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La Cassazione, sezioni Unite, con la sentenza 23 febbraio – 12 marzo 2021, n. 7030 (testo in calce) conferma la condanna disciplinare a carico di un avvocato per un caso di conflitto di interessi con il cliente, sebbene secondo la difesa dell’avvocato, il conflitto fosse solo apparente, essendovi accordo con il proprio cliente sulla strategia da adottare.

La Corte, confermando il principio già enunciato dal CNF con la sentenza n. 170/2020 (testo in calce), ha statuito che l’imparzialità e l’indipendenza dellavvocato, per il significato anche sociale che esprimono alla collettività, vanno tutelate come valori astratti, anche in quelle situazioni in cui il conflitto è potenziale e solo apparente.

L’iter processuale

La sentenza n. 170/2020 del Consiglio Nazionale forense, aveva confermato la condanna alla sospensione dalla professione per 3 mesi, irrogata a carico di un avvocato dal Consiglio distrettuale di disciplina.

Il legale ha fatto ricorso per Cassazione, ma le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno rigettato il suo ricorso e ribadito il principio in tema di conflitto di interessi, già enunciato sia dal Consiglio Distrettuale, che dal Cnf.

Il caso esaminato

La particolarità del caso sta nel fatto che, secondo il legale, nel caso concreto il conflitto di interessi non sarebbe esistito, perchè vi era l’assenso del cliente all’operazione da lui compiuta. Cosa era successo?

Alla fine di un contenzioso civile fra due parti, l’avvocato protagonista della pronuncia in esame, ha notificato per conto del suo cliente, alla controparte, un precetto per il pagamento delle spese di lite. Contemporaneamente la controparte ha ottenuto un decreto ingiuntivo, immediatamente esecutivo, contro il cliente dell’avvocato per un ingente importo e ha instaurato un pignoramento presso terzi per recuperare il credito. A quel punto  l’avvocato, ha rinunciato al mandato ed  è intervenuto contro il suo cliente nell’esecuzione  presso terzi instaurata dalla controparte, per recuperare il proprio credito professionale. Per intervenire nell’esecuzione l’avvocato si è fatto assistere da un suo collega di studio.

Fin qui, nulla di strano. Tuttavia, contemporaneamente il protagonista-avvocato ha fatto assumere ad una sua collega di studio la difesa del suo ex cliente nello stesso processo di esecuzione in cui egli stesso era intervenuto. La collega avrebbe dovuto opporre in compensazione a controparte nel processo di esecuzione, quello stesso credito per il quale l’avvocato aveva inizialmente intimato il precetto in favore del suo cliente. L’intervento della collega di studio a difesa dell’ex cliente, faceva quindi sospettare un caso di conflitto di interessi, rivelando la continuazione del legame professionale dello stesso avvocato con l’ex cliente, contro il quale egli aveva agito per il recupero del proprio credito, mediante intervento nell’esecuzione promossa da controparte.

Non solo. Successivamente l’avvocato si è fatto conferire un nuovo mandato dall’ex cliente, per assisterlo nell’opposizione contro lo stesso decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, sulla base del quale controparte aveva instaurato l’esecuzione, nella quale l’avvocato era intervenuto. E qui è scattata la contestazione disciplinare per conflitto di interesse.

La difesa dell’avvocato

Difendendosi nel giudizio disciplinare, l’avvocato ha sostenuto che questa articolata operazione era avvenuta con il consenso del suo ex cliente. Il cliente stesso avrebbe acconsentito al fatto che l’avvocato intervenisse nell’esecuzione, promossa da controparte, per ottenere i propri compensi professionali.

Quindi, secondo la difesa dell’avvocato, nessun conflitto di interessi sarebbe stato configurabile, mancando una situazione di contrasto tra il  cliente e l’avvocato.

Addirittura, sosteneva il legale, il cliente aveva concordato con lui sia l’an che il quantum dell’intervento nell’esecuzione per il recupero del credito professionale.

La decisione del CNF confermata dalla Cassazione

La difesa del legale è stata respinta tanto dal Cnf quanto dalla Corte di Cassazione, per i quali, ai fini del conflitto di interesse, è irrilevante l’aver agito contro la volontà del cliente o piuttosto con la sua autorizzazione. Quello che il Codice deontologico vuole tutelare infatti è il principio di astratta imparzialità e indipendenza dell’avvocato. L’articolo 24 del Codice deontologico va inteso come un illecito di pericolo, posto a tutela della dignità e del decoro della professione agli occhi della collettività. Il divieto di agire in conflitto di interessi vuole quindi impedire tutte quelle situazioni e quegli atteggiamenti che possano dare ad intendere, anche solo in apparenza, che l’avvocato non sia imparziale ed indipendente nel proprio operato.

Secondo la Corte di Cassazione “il conflitto si evidenzia in tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, ci si ponga processualmente in antitesi con il proprio assistito, il che avviene specificamente quando in una procedura esecutiva si chieda l’attribuzione di somme del proprio assistito, senza sostanzialmente cessare la difesa di quest’ultimo, potendo essere il conflitto anche solo potenziale”.

In conclusione dunque, il conflitto di interessi, deve essere sanzionato sia quando è effettivo che quando è solo potenziale o apparente.

CASSAZIONE CIVILE, SENTENZA N. 7030/2021 >> SCARICA IL TESTO PDF

CNF, SENTENZA N. 170/2020 >> SCARICA IL TESTO PDF

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