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Il requisito della meritevolezza nel piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore

 

Premessa. Il dato normativo

Va premesso che ai sensi dell’art. 12-bis l. 3/2012, in vigore fino al 24 dicembre 2020, il giudice omologa il piano del consumatore “quando esclude che il consumatore ha assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di  poterle  adempiere ovvero che ha colposamente determinato il  sovraindebitamento,  anche per mezzo di un ricorso al credito  non  proporzionato  alle  proprie capacità patrimoniali”.

Come osservato in dottrina, la legge prevedeva il c.d. ‘triplice test di meritevolezza’, che precludeva l’ammissione del piano quando il consumatore: 1) aveva assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere (criterio della ragionevole prospettiva di adempimento); oppure, 2) aveva colposamente determinato il sovraindebitamento (criterio della colpa); ovvero, 3) aveva fatto ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali (criterio della sproporzione).

Con il d.l. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito, con modificazioni, nella l. 18 dicembre 2020 n. 176, in vigore dal 25 dicembre 2020, l’inciso “quando esclude che il  consumatore  ha  assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva  di  poterle  adempiere ovvero che ha colposamente determinato il  sovraindebitamento,  anche per mezzo di un ricorso al credito  non  proporzionato  alle  proprie capacità patrimoniali” è stato eliminato dal testo dell’art. 12-bis ed è stata inserita una lettera (la d-ter) all’art. 7 della l. 3/2012, in forza della quale la proposta di piano del consumatore è inammissibile quando il debitore “ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode”.

La normativa in vigore fin dal 25 dicembre 2020 è rimasta invariata con l’entrata in vigore del codice della crisi e dell’insolvenza (per la parte che ci interessa il 15 luglio 2022), in cui il piano del consumatore ha assunto la denominazione di “piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore”. Infatti, l’art. 69 ha previsto che “Il consumatore non può accedere alla procedura disciplinata in questa sezione se […] ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode”.

In sintesi, con la novella del 2020 sono stati eliminati i criteri della ragionevole prospettiva di adempimento e della sproporzione, ed è rimasto solo il criterio della colpa, con la sostituzione della colpa (senza alcuna specificazione) con la colpa grave.

L’orientamento della netta discontinuità e quello della continuità

All’indomani dell’entrata in vigore della novella, la giurisprudenza di merito si è da subito dimostrata divisa sull’interpretazione da dare alle nuove disposizioni normative, registrandosi un orientamento che ha sostenuto la tesi della netta discontinuità con la precedente normativa e un altro orientamento che ha inteso la riforma in sostanziale continuità con quanto previsto in precedenza.

Espressione dell’orientamento della sostanziale continuità è ad esempio la pronuncia del Tribunale di Rimini del 6 ottobre 2021, resa in sede di  reclamo, che chiarisce espressamente la permanente operatività delle vecchie regole ermeneutiche, per cui, malgrado l’intervenuta abrogazione dell’art. 12-bis l. 3/2012, “il tribunale ritiene che la nozione di colpa rilevante (ai fini della valutazione di meritevolezza) possa essere ‘riempita’, quanto alla regola cautelare, mediante il riferimento a quella ‘ragionevole prospettiva di adempimento’ che proprio il legislatore, nella disciplina previgente, aveva chiarito essere il fulcro della valutazione di meritevolezza”.

Più di recente si è espresso nello stesso senso il Tribunale di S.M. Capua a Vetere (pronunce del 14 febbraio 2024 e 5 ottobre 2023), per cui “con riferimento alla nozione di colpa grave di cui alla l. 3/2012, il criterio della ‘ragionevole prospettiva di adempimento’, prima presente espressamente nell’ordito normativo, deve ritenersi oggi confluito nella nozione di colpa, essendo destinato a dare contenuto alla regola cautelare sulla base della quale il giudice svolge il giudizio di imputabilità soggettiva”.

In breve, pur dopo l’abrogazione normativa,  parte della giurisprudenza di merito ha continuato a ritenere il piano precluso al consumatore ogniqualvolta avesse contratto debiti in modo sproporzionato al reddito o, comunque, senza la ragionevole prospettiva di poter onorarli, così da rendere ammissibile l’accesso alla procedura in presenza esclusivamente del c.d. ‘shock esogeno’, per cui il sovraindebitato è meritevole solo quando il debito non appare insostenibile al momento del suo sorgere, ma lo diventa in conseguenza del verificarsi di eventi non prevedibili (quali malattie, perdita del posto di lavoro, ecc.), estranei alla sua volontà, successivi alla contrazione dell’obbligazione e tali da pregiudicarne la capacità di rimborso.

Secondo un diverso e alternativo orientamento, invece, la novella si è posta in totale discontinuità con il passato, non si possono più applicare i criteri del triplice test di meritevolezza e si può negare l’omologa solo al consumatore la cui condotta sia particolarmente censurabile.

In tal senso si è espressa la Corte d’Appello di Bologna (decreto del 9 febbraio 2024), secondo la quale è stato perfino eliminato “di fatto” il giudizio di meritevolezza. Afferma la Corte bolognese che “Diversamente dall’art. 12-bis l. 3/2012 nella sua originaria formulazione, l’art. 69 CCII prevede espressamente che il consumatore non possa accedere alla procedura di ristrutturazione dei debiti se ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, con eliminazione, quindi, del requisito della valutazione della colpa genericamente intesa, avendo il legislatore deciso – ai fini dell’ammissione del debitore alle procedure di sovraindebitamento – di non esigere requisiti soggettivi troppo stringenti, in considerazione anche della qualità dei soggetti destinatari del beneficio, che spesso sono privi di un livello culturale idoneo a rendersi conto del loro progressivo indebitamento, eliminando di fatto il giudizio di meritevolezza ed ancorando l’accesso alla valutazione della sussistenza di requisiti puramente negativi ed ostativi: il Giudice non dovrà più valutare, come accadeva prima della riforma, se il debitore abbia effettivamente causato il sovraindebitamento con colpa, ma potrà negare l’omologa del piano solo quando l’indebitamento sia derivato da colpa grave del debitore, dalla sua malafede, o da un suo comportamento fraudolento”.

Nello stesso senso si è espresso il Tribunale di Reggio Calabria (decreto del 25 gennaio 2024), secondo il quale “La formula normativa prevista dall’art. 69 CCII, rappresentata dal non aver determinato la condizione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode, codifica una disciplina più favorevole della precedente, in quanto restringe il campo dei comportamenti rilevanti per escludere l’accesso alla procedura; in sintesi, non si tratta di premiare, in positivo, il consumatore diligente, ‘onesto ma sfortunato’, che ha contratto all’origine un debito oggettivamente proporzionato, ma piuttosto di escludere, in negativo, il consumatore la cui condotta sia particolarmente censurabile, nell’ambito di un giudizio d’insieme che tenga conto di tutti gli elementi della fattispecie concreta, compresi i ‘livelli culturali’, l’estrema varietà delle situazioni di vita che possono determinare situazioni individuali di grave indebitamento, l’eventuale consapevolezza di un debito pure sproporzionato ma contratto per far fronte a esigenze primarie di vita costituzionalmente tutelate (salute, abitazione, lavoro, studio) proprie o degli stretti familiari, l’evolversi nel tempo del progressivo indebitamento (cfr. Corte di Appello di Firenze 8 novembre 2023)”

La Suprema Corte di Cassazione, pur riconoscendo discontinuità alla novella, non ha fornito all’interprete alcuna indicazione ermeneutica per stabilire quando debba ritenersi sussistente la colpa grave, limitandosi ad affermare che “L’art. 12 bis, comma 3, l. n. 3/2012 dettato in tema di requisiti soggettivi nel piano del consumatore, nella versione anteriore alla novella del 2020, prevedeva che il giudice potesse omologare il piano soltanto in presenza del requisito della «meritevolezza», quando potesse escludersi che il consumatore avesse assunto le obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere, ovvero avesse colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali. Nel nuovo assetto, definito dall’art. 4 ter d.l. n. 137/2020, l’art. 12 bis comma 2 non contiene più tale previsione […] L’art. 7 comma 2, lett. d) ter, della l. n. 3/2012 novellato prevede, d’altro canto, che la proposta del piano del consumatore sia inammissibile ove il debitore abbia «determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode»: tale condizione non era prima contemplata. Si comprende, quindi, come i requisiti per il riconoscimento dell’ammissibilità della proposta e la sua omologazione siano mutati” (Cass. I sez., 27 luglio 2023 n. 22890).

Un tentativo di sicuro encomiabile di esemplificare quando si sia in presenza della colpa grave è stato effettuato dal Tribunale di Avellino (Sez. I, decreto del 04/03/2021), che pur ponendosi nel solco tracciato dall’orientamento della discontinuità, non ha escluso l’applicazione di un certo rigore nella valutazione della colpa grave. Secondo il Tribunale di Avellino, infatti, si ha colpa grave nei seguenti casi: – “quando, a passività invariate, il consumatore si sia privato di risorse patrimoniali gratuitamente o a prezzo incongruo a beneficio di terzi ovvero al fine di soddisfare, tanto più se con mezzi anomali, crediti preferenziali, sottraendo dunque incautamente beni su cui la massa dei creditori anteriori aveva fatto affidamento”; – “quando il consumatore, assumendo nuove obbligazioni, senza minimamente considerare l’insostenibilità dell’accresciuta esposizione né ponderare le esigenze poste alla base del ricorso al credito, abbia incautamente reso la garanzia patrimoniale generica insufficiente rispetto alle passività complessivamente assunte”. Ha precisato altresì il Tribunale di Avellino che “le nuove passività non potranno mai dirsi giustificate ove siano volte a procurare all’indebitato o a terzi ingiustificati vantaggi (es. acquisto di beni voluttuari o esecuzione di pagamenti preferenziali) o a consentire all’indebitato la conservazione di condizioni di vita sproporzionate al proprio reddito, dilazionando oltremodo i tempi di soluzione della crisi da sovraindebitamento. Viceversa, secondo il tribunale irpino “è da considerarsi meritevole non solo la condotta del consumatore che contrae il debito per far fronte ad esigenze impreviste e sopravvenute (si pensi ai costi da sostenere per un’improvvisa malattia), ma anche quella del consumatore che, benché già sovraindebitato per situazioni altrettanto involontarie (es. perdita del lavoro), abbia dovuto contrarre ulteriori obbligazioni onde conservare risorse fondamentali alla proprio vita (si pensi a finanziamenti contratti per onorare il mutuo contratto per l’acquisto dell’abitazione), ovvero per far fronte a primarie esigenze di vita personale e familiare”.

Volendo fare un ulteriore sforzo di esemplificazione di casi di colpa grave, secondo l’orientamento della discontinuità il debitore non è in colpa grave “se non ha causato il sovraindebitamento con una particolarmente prava connotazione dell’animo, ma ha solo subito il tasso usurario, o ha dovuto far fronte ai crescenti bisogni familiari o a quale altra necessità della vita”, nonostante abbia contratto un debito sproporzionato, dovendosi “anche indagare sulle ragioni che hanno condotto a quella sproporzione e non certo limitarsi a constatarla numericamente. Aggiungendosi che “dove c’è uno stato di necessità non ci può essere la colpa grave, per lo stesso principio ordinamentale ispiratore dell’esimente di cui all’art. 54 c.p., capace di scriminare un reato, figuriamoci una situazione di semplice debito.

D’altro canto, secondo la tesi della sostanziale continuità, “il reiterato finanziamento nonostante la derivata ed insostenibile sproporzione tra rate da onorare e reddito allo scopo utilizzabile suffraga il vaglio di gravità della colpa del debitore nel determinare il proprio sovraindebitamento” (Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, decreto del 16 aprile 2021) e “si ha colpa grave se il debitore ha assunto il debito quando era irragionevole, avuto riguardo al proprio patrimonio e al proprio reddito, ritenere di poterlo restituire regolarmente; si ha dolo quando l’obbligazione sproporzionata sia stata assunta consapevolmente…”, per cui “…può ben essere richiamata la giurisprudenza formatasi sotto il vigore della vecchia formulazione della norma” (Tribunale di Ferrara, decreto del 7 aprile 2021).

Le ragioni dei due diversi orientamenti

Più in generale, in favore dell’orientamento della netta discontinuità si può affermare che il legislatore è intervenuto alla fine del 2020 proprio per limitare le pronunce di rigetto delle omologhe basate sul vecchio art. 12-bis l. 3/2012 e che occorre favorire il cd. fresh start (nuova partenza) mediante le omologhe dei piani che, se eseguiti, comportano l’esdebitazione del debitore.

D’altra parte, si è osservato nell’ambito di un confronto tra giudici delegati che l’orientamento della discontinuità può comportare il rischio di un’eccessiva e quasi discrezionale libertà di interpretazione, da parte del giudice, delle norme in esame, che potrebbe rispondere ad esigenze di natura socio-politica pur astrattamente (e politicamente o moralmente) meritevoli. La solidarietà, tuttavia, dev’essere espressa innanzitutto dalla collettività, invece gli istituti del sovraindebitamento incidono su rapporti tra privati, creditori e debitori, e costituiscono una grave eccezione al regime, tendenzialmente generale dell’art. 2740 c.c., secondo il quale il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri e le limitazioni di responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge. Questo significa che quegli istituti, anche per la natura di principio di ordine pubblico della responsabilità patrimoniale e per la tutela del principio di affidamento del ceto creditorio, debbono essere interpretati con rigore. I sostenitori della tesi della continuità hanno altresì osservato che il codice della crisi vuole che si analizzi l’eziologia (debitore cheha determinato” la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode) del sovraindebitamento: come nel caso dell’art. 2043 c.c. rispetto al fatto illecito, anche nell’ipotesi del sovraindebitamento occorre accertare la natura colposa o dolosa della condotta. Non appaiono richiami alle intenzioni o motivazioni del debitore, e neppure accenni ad una natura necessariamente ‘prava’ della condotta, perché basta la colpa grave.

Sempre secondo la tesi della sostanziale continuità, è difficile ravvisare nel debitore una tale condizione di inferiorità culturale, da non percepire che, sovraindebitandosi, rischia l’esecuzione coatta e, nella peggiore delle ipotesi, il pignoramento dell’abitazione: è un dato di comune esperienza (senza richiamare le regole sull’ignoranza della legge) che, in caso di inadempimento, il creditore può procedere esecutivamente, anche sull’alloggio. Ancora, si è osservato che anche la disciplina dei pignoramenti tutela, sebbene, ovviamente, in maniera ridotta, rispetto al sovraindebitamento, i debitori: la retribuzione è pignorabile solo entro una certa quota, vi sono beni impignorabili, la casa di abitazione può essere utilizzata sino alla vendita. I maggiori benefici del sovraindebitamento (che conduce, se attuato, alla esdebitazione) richiedono una condizione di maggiore meritevolezza, nel debitore, perché le sue esigenze personali e familiari non possono, per quanto apprezzabilissime, essere trasferite, come costo, ad attori economici che svolgono una funzione imprenditoriale, e non assistenziale, nell’interesse di tutti i cittadini e che potrebbero incorrere in gravi problemi di bilancio a causa di un incremento non controllabile degli ammessi al piano di ristrutturazione dei debiti del sovraindebitato. Infine, si è osservato che se il debitore, ancora non sovraindebitato magari dopo due prestiti, ma al limite delle proprie capacità, potesse assumere un terzo debito, così sovraindebitandosi, per sovvenire ad esigenze personali (per quanto rilevantissime e moralmente o socialmente giustificate), ciò significherebbe che il debitore può, per ragioni proprie, in assenza di fatti nuovi, gravi e obiettivi, contrarre consapevolmente un’obbligazione ragionevolmente impossibile da adempiere, ed accedere alla ristrutturazione: e di questo dovrebbe rispondere (per l’effetto esdebitatorio della disciplina) non già solo il terzo creditore, che gli abbia erogato l’ulteriore credito, ma anche i due precedenti creditori, che abbiano erogato il credito in una situazione di perfetto merito creditizio, senza l’emersione di fatti nuovi, gravi ed obiettivi.

Approfondimento sulla nozione di colpa

Al fine di fornire all’interprete delle indicazioni su come va intesa la meritevolezza del consumatore e in particolare la colpa grave, è utile soffermarsi sulla nozione di colpa.

Come è noto, la definizione di colpa non è contenuta nel codice civile ma all’art. 43 del codice penale, che si esprime in termini di evento che, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. In diritto civile, se vi è una sicura tradizione in relazione alla culpa aquiliana (artt. 2043 e ss. c.c.), non vi è una sicura nozione di colpa nel diritto delle obbligazioni e dei contratti. Nell’adempimento delle obbligazioni, la norma cardine è rappresentata dall’art. 1176 c.c., secondo il quale “Nell’adempimento delle obbligazioni il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”. La diligenza del buon padre di famiglia, da intendersi come “ciò che in una determinata situazione, secondo una retta coscienza sociale, può essere preteso da un ‘buon’ debitore di quel tipo di obbligazione, è stata tradizionalmente collegata alla colpa lieve, nel senso che chi non osserva la diligenza del buon padre di famiglia deve considerarsi in colpa lieve. La diligenza del buon padre di famiglia non tiene conto dello sforzo, dell’impegno e della cura che il singolo debitore, in concreto, è in grado di assicurare, avuto riguardo alle sue capacità e alle circostanze del caso, ma allo sforzo e all’impegno che è ragionevole attendersi da quell’astratto debitore che orienti la propria azione secondo il modello del “buon padre di famiglia”. Ciò perché vi è l’esigenza che ciascun soggetto, nell’attuale mondo dei rapporti di scambio, in cui è estremamente difficile tener conto delle concrete condizioni in cui possa venirsi a trovare un determinato debitore, possa fare affidamento sul fatto che ogni debitore impegnerà, nell’adempimento dell’obbligo, uno sforzo corrispondente ad un certo standard in relazione al tipo di rapporto.

Chi invece non osserva la cd. nimia diligentia, identificata nel non intelligere quod omnes intelligunt, è da considerarsi in colpa grave (culpa lata). In altre parole, si ha colpa grave in ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza, quella del cd. quidam de populo, dell’uomo qualunque, senza alcuna prerogativa o qualità specifica. È invece da considerarsi tramontata la figura della colpa cd. levissima, che aveva riguardo alla diligenza della persona scrupolosissima.

Passando all’esame della disposizione in commento (art. 69 co. 1 c.c.i.i.: “Il consumatore non può accedere alla procedura disciplinata in questa sezione se […] ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode”), mentre è da considerarsi in colpa grave il debitore che abbia determinato il sovraindebitamento violando quel minimo grado di diligenza richiesto all’uomo qualunque, senza alcuna prerogativa o qualità specifica, che non può non rendersi conto che, adottando quel comportamento, non sarebbe stato più in grado di adempiere, la mala fede è assimilabile al dolo e si ha quando il soggetto, pur prevedendo come certo il mancato soddisfacimento dell’interesse creditorio, abbia comunque deciso di tenere quel comportamento che abbia portato a tale mancato soddisfacimento. La frode, invece, è predicabile quando si sia in presenza di atti e comportamenti dolosi idonei a pregiudicare le ragioni dei creditori, e, in particolare, il sovraindebitamento può dirsi determinato da frode nel caso in cui il debitore si sia privato di beni mobili o immobili a danno dei creditori. Si pensi al caso in cui il debitore abbia alienato la casa dove abita e pertanto debba poi pagare un canone di locazione con conseguente sovraindebitamento o abbia venduto un bene immobile da cui percepiva un canone o una rendita, a maggior ragione se a prezzo inferiore a quello di mercato.

La rilevanza dell’erronea valutazione del merito creditizio

Si è poi posta la questione della rilevanza dell’erronea valutazione del merito creditizio da parte dell’istituto di credito ai fini della valutazione della meritevolezza.

Secondo un primo orientamento, l’erronea valutazione del merito creditizio da parte degli istituiti di credito e quindi la concessione di credito a soggetto incapace di pagare le rate, tenuto conto del reddito disponibile, dedotto l’importo necessario a mantenere un dignitoso tenore di vita, può essere una causa di possibile esenzione da colpa grave del consumatore.

Secondo un diverso orientamento, invece, art. 69, comma 2, c.c.i.i., detta la conseguenza di quella violazione, che è unicamente la preclusione a presentare opposizione, o reclamo in sede di omologazione, coi quali si intenda contestare la convenienza della proposta. Il debitore rimane, comunque, se del caso, (cor)responsabile o, meglio, responsabile per colpa grave, malafede o frode, pure quando il finanziatore abbia violato i principi della verifica del merito creditizio. È, poi, possibile che il debitore non versasse nella condizione della colpa grave, della malafede o della frode, ma che solo il finanziatore fosse colpevole, sotto il profilo del merito creditizio: nei quali casi, mentre il debitore non perde la possibilità di proporre il piano di ristrutturazione dei debiti, il creditore (quel creditore) non potrà contestarne la convenienza.

Conclusioni

Il legislatore del 2020, nell’eliminare l’inciso dell’art. 12-bis l. 3/2012 che prevedeva il triplice test di meritevolezza, ha lasciato il solo criterio della colpa grave senza alcuna ulteriore precisazione. In tal modo ha favorito l’emersione di due orientamenti opposti. La giurisprudenza di merito, in attesa di indicazioni da parte della Suprema Corte, si presenta divisa e spesso la divisione si registra anche all’interno dello stesso tribunale, in cui ciascun giudice può aderire all’uno o all’altro dei due orientamenti. È evidente che tale situazione mina la certezza del diritto e l’uguaglianza dei cittadini, che, a seconda del tribunale o del giudice a cui si rivolgono, possono ottenere un trattamento diverso. È pertanto assolutamente necessaria e urgente o una modifica legislativa che chiarisca quando un debitore può ritenersi meritevole o almeno una netta e convincente presa di posizione della Corte di Cassazione che, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, aiuti a superare le divisioni.

 

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