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In fondo al suo minuscolo negozio di patatine, caramelle e bibite, Eliana scorre sullo schermo di un vecchio computer una tabella di nomi e numeri. Venezuelana immigrata in Ecuador, è la segretaria della giovane micro-cassa di risparmio e credito “Migrantes unidas” di Loja, una città di 170mila abitanti in una valle andina nel Sud del Paese. Quelle colonne sullo schermo sono cariche della speranza di poter finalmente ottenere un piccolo prestito che sogna da tempo per migliorare la sua tendita. In Ecuador, infatti, chiedere un prestito per una piccola attività economica è qualcosa di impensabile per la maggior parte dei cittadini non abbienti, tanto più per i numerosi immigrati provenienti, in particolare, dal vicino Venezuela.

“Per accedere al credito sono necessarie garanzie: un lavoro fisso, proprietà, entrate stabili e molte persone non soddisfano nessuna di queste richieste”, racconta Graziella Sanchez, direttrice esecutiva della Fundación educativa Candido Rada (Funder), ente formativo ecuadoriano nato nei primi anni Duemila come costola del Fondo ecuatoriano populorum progressio (Fepp), a propria volta fondazione patrocinata dalla Conferenza episcopale ecuadoriana incentrata sullo sviluppo delle comunità più marginali del Paese. In particolare, la mission di Funder è dare opportunità formative a campesinos, indigeni, afrodiscendenti e gruppi delle periferie urbane per migliorare e far crescere le proprie attività produttive.

L’esclusione dal credito secondo Funder blocca le opportunità di sviluppo delle comunità: “Se non c’è finanza non c’è sviluppo -prosegue Sanchez-. Per il miglioramento del territorio è importante una cultura del risparmio e del credito, per far circolare l’economia della comunità”.

“Se non c’è finanza non c’è sviluppo. Per migliorare il territorio serve una cultura del risparmio e del credito, per far circolare l’economia della comunità” – Graziella Sanchez

Secondo il rapporto Global Findex 2021 della Banca mondiale, negli ultimi quattro anni solo due ecuadoriani su dieci hanno avuto accesso a un credito formale. Uno dei principali ostacoli è il carico di documenti richiesti per accedervi: serve certificare il raggiungimento di molti requisiti che la maggior parte dei piccoli imprenditori non possiede. L’altro fattore determinante è lo scarso margine di guadagno per le banche sui piccoli prestiti, molto ridotto a causa del tetto imposto per legge sui tassi di interesse e il costo del dollaro statunitense, la valuta corrente in Ecuador, che impone una dipendenza dalla Banca centrale degli Usa (Fed). Per un istituto di credito è quindi poco conveniente concedere prestiti inferiori ai 300 dollari. La conseguenza di tutto ciò è che molte persone con scarse risorse sono costrette a rivolgersi a usurai, che però propongono tassi di interesse molto alti, del 5% al giorno al 1.500% all’anno.

Il tasso d’interesse giornaliero richiesto dagli usurai per concedere un prestito è al 5%. Chi si rivolge a queste figure lo fa perché non ha modo di accedere al credito delle banche

Questa situazione ha spinto Funder a costruire un progetto di micro-casse di risparmio e credito nelle comunità. Vale a dire riunire dei gruppi di micro-imprenditori che diventino soci di una piccola cassa da costituire grazie a un finanziamento esterno, unito alle piccole quote immesse da ogni membro. Lo scopo della cassa sarebbe da un lato custodire e mettere in circolo i risparmi, dall’altro fornire agli stessi membri dei piccoli finanziamenti per le loro attività imprenditoriali.

Il progetto ha preso forma da subito con target diversi: periferie urbane, comunità rurali e immigrati. “Abbiamo offerto innanzitutto un percorso di formazione -prosegue la direttrice Sanchez-. I partecipanti erano 25-30 persone per gruppo, già micro-imprenditori o interessati a diventarlo. La formazione è una parte molto importante per mettere le basi al concetto stesso di finanza popolare e cassa di risparmio e credito”.

Il punto su cui Funder insiste molto è la centralità del risparmio: entrare quindi nell’ottica di produrre qualcosa di più rispetto a quello che si consuma, in modo da poterlo mettere da parte. “Oltre a educare al concetto di cassa, una parte importante è la formazione sulla gestione finanziaria: anche se si tratta di strutture semplici, occorre, ad esempio, sapere usare qualche programma informatico per tenere la contabilità e le competenze digitali spesso scarseggiano”. Questo è proprio ciò che fa la signora Eliana con il vecchio computer nel suo negozio.

Dopo un anno e mezzo di formazione le casse prendono vita. A ogni gruppo viene data una somma di partenza di cinquemila dollari, mentre ogni socio versa una quota intorno ai 15-20 dollari variabili secondo le regole di ogni cassa. “I fondi iniziali arrivano da finanziatori esterni, in modo particolare, per quanto riguarda le casse costituite da gruppi di migranti, provengono dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), per un impegno complessivo su tutto il progetto di circa 150mila dollari”. Nascono così in tutto l’Ecuador 47 casse in 14 Province del Paese, che coinvolgono circa 1.700 soci, di cui il 70% sono donne, spesso responsabili principali della gestione del denaro nella famiglia. Ogni cassa ha una struttura democratica con un proprio statuto: ci sono un presidente, un segretario, regole per i soci e per la gestione del denaro comune.

Un altro momento di formazione sull’amministrazione economica dell’impresa. Il 70% dei 1.700 soci che sono coinvolti nel progetto delle micro-casse sono donne. Spesso spetta a loro la gestione del bilancio familiare. © Simone Garbero e Laura Tresso

“Prima di parlare di microcredito, nelle casse si tratta di mettere da parte il risparmio comune -prosegue Mayra Martinez, responsabile di Funder nella città di Loja, dove si trovano alcune delle casse-. Settimanalmente o mensilmente i soci decidono quanto risparmiare e questa somma è la garanzia principale del credito”. Solo in seconda battuta arriva il credito. Tuttavia ogni prestito deve avere uno scopo imprenditoriale, quindi non può essere concesso per l’acquisto di beni di consumo per la famiglia: “Ad esempio si può chiedere un prestito per comprare un maialino con l’obiettivo di ingrassarlo e poi venderlo -spiega Martinez-. Ma può anche essere per acquistare un telefono, se serve per un’attività economica e non per uso personale”.

L’obiettivo inoltre è che a beneficiare del prestito sia di riflesso l’economia di tutta la comunità, con un impatto ampio e non solamente limitato alla famiglia del micro-imprenditore. “Solo chiedendo un prestito alla nostra piccola cassa ho potuto avviare la mia attività”, racconta Carolina nella sua minuta lavanderia appena tinteggiata di arancione a Riobamba, città nel centro dell’Ecuador a 200 chilometri da Quito. “Il finanziamento mi ha permesso di comprare la lavatrice e lo sto estinguendo in comode rate”, conclude. Allo stesso modo Diomar, di origine venezuelana, che ora vive a Quito, ha potuto comprare una friggitrice ambulante grazie alla quale vende spuntini alla fermata dell’autobus, sotto un ombrellone dai colori sgargianti.

“Settimanalmente o mensilmente i soci decidono quanto mettere da parte: questo risparmio è la garanzia principale del credito” – Mayra Martinez

Poco lontano, nell’ufficio di Funder, Graziella Sanchez e Mayra Martinez commentano le tappe dei due anni di vita del progetto con Wilson Bravo, responsabile per la finanza popolare della Fondazione: “Le storie sono molto differenti a seconda dei vari contesti. Innanzitutto, sono molto diverse le comunità urbane e quelle rurali, così come quelle composte da cittadini autoctoni e quelle di persone con una storia di migrazione”. Nelle comunità rurali la vita delle casse sembra più facile: i gruppi sono già forti in partenza, tutte le socie si conoscono e c’è una fiducia reciproca preesistente; inoltre l’impatto delle loro attività è immediato nella vita di tutta la comunità.

Sanchez non nasconde le difficoltà che affrontano quotidianamente: “Le esigenze economiche e di vita di una comunità immigrata sono molto diverse. Queste famiglie si trovano a fronteggiare urgenze legate in particolare alla casa, che spesso lasciano poco spazio alla prospettiva imprenditoriale. Come si fa a dire che il credito serve per comprare beni produttivi a chi ha bisogno di soldi per l’affitto per non finire in strada?”.

Inoltre, nelle periferie urbane sentirsi comunità è più difficile che in un piccolo centro rurale, ancora di più se i soci che si raccolgono intorno alla cassa provengono da Paesi diversi. Per questo nel corso del tempo si è cercato di modificare la struttura di queste casse di immigrati, cercando di aprirle anche a soci ecuadoriani che condividono lo stesso territorio, in modo da arrivare a una percentuale del 70% di stranieri e 30% di locali. Nonostante le difficoltà le micro-casse popolari, a due anni dall’inizio del progetto, continuano a consolidarsi, con il sostegno tecnico di Funder e oggi sono riunite nella Red Panas: una rete che porta avanti in tutto il Paese l’ideale di una finanza popolare per lo sviluppo delle comunità.

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