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Il 6 aprile u.s. è stata pubblicata la sentenza delle sezioni unite civili n. 9479/2023, sulla quale ci siamo già brevemente intrattenuti (Primissime considerazioni su SS. UU. 6 aprile 2023 n. 9479, in questa Rivista dal 19 aprile 2023; v. anche G. Scarselli, La tutela del consumatore secondo la CGUE e le Sezioni Unite, e lo Stato di diritto secondo la civil law, in www.judicium.it dal 12 aprile 2023).

Il 4 maggio 2023 la Corte di Giustizia (nona sezione) ha pubblicato la decisione nella causa C-200/21, instaurata a seguito di rinvio pregiudiziale proposto dal Tribunale Superiore di Bucarest (25 febbraio 2021) avente ad oggetto la direttiva 93/13/CEE e la conseguente tutela del consumatore in un’esecuzione forzata intrapresa in forza di un contratto di mutuo che, secondo il diritto rumeno (così come nel nostro), costituisce titolo esecutivo.

Nel corso di un’espropriazione presso terzi (avente ad oggetto conti correnti presso vari istituti bancari), l’esecutato ha opposto che due clausole del contratto di mutuo erano da considerarsi abusive: per aver previsto una commissione di apertura del fascicolo relativo alla concessione del credito e una commissione mensile per il trattamento e la gestione dello stesso credito.

L’opposizione (corrispondente alla nostra opposizione all’esecuzione) è stata tuttavia rigettata in primo grado per tardività, perché il diritto rumeno non consente la proposizione di un’opposizione all’esecuzione una volta decorsi quindici giorni dai primi atti esecutivi.

Nel giudizio di appello, il Tribunale Superiore di Bucarest (la nostra Corte d’appello) ha però sollevato la questione pregiudiziale circa il contrasto tra la direttiva 93/13/CEE e il diritto nazionale rumeno appunto laddove prevede, con clausola generale, un termine di quindici giorni entro il quale il debitore può invocare, nell’ambito di un’opposizione esecutiva, il carattere abusivo di una clausola contrattuale.

La risposta della Corte è stata la seguente:

«La direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretata nel senso che:

essa osta a una disposizione di diritto nazionale che non consente al giudice dell’esecuzione, investito, scaduto il termine di quindici giorni impartito da tale disposizione, di un’opposizione all’esecuzione forzata di un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista, che costituisce titolo esecutivo, di valutare, d’ufficio o su domanda del consumatore, il carattere abusivo delle clausole di tale contratto, quando tale consumatore abbia a disposizione, peraltro, un ricorso nel merito che gli consente di chiedere al giudice investito di tale ricorso di procedere a un siffatto controllo e di ordinare la sospensione dell’esecuzione forzata fino all’esito di detto ricorso, conformemente a un’altra disposizione di tale diritto nazionale, nel caso in cui detta sospensione sia possibile solo dietro versamento di una garanzia il cui importo è tale da dissuadere il consumatore dall’introdurre e dal mantenere un siffatto ricorso, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Qualora non si possa procedere a un’interpretazione e a un’applicazione della legislazione nazionale conformi alle disposizioni di tale direttiva, il giudice nazionale investito di un’opposizione all’esecuzione forzata di un siffatto contratto ha l’obbligo di esaminare d’ufficio se le clausole di quest’ultimo presentino un carattere abusivo, disapplicando, se necessario, qualsiasi disposizione nazionale che osti a un siffatto esame».

Proprio la diversità rispetto al caso deciso dalla SS.UU. n. 9479/2023 induce a riflettere sulla correttezza dell’articolata costruzione che la S.C., a proposito del decreto ingiuntivo non opposto, ha individuato nel nostro diritto interno per renderlo compatibile col diritto europeo. Infatti, in entrambi i casi veniva in rilievo un titolo esecutivo (decreto ingiuntivo non opposto, nel caso della SS.UU. n. 9479/2023; contratto di mutuo nel caso della sentenza europea del 4 maggio 2023) e la tutela che, rispetto ad esso, il diritto interno (rispettivamente, italiano e rumeno) poteva assicurare. In entrambi i casi, il punto di emersione della questione interpretativa era collocato all’interno del processo esecutivo, perché nel primo caso il problema era sorto in sede di opposizione agli atti proposta in sede distributiva (e qui l’opposizione ha un chiaro contenuto di merito), nel secondo caso in sede di opposizione all’esecuzione.

Il dispositivo redatto dalla Corte europea nel caso italiano non è, a ben vedere, molto diverso da quello adottato nel caso rumeno; si vuole infatti che:

«L’art. 6, paragrafo 1, e l’art. 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa – per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità – successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come “consumatore” ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo».

Nell’un caso il titolo si presentava intangibile per un fenomeno preclusivo, apparentato al giudicato; nell’altro caso, l’opposizione era inammissibile perché proposta oltre il termine di quindici giorni a decorrere dalla notifica “dei primi atti del procedimento”.

In entrambi i casi, la Corte europea fa riferimento ai poteri spendibili nell’esecuzione o dal giudice che la dirige, o dal giudice dell’opposizione esecutiva. E a noi sembra naturale che la risposta dell’ordinamento debba essere collocata lì dove la questione emerge, se non altro per garantire la tempestività della tutela.

Sarebbe interessante conoscere il seguito che la giustizia rumena darà alla sentenza interpretativa del 4 maggio 2023; e ci sorprenderemmo molto se sarà una risposta esterna al processo esecutivo o alle opposizioni che da questo originano, potendo certo immaginarci che il contratto di mutuo, nel diritto rumeno, potrà essere oggetto di impugnative contrattuali totalmente svincolate dall’esecuzione forzata iniziata sulla base del titolo costituito da quello stesso contratto. Non ci immaginiamo, però, come il giudice chiamato a conoscere della legittimità di tale contratto potrebbe sospendere l’esecuzione in atto, come invece può fare, nel nostro caso, il giudice dell’opposizione tardiva a d.i.

Il dubbio che sorge, in altri termini, è che nel nostro caso la S.C. possa essere stata fuorviata dal fatto che il titolo costituito dal decreto ingiuntivo può essere sospeso sia dal giudice dell’opposizione tardiva, sia dal giudice dell’opposizione a precetto (ovviamente, per diverse ragioni) e che, dal canto suo, il giudice dell’esecuzione può sospendere il processo esecutivo ove venga proposta un’opposizione.

Ci sembra inoltre ragionevole che la tutela accordata al consumatore in applicazione della direttiva 93/13/CEE non possa essere diversa a seconda della natura del titolo che venga in considerazione: perché il caso rumeno potrebbe porsi in futuro anche nel nostro ordinamento, e in tal ipotesi la soluzione (peraltro non semplice, né lineare) indicata dalle SS.UU. non potrebbe essere duplicata.

 

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