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Il decreto legge numero 69, eufemisticamente definito come «Salva Casa», reca «disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica» e avrebbe la funzione di sbloccare un mercato, quello immobiliare, stagnante, caratterizzato da scarse o nulle attività di compra-vendita.

L’espressione salva-casa non ha nulla a che vedere con l’emergenza casa, che ha assunto connotati drammatici per le categorie sociali più deboli. Il Salva-casa ha come obiettivo di salvare gli abusi edilizi, in particolare di quegli immobili, la cui compravendita è bloccata da irregolarità e difformità rispetto al titolo edilizio, tali da non consentirne vendita.

L’ipocrisia sta tutta nel mistificare che in Italia, a seguito di un’espansione periferica dissennata, cresciuta del 22%, con le conseguenze legate alla cementificazione e alla trasformazione del valore d’uso del territorio, le abitazioni non occupate, seppur conformi alle norme, sono già nell’ordine del 30%. Case costruite e non occupate, non vendute e non affittate. Lasciate lì a gonfiare i profitti dei grandi costruttori che hanno investito capitali, che sono stati incredibilmente remunerati attraverso compiacenti cambi di destinazione d’uso di terreni, che si sono accaparrati i terreni nelle aree intermedie libere, gratificate automaticamente di un maggior valore. A costoro non serve vendere, il loro investimento ha già prodotto plus-valenze.

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Il fabbisogno abitativo è quello dei migranti, degli studenti, degli sfrattati, di coloro che non possono pagare affitti troppo alti rispetto al loro reddito, o le rate del mutuo, innalzatesi oltre misura a seguito dell’incremento del costo del danaro. Che esistano milioni di vani invenduti, con o senza irregolarità, a costoro è completamente indifferente, essendo fuori dalla loro portata. L’impoverimento è cresciuto esponenzialmente, come il disagio abitativo.

L’intervento pubblico, semmai, dovrebbe andare nella direzione opposta: accrescere l’iniziativa pubblica in edilizia popolare, disincentivare lo sfitto, attraverso decreti ingiuntivi o sostitutivi di una proprietà inadempiente, stabilire norme edilizie stringenti, e soprattutto scelte urbanistiche che salvaguardino il territorio dalla speculazione e dunque calmierino con destinazioni d’uso oculate il mercato degli affitti e delle abitazioni, ostacolino l’aumento artificiale del valore delle aree.

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I decreto salva- casa è dunque un salva-investimenti immobiliari. Tra le disposizioni principali infatti i troviamo la semplificazione accordata al cambio di destinazione d’uso delle singole unità immobiliari. Si potranno cambiare altezze, distacchi, cubature, superfici coperte, muri interni ed esterni, ecc. a propria discrezione. Certo, pur nei limiti del 2% se le unità immobiliari hanno una superficie utile superiore ai 500 mq, del 3% se l’unità abitativa è compresa tra i 300 ed i 500 mq, del 4% se è tra i 100 ed i 300 mq.

Per dare una verniciatura di legalità a questo saccheggio del territorio ad opera della speculazione, viene introdotto lo strumento del silenzio-assenso, vale a dire che se entro i termini previsti l’amministrazione comunale non risponderà nel merito del cambio di destinazione d’uso, esso sarà automaticamente acquisito. Ora i tempi degli Uffici tecnici comunali, sempre più a corto di personale, sono più lunghi di quelli pretesi dagli investitori immobiliari, nutriti dall’alta finanza, che devono realizzare subito la remunerazione dei capitali investiti, attraverso la valorizzazione selvaggia della rendita.

Con la scusa di voler decongestionare gli uffici tecnici, sepolti da migliaia di pratiche, viene consentito di aggirare le norme. Aspetto gravissimo, se si considera che l’assalto speculativo al territorio può essere fermato o ridotto solo attraverso il controllo pubblico. La pianificazione urbanistica ed il controllo sull’attività edilizia privata ad opera dell’istituzione pubblica sono lo strumento attraverso il quale la città può essere pubblica, di tutti coloro che ne devono fruire. Gli enti locali a questo obiettivo dovrebbero indirizzare le loro energie, anziché nell’attrarre capitali da convertire nella speculazione immobiliare, che sta diventando oggi uno dei surrogati della crisi produttiva vigente.

 

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