Ogni forma di utilizzo dell’immobile, che risulti diversa
dall’uso a cui è originariamente destinato, deve essere considerata
come un mutamento rilevante della destinazione
d’uso ed è soggetto alla richiesta del titolo
abilitativo.
Il cambio d’uso rilevante, infatti, comporta incrementi
del carico urbanistico anche se non dovesse contemplare la
realizzazione di vere e proprie opere edilizie, con la conseguenza
che, in mancanza del titolo, si configurerebbe una situazione
illiceità a vario titolo, che può e deve essere rilevata
dall’Amministrazione competente.
Accertamento di conformità: obblighi e condizioni per il
rilascio
A ribadirlo è il TAR Lazio con la sentenza del
29 aprile 2024, n. 8497, con cui ha rigettato un
ricorso proposto contro il diniego dell’accertamento di
conformità – richiesto ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n.
380/2001 (Testo Unico Edilizia) – relativo al
cambio di destinazione d’uso di un locale interrato (da “magazzino”
pertinenziale ad autofficina ad uso commerciale).
Si spiega che l’accertamento di conformità può essere concesso
esclusivamente in relazione agli abusi edilizi che, pur essendo
stati realizzati in assenza di titolo o in difformità dallo stesso,
risultano comunque rispettare le prescrizioni di cui alla
disciplina urbanistico-edilizia vigenti sia al momento della
realizzazione dell’abuso che al momento della presentazione
dell’istanza.
La verifica della “doppia conformità”, in
particolare, è il principio fondamentale in base al quale
dev’essere valutato l’eventuale rilascio della sanatoria, perché il
soddisfacimento di tali presupposti consente di garantire che siano
state rispettate le prescrizioni durante l’intero arco temporale
intercorso tra la realizzazione dell’opera e la richiesta
dell’accertamento.
In questo caso particolare è stato rilevato che, prima del
cambio di destinazione avvenuto nel marzo del 1962, il magazzino
pertinenziale all’unità aveva natura puramente accessoria e, per
questo, in base a quanto disposto dalle NTA del PGR comunale del
1931 vigente all’epoca della realizzazione, il vano era escluso dal
calcolo della SUL (Superficie Utile Lorda). Con
l’avvenuta trasformazione del magazzino in autofficina, invece, si
è verificato un incremento del carico urbanistico, rilevante ai
fini del calcolo della SUL, che risulta in contrasto con il divieto
imposto dallo stesso PRG di allora, che vieta qualsiasi intervento
di ampliamento nel tessuto urbano in questione.
Tale condizione basta per determinare il mancato rispetto delle
prescrizioni urbanistico-edilizie vigenti al momento della
realizzazione dell’intervento, pertanto, è sufficiente anche ad
escludere la possibilità di rilascio dell’accertamento di
conformità.
Cambio d’uso: è rilevante per ogni utilizzo diverso
dall’originario
Il cambio d’uso avvenuto nel caso in esame ha comportato il
passaggio tra categorie edilizie funzionalmente autonome e
non omogenee, pertanto integra una modificazione edilizia
con effetti incidenti sul carico urbanistico soggetta a regime
concessorio oneroso, indipendentemente dall’esecuzione di
opere.
Viene fatto presente, infatti, che anche nella Circolare n.
3357/25 del 1985 dell’allora Ministero dei Lavori Pubblici,
esplicativa della normativa di cui al Primo Condono
Edilizio (Legge n. 47/1985) – con riferimento alle
tipologie di abusi edilizi della Tabella allegata – la
trasformazione, con opere, di superfici o volumi non computati ai
fini del rilascio del titolo originario, in superfici o volumi
destinati alla residenza o all’uso produttivo, è un intervento
classificabile nella Tipologia 1, o in alternativa, nelle Tipologie
2 o 3, ma non nella Tipologia 4, dove sono incluse opere non
comportanti incrementi di volumi o superfici.
Nello stesso TUE, peraltro, all’art. 23-ter
(“Mutamento d’uso urbanisticamente rilevante”), [vigente
ratione temporis, n.d.R.] viene specificato che:
“[…] costituisce mutamento rilevante della destinazione
d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità
immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata
dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare
l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati
ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto
elencate:
- a) residenziale;
- a-bis) turistico-ricettiva;
- b) produttiva e direzionale;
- c) commerciale;
- d) rurale.”
In virtù di ciò, si spiega, il passaggio da magazzino e deposito
ad esercizio commerciale non può non essere ritenuto come un cambio
di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, ed è pertanto
soggetto a titolo abilitativo.
Si rileva peraltro la condizione dirimente secondo cui
l’effettivo cambio d’uso nel 1962 non risulta dimostrato, in quanto
allora la destinazione del locale interrato in oggetto risultava
essere di “autorimessa” in categoria C/6, mentre, solo nel 2017 è
stata effettivamente presentata la relativa variazione catastale
per il cambio d’uso in categoria D/8, ovvero “fabbricati
costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività
commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza
radicali trasformazioni”.
In ogni caso, essendo la modifica d’uso avvenuta in violazione
di quanto previsto dall’allora vigente PGR comunale, i giudici del
TAR non possono che confermare il mancato rispetto delle
prescrizioni urbanistico-edilizie e il conseguente diniego del
rilascio della sanatoria. Il ricorso è rigettato.
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