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Anche chi impugna l’accertamento fiscale deve versare una quota delle somme in contestazione. Ecco a quanto ammontano.

Non tutti sanno che, in caso di ricorso contro un accertamento dell’Agenzia delle Entrate, il contribuente è comunque tenuto a versare una parte delle somme pretese dal fisco con l’atto impugnato. In buona sostanza, l’opposizione alla richiesta di pagamento non sospende l’esecutività della stessa. Che, detto in parole povere, significa che se il contribuente non adempie può subire un pignoramento benché penda un giudizio dinanzi alla Commissione tributaria.

Pertanto, in caso di ricorso contro l’Agenzia delle Entrate, l’imposta va versata comunque

: non tutta chiaramente, ma solo una parte. A quanto ammonta la quota del tributo da pagare al fisco prima di fare opposizione? È quanto scopriremo qui di seguito.

Ricorso contro Agenzia delle Entrate: l’atto impugnato si sospende?

La semplice presentazione del ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria contro un atto di accertamento fiscale non sospende l’obbligo di pagamento dello stesso che, tuttavia, dovrà avvenire in forma parziale, secondo le quote che a breve vedremo.

Tuttavia, esiste la possibilità di ottenere l’esenzione totale dal pagamento se viene presentata un’apposita istanza al giudice e questi l’autorizza. In particolare, è necessario che il contribuente faccia esplicita richiesta alla Commissione Tributaria Provinciale (il tribunale preposto cioè a giudicare sulle liti fiscali), richiesta che di solito viene inserita già nell’atto stesso di ricorso.

L’istanza deve essere motivata. Bisogna cioè dimostrare l’esistenza di due presupposti:

  • il cosiddetto fumus boni iuris, ossia l’apparente sussistenza del diritto controverso;
  • il cosiddetto periculum in mora, ossia il danno irreparabile che potrebbe subire qualora dovesse avvenire il pignoramento.

Quanto al fumus boni iuris si tratta di dimostrare che, secondo un esame sommario e preliminare delle contestazioni addotte dal contribuente, è presumibile ritenere che questi possa avere ragione. In pratica, il ricorso deve apparire fondato sulla base di una valutazione sommaria, incentrata sulla documentazione prodotta.

Quanto al periculum in mora si tratta di provare che, qualora il contribuente fosse costretto a pagare subito l’intero importo, ne potrebbe subire un danno grave e irreparabile. Il danno può essere costituito dalle precarie condizioni economiche del debitore e dai lunghi tempi del processo per potervi rimediare.

Per maggiori informazioni leggi l’articolo Ricorso sui tributi: in attesa della sentenza bisogna pagare

.

Su tale istanza è poi necessario che il giudice si pronunci; ciò avviene di solito già con il decreto di fissazione dell’udienza, prima quindi dell’udienza stessa. Tale provvedimento impedisce che il ricorrente possa, nelle more del processo, subire un pignoramento per il tributo in contestazione o anche solo per una parte di esso.

Imposta da versare subito all’Agenzia delle Entrate nonostante il ricorso

Come abbiamo appena visto, se il giudice non autorizza la richiesta di sospensione dell’atto impugnato, il contribuente è tenuto a versare all’amministrazione, nonostante il ricorso, una parte delle imposte da questa richieste, salvo poi ottenerne il rimborso nel caso in cui vinca la causa. Se non lo fa, almeno per la quota in commento, può subire un’esecuzione forzata (che verrà preceduta dalla notifica della cartella esattoriale).

Dunque, la semplice presentazione del ricorso contro una richiesta di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate non esclude l’obbligo di versare immediatamente una parte dell’imposta accertata. Si tratta di una sorta di

anticipazione volta ad evitare che i contribuenti possano essere spinti a presentare un’opposizione pretestuosa contro gli accertamenti fiscali solo per dilatare i tempi di pagamento.

In particolare, il contribuente dovrà versare, entro 60 giorni dalla ricezione dell’atto impugnato, un terzo delle somme richieste a titolo di tributi e interessi. Nel calcolo non rientrano invece le sanzioni che, pertanto, non devono essere anticipate neanche in minima parte.

Se il ricorrente non procede al pagamento di tali somme, l’amministrazione finanziaria può procedere a riscuoterle in via provvisoria e frazionata, delegando a tal fine l’Agente per la Riscossione Esattoriale (Agenzia Entrate Riscossione).

Se il contribuente perde la causa in primo grado è tenuto a versare i residui due terzi del tributo contestato, con gli interessi nel frattempo maturati durante il giudizio e le sanzioni inizialmente non anticipate. Se però intende fare appello, può limitarsi a versare solo un terzo delle sanzioni.

Se il contribuente dovesse perdere anche l’appello, è tenuto a pagare anche i residui due terzi delle sanzioni.

Gli obblighi di pagamento del contribuente prima del ricorso contro l’accertamento fiscale

Possiamo schematizzare gli obblighi di pagamento anticipato del contribuente che faccia ricorso contro l’accertamento fiscale con la seguente tabella.

In sintesi, la proposizione del ricorso in Commissione tributaria non sospende, di norma, la riscossione esattoriale, che prosegue con una diversa modulazione a seconda della natura giuridica delle somme dovute. Pertanto, anche laddove decida di impugnare l’atto impositivo, il contribuente rimarrà esposto al pignoramento, seppur parziale (ossia limitatamente agli importi frazionati per come appena elencati) già prima della decisione del giudizio avente ad oggetto lo stesso avviso di accertamento.

Fare ricorso quindi non evita la possibilità di un pignoramento dei beni del contribuente come il conto corrente, la pensione, lo stipendio, ecc. Prima però dovrà essere notificata la cartella esattoriale contro la quale ci sono 60 giorni di tempo per fare ricorso.

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