L’azienda sanitaria locale, però, non le ha fornito il farmaco letale, e Gloria ha dovuto ricorrere all’aiuto del medico Mario Riccio, consigliere generale dell’associazione Luca Coscioni, che le ha somministrato il farmaco a domicilio e si è autodenunciato;

– Un uomo di Piombino ha ottenuto l’aiuto alla morte volontaria in applicazione della sentenza della Corte Costituzionale 2019. L’associazione non ha altre informazioni perché non era in contatto con la persona coinvolta.

Nel 2022, un caso emblematico è stato quello di “Antonio”, paziente marchigiano tetraplegico dal 2014, un uomo di 44 anni, tetraplegico da otto anni a seguito di un incidente che aveva chiesto di poter ricorrere al suicidio assistito nel settembre 2020.
Dopo aver ricevuto il rifiuto dell’Azienda Sanitaria Unica Regione Marche, si era rivolto al governo e al tribunale di Ancona, che gli aveva riconosciuto il diritto di accedere al suicidio assistito. Tuttavia, il percorso si era bloccato per la mancanza di indicazioni sul farmaco e sulle modalità di autosomministrazione. Solo a luglio 2022, l’Azienda sanitaria marchigiana ha rimediato al vuoto informativo confermando che l’uomo possedeva tutte le condizioni stabilite dalla Consulta, ma non aveva ricevuto le informazioni richieste sul farmaco.

Prima di lui, “ Mario” Carboni, come si faceva chiamare prima di rendere noto il proprio vero nome, Federico, è stato il primo autorizzato dal Ssn alla procedura e deceduto il 16 giugno 2022 scorso a Senigallia (Ancona) in seguito alla autosomministrazione di Tiopentone sodico.

Altri casi di eutanasia e suicidio assistito

Piergiorgio Welby, era un attivista per il diritto alla morte dignitosa, affetto da distrofia muscolare, che nel 2006 ottenne la sospensione della ventilazione meccanica che lo teneva in vita. Si trattò di un caso di eutanasia passiva, autorizzato dal tribunale di Roma, che sollevò un forte dibattito etico, giuridico e politico;

Eluana Englaro, era una donna in stato vegetativo permanente dal 1992, a seguito di un incidente stradale. Nel 2009, dopo una lunga battaglia legale, ottenne la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale che la mantenevano in vita. Anche in questo caso, si trattò di un caso di eutanasia passiva, che il governo provò ad impedire con un decreto legge poi dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale;

Dj Fabo, nome d’arte di Fabiano Antoniani, un dj e produttore musicale rimasto cieco e tetraplegico a seguito di un incidente stradale nel 2014. Nel 2017, si recò in Svizzera per accedere al suicidio assistito, accompagnato dal politico Marco Cappato, esponente di riferimento dell’Associazione Luca Coscioni. Da questo caso e dall’incriminazione di Marco Cappato per aver assistito Antoniani nel porre fine alla sua vita, è nata la sentenza Cappato/Antoniani del 2019.

Mina Welby, moglie di Piergiorgio Welby, era affetta da una grave forma di sclerosi laterale amiotrofica, che le impediva di muoversi e di parlare. Nel 2020, ottenne il permesso di accedere al suicidio assistito in Italia, dopo aver presentato una richiesta al tribunale di Roma. Fu il primo caso di suicidio assistito autorizzato da un giudice in Italia. Mina Welby morì il 19 ottobre 2020, assistita da un medico volontario.

Come funziona il suicidio assistito in Svizzera

Negli anni, diversi italiani, soprattutto prima della sentenza 2019, hanno deciso di porre fine alle proprie sofferenze in Svizzera, dove è possibile ricorrere sia al suicidio assistito che all’eutanasia, in presenza di determinate condizioni.

Le norme vigenti in Svizzera sul suicidio assistito sono basate sull’articolo 115 del codice penale, che stabilisce che chi aiuta una persona a suicidarsi non è punibile se agisce per motivi altruistici e non per interesse personale.

Tuttavia, il codice penale non regola i dettagli del suicidio assistito, come il tipo di farmaco, la modalità di somministrazione, il ruolo del medico, il consenso informato, il controllo della capacità di discernimento e la documentazione del caso. Questi aspetti sono lasciati alla discrezione delle organizzazioni di suicidio assistito, che si basano su linee guida etiche e deontologiche, e alla giurisprudenza dei tribunali, che valutano caso per caso la legittimità dell’assistenza al suicidio.

Il ruolo delle cure palliative

Un ruolo fondamentale nel dibattito è svolto dalle cure palliative, ovvero l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare e finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti.

Gran parte degli oppositori a una legge sul suicidio assistito sottolinea il ruolo fondamentale di queste cure nel prevenire e alleviare le sofferenze fisiche, psicologiche, sociali e spirituali dei pazienti e delle loro famiglie.
L’elemento sottolineato da questa corrente è come le cure palliative possano persino influire sulle richieste di suicidio assistito, in quanto possono ridurre il senso di disperazione, solitudine, abbandono e perdita di controllo che spesso accompagnano le malattie terminali. Tuttavia, le cure palliative non sono sempre sufficienti a soddisfare le esigenze e le aspettative di alcuni pazienti, che possono ritenere che la loro vita non abbia più senso o valore, o che il loro dolore sia intollerabile, e che quindi preferiscono porre fine alla loro esistenza con l’aiuto di un medico.

Il dibattito si divide tra chi sostiene il diritto alla libertà e all’autodeterminazione della persona, anche nella scelta di morire, e chi invece difende il valore inviolabile della vita umana, anche quando è segnata dalla sofferenza e dalla malattia. In entrambi i casi, le cure palliative sono riconosciute come un servizio essenziale e una priorità strategica nel panorama medico.

Le dichiarazioni dei politici dopo il voto in Veneto

Diversi esponenti politici si sono espressi sulla bocciatura della legge sul suicidio assistito in Veneto. Il Ministro e leader legista Salvini ha detto: “Sono contrario al suicidio assistito e avrei votato ‘no’ se fossi stato in Consiglio regionale. La Lega non è una caserma e c’è libertà di pensiero, ma sono contento che sia finita così”. Di tutt’altro parere il collega di partito e governatore veneto Luca Zaia, tra i principali sostenitori della proposta di legge: “Chi ha votato contro ha negato l’evidenza. Il suicidio assistito è già un diritto garantito dalla sentenza della Consulta. La legge non autorizzava il fine vita, ma stabiliva solo i tempi di risposta alle istanze dei pazienti. Spero che il Parlamento nazionale affronti il tema con una legge di civiltà”.

L’associazione Luca Coscioni ha espresso rammarico per l’esito della votazione. Va ricordato, tuttavia, che per la prima volta una regione italiana è stata vicina ad approvare una legge sul suicidio italiano, che è stata rinviata per un solo voto. Anche le istituzioni, dunque, sembrano muoversi in linea con i più recenti fatti di cronaca e l’invito di Luca Zaia potrebbero non cadere nel vuoto.

 

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