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Un collega con una passata esperienza di lavoro nel privato ci chiede chiarimenti in relazione alle procedure da attivare per ottenere la contabilizzazione dei contributi previdenziali non versati all’epoca dal datore di lavoro privato. Il lavoratore conserva il diritto a pensione anche qualora il datore di lavoro non versi i contributi dovuti. A ribadire questo importante principio è stata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2164/2021. Entrando nel dettaglio del principio di automaticità delle prestazioni, l’art. 2116 c.c., comma 1 prevede che le prestazioni indicate nell’art. 2114 sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali o delle norme corporative. Il principio scatta solo nel caso in cui i contributi non siano prescritti (la prescrizione, lo ricordiamo, in questo caso è quinquennale), ai sensi dell’art. 40 della l. 30 aprile 1969, n. 153. Tra l’altro, l’art. 3 della legge 8 agosto 1995, n.335, sancisce la cosiddetta irricevibilità dei contributi prescritti, ovvero l’impossibilità di versare anche solo volontariamente i contributi all’INPS al fine di poter maturare il diritto a pensione.

La sentenza della Corte di Cassazione 2164/2021 riguardava un ricorso su un caso di accredito di contributi omessi dal datore di lavoro, dopo che la sentenza di primo grado aveva rigettato la domanda proposta dalla lavoratrice stessa. In queste ipotesi si delineano due diverse situazioni:

• in caso di contributi non versati e non prescritti, il lavoratore non è legittimato ad agire nei confronti dell’Istituto previdenziale per accertare l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, né può chiedere di sostituirsi al datore di lavoro nel pagamento dei contributi. Può solo comunicare tale situazione all’INPS in modo che si attivi ai fini del recupero, e procedere in giudizio contro il datore di lavoro;

• se è intervenuta la prescrizione quinquennale non può essere richiesta all’INPS la regolarizzazione della posizione assicurativa, ma l’ordinamento tutela comunque il lavoratore con l’istituto della rendita vitalizia. Il lavoratore può inoltre agire comunque contro il datore di lavoro per il risarcimento del danno “poiché tale situazione determina l’attualizzarsi per il lavoratore del danno patrimoniale risarcibile, consistente nella perdita totale del trattamento pensionistico ovvero nella percezione di un trattamento inferiore a quello altrimenti spettante (Cass. n. 3790 del 1988; n. 27660 del 2018)”

Il caso di prescrizione, secondo il principio di automaticità delle prestazioni previsto dal Codice civile all’art. 2116, comma 1, ribadito dalla Costituzione all’art. 38, comma 2, che sancisce il diritto dei lavoratori alla tutela previdenziale il lavoratore può ottenere la costituzione di una rendita vitalizia. Al riguardo, l’articolo 13 della l. 12 agosto 1926, n. 1138, prevede che, ferme restando le disposizioni penali, il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione ai sensi dell’articolo 55 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, può chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire, nei casi previsti dal successivo quarto comma, una rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria, che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi. La facoltà di richiedere la costituzione della rendita vitalizia spetta innanzi tutto al datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione e, in secondo luogo, al lavoratore, in sostituzione del datore di lavoro, quando non possa ottenere da quest’ultimo la costituzione dell’anzidetta rendita.

 

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