La rimessione indiscriminata a terzi della titolarità gestionale può comprovare l’inosservanza degli obblighi connessi alla posizione di garanzia dell’amministratore di una società a responsabilità limitata tra i quali spiccano quelli di vigilare sulla continuità aziendale e sui fattori di manifestazione della crisi, in vista della conservazione del patrimonio dell’impresa a tutela delle aspettative dei creditori (Cassazione penale, sentenza n. 9885/2024 – testo in calce).
Il fatto
Nel giudizio di merito i due imputati del delitto di bancarotta fraudolenta documentale nelle qualità, rispettivamente, di amministratore di fatto e amministratore unico di una società a responsabilità limitata dichiarata fallita, venivano giudicati responsabili con sentenza confermata in appello.
Ricorrevano entrambi per cassazione contestando l’affermazione di reità.
L’uno assumeva che non fosse sufficiente l’accettazione dell’assunzione della carica di amministratore unico, peraltro in veste di prestanome, ai fini dell’attribuzione del reato di bancarotta fraudolenta documentale in quanto la condotta contestata consisteva nella sottrazione o distruzione della contabilità e sarebbe stato indispensabile provare un comportamento “attivo” dell’amministratore; inoltre, la documentazione contabile non sarebbe mai stata nella sua disponibilità, sicchè il giudizio di responsabilità sarebbe stato fondato su una responsabilità di mera posizione, in difetto dell’indicazione degli indici di fraudolenza a lui riconducibili e degli elementi di prova del dolo specifico, richiesto dalla norma incriminatrice.
L’altro denunciava erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione all’attribuzione della veste di amministratore di fatto della società e dell’individuazione dell’obbligo giuridico a fondamento dell’affermazione di responsabilità, assumendo che solo l’amministratore di diritto sarebbe destinatario del dovere di corretta conservazione della contabilità.
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La sentenza
La Corte ha respinto le doglianze dei ricorrenti offrendo argomentazioni che meritano di essere attenzionate in quanto danno conto dei due diversi criteri di imputazione soggettiva della bancarotta fraudolenta all’amministratore “testa di legno” – a secondo che si tratti di bancarotta patrimoniale o documentale – per come interpretati dalla prevalente giurisprudenza di legittimità e correttamente applicati, secondo la Sezione assegnataria del ricorso, dalla sentenza impugnata
Ed invero, costituisce ricorrente principio ermeneutico quello che equipara la condotta di “occultamento delle scritture contabili” e la condotta di “omessa tenuta” delle stesse, assistite dall’esistenza e dalla prova del dolo specifico, distinguendole nettamente dalla fraudolenta tenuta di tali scritture, che integra una fattispecie autonoma ed alternativa in seno all’art. 216, comma primo, lett. b), L. Fall., connotata dall’elemento soggettivo del dolo generico.
Si ritiene che, in caso di addebito che riguardi le scritture contabili, il soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita, può essere considerato responsabile, perché sullo stesso grava il diretto e personale obbligo di tenere e conservare le suddette scritture e di farlo correttamente.
Stante ciò l’omissione nella doverosa documentazione di attività societarie effettive fa presumere che l’amministratore di diritto sia in difetto rispetto al dovere giuridico che su di lui grava per il periodo di riferimento, vale a dire quello di garantire una corretta e completa rappresentazione contabile delle attività sociali al fine di assicurare la necessaria informazione del ceto creditorio (“in tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto”: Cass. Sez. V, n. 19049 del 19/05/2010, Succi, Rv 247251).
Con riferimento al caso concreto la Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito secondo cui anche la scelta cosciente e volontaria, precipuamente dettata da bisogno economico, previa pattuizione di un compenso mensile ad hoc, di abdicare al proprio ruolo organico ed apicale per rimettere indiscriminatamente la titolarità gestionale a terzi può rappresentare sostrato probatorio sufficiente a comprovare la sussistenza del dolo omissivo di cui all’art. 40 cpv. c.p., in riferimento agli artt. 2475 e 2476 c.c., che stabiliscono che dalla posizione di garanzia dell’amministratore di una società a responsabilità limitata derivino specifici obblighi inerenti l’amministrazione della società, e, primariamente, quelli di vigilanza sulla continuità aziendale e sui fattori di manifestazione della crisi, in vista della conservazione del patrimonio dell’impresa a tutela delle aspettative dei creditori, ai quali sono di tutta evidenza funzionali i doveri di corretta tenuta ed aggiornamento dell’impianto contabile.
La Corte ha pertanto concluso che l’amministratore unico fosse consapevole della posizione di garanzia assunta con l’accettazione della veste di amministratore della società e dell’obbligo di provvedere o almeno di sorvegliare affinché la contabilità dell’impresa fosse regolarmente tenuta, essendo essa finalizzata ad assicurare l’ostensibilità del patrimonio dell’imprenditore, destinato a garantire il soddisfacimento delle ragioni dei creditori.
Anche con riferimento alla posizione dell’amministratore di fatto la Corte ha ribadito la propria giurisprudenza secondo cui l’amministratore “di fatto” della società fallita è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili: l’immissione “in fatto” nell’attività gestoria rappresenta, infatti, la fonte dell’assunzione della posizione di garanzia di cui all’art. 40 cpv. c.p., che può anche coesistere con quella del titolare della carica formale e dalla quale discendono tutti gli oneri connessi alla cura delle scritturazioni contabili, tanto più quando l’imprenditore occulto abbia un ruolo di protagonista assoluto in ogni componente dell’attività di conduzione dell’ente, incluso il settore dell’organizzazione amministrativa.
Sulla scorta di tali argomentazioni la Corte ha respinto i ricorsi e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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