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In sede esecutiva non è possibile, in nessun caso, eccepire la compensazione (neanche quella cd. impropria) quando le reciproche pretese derivano dal medesimo titolo esecutivo giudiziale. Ciò infatti vuol dire che esse sono state ritenute autonome o, comunque, non suscettibili di reciproca elisione, in sede di cognizione. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, ordinanza n. 31130 depositata oggi, accogliendo sotto questo profilo il ricorso della società cessionaria del credito e chiarendo che semmai va proposta l’impugnazione della sentenza costituente il titolo esecutivo.

Il titolo posto in esecuzione era costituito da una sentenza emessa all’esito di un giudizio intercorso tra una persona fisica e una S.r.l., sfociato in due distinte condanne reciproche (entrambe esecutive): quella della società per € 79.000,00; quella della persona per circa € 9.000,00. A questo punto la Srl ha ceduto il suo credito (di entità inferiore) a una terza S.r.l., che ha intimato il precetto. La persona fisica intimata ha però eccepito in compensazione (nella opposizione) il maggior credito vantato contro la cedente S.r.l. (sulla base del medesimo titolo). Nelle fasi di merito, sia il tribunale che la Corte di appello gli avevano dato ragione rilevando: a) che «i rispettivi rapporti di debito e credito» nascevano «dal medesimo titolo giudiziale» (compensazione cd. impropria); b) che la compensazione cd. impropria potrebbe operare “senza limiti”; c) che il mancato “giudicato” non impediva la compensazione.

Di diverso avviso la Terza sezione civile secondo la quale va piuttosto valorizzata la circostanza per cui il giudice della cognizione ha (almeno implicitamente) escluso la compensazione, operando due distinte condanne reciproche, invece dell’accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite. Un simile approdo, prosegue, “avrebbe potuto e dovuto essere eventualmente contestato con l’impugnazione della sentenza emessa in sede di cognizione”.

Se, dunque, il giudice della cognizione non dispone la compensazione, pur avendo il potere-dovere di farlo (anche di ufficio), prosegue il ragionamento del Collegio, “ciò necessariamente implica che non ha riconosciuto la sussistenza dei necessari presupposti”. “E laddove la parte intenda contestare tale mancato riconoscimento può e deve impugnare la relativa pronuncia di cognizione, ma non può proporre la questione in sede esecutiva”.

Da qui l’accoglimento del ricorso con l’affermazione del seguente principio di diritto: «non è consentito, in nessun caso, eccepire la compensazione, né propria né cd. impropria, in sede di opposizione all’esecuzione, quando le reciproche pretese delle parti derivano dal medesimo titolo esecutivo giudiziale, che le ha tenute distinte emettendo separate condanne reciproche, perché esse sono state ritenute comunque non suscettibili di reciproca elisione in sede di cognizione».

«È, in tal caso, possibile e necessario – conclude la Cassazione – proporre l’impugnazione della sentenza costituente titolo esecutivo, per ottenere, in sede di cognizione, il riconoscimento della compensazione cd. tecnica ovvero l’accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite, in caso di difetto dei presupposti di quest’ultima, con definitiva condanna, quindi, di una sola delle parti al pagamento della differenza dovuta in favore dell’altra».

 

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