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Il caso

Il caso prende le mosse dalla decisione del giudice delegato al fallimento di una società cooperativa di autorizzare il curatore a subentrare, ai sensi dell’art. 72, comma 8, l. fall. nel contratto “preliminare di assegnazione in proprietà e in proprietà superficiaria di porzioni di immobili a socio di cooperativa edilizia”.

Tale contratto veniva stipulato fra una società cooperativa, poi fallita, quando era ancora in bonis, e il Sig. Tizio.

Allo stesso tempo, il tribunale disponeva la cancellazione dei gravami insistenti sul bene da trasferire.

In particolare, tra i gravami cancellati era ricompresa l’ipoteca iscritta in data 30 ottobre 2006 a favore di una banca, il cui credito veniva ammesso al passivo con rango privilegiato ipotecario.

Avverso il provvedimento del tribunale proponeva reclamo il cessionario del credito garantito, il quale, articolava la propria difesa su due aspetti principali.

In primo luogo, affermava come, in forza del contratto preliminare sopra richiamato, il quale veniva trascritto in data 11 ottobre 2017, il prezzo dovuto dal promissario acquirente fosse stato già interamente corrisposto alla società in nove rate, tutte venute a scadenza in epoca anteriore alla declaratoria di fallimento.

In secondo luogo, sosteneva come l’art. 108, comma 2, l. fall. non fosse applicabile in caso di subentro ex lege nel contratto preliminare trascritto di un immobile destinato a costituire abitazione principale dell’acquirente, non trattandosi di una vendita, ma di una cessione avente natura interamente privatistica.

Il Tribunale di Monza sotto questo profilo affermava che la vendita ex art. 72, ultimo comma l. fall., sebbene attuata con forme privatistiche, rimane una vendita fallimentare, in quanto perfezionata coattivamente, ossia indipendentemente dalla volontà dell’impresa fallita nonché all’interno di un procedimento di liquidazione concorsuale mediante un atto posto in essere dal curatore.

Il Tribunale, inoltre, sottolineava come l’unica differenza rispetto agli altri atti di liquidazione fallimentare si dovesse rinvenire nel fatto che la scelta sulle modalità di liquidazione del bene fosse compiuta dal legislatore, che aveva inteso accordare al promissario acquirente della casa di abitazione una tutela privilegiata, facendo prevalere il suo diritto alla stipula del contratto definitivo rispetto al diritto alla migliore soddisfazione economica delle ragioni del creditore ipotecario.

Peraltro, il giudice di merito rilevava come l’accoglimento della tesi del reclamante avrebbe determinato un’abrogazione di fatto della tutela riconosciuta dalla norma in parola.

Ed invero, il ragionamento del giudice prende le mosse dalla considerazione secondo cui laddove non si ammettesse l’applicabilità dell’art. 108 l.fall. non si riuscirebbe a tutelare adeguatamente l’interesse del promissario acquirente all’acquisto dell’immobile, destinato a costituire la sua abitazione principale, libero da pesi.

Del resto, tale interpretazione trova conferma nella lettura dell’art. 173, comma 4, CCII, in base al quale sussiste il potere del giudice delegato di cancellazione delle ipoteche gravanti sull’immobile venduto al promissario acquirente dal curatore subentrato nel contratto preliminare.

Sulla base di questo orientamento, quindi, si riteneva, che il giudice delegato avesse legittimamente proceduto ad autorizzare la stipula del contratto definitivo di vendita con cancellazione di tutti i gravami insistenti sul bene da trasferire, fra i quali l’ipoteca volontaria iscritta in favore dell’istituto di credito.

Avverso il decreto del giudice delegato proponeva ricorso il mandatario della cessionaria prospettando un unico, articolato, motivo di doglianza, al quale ha resistito con controricorso il fallimento della società cooperativa.

Il ricorso avverso il decreto

In via preliminare, merita sottolineare come il provvedimento di rigetto del reclamo avverso il decreto del giudice delegato con il quale, a seguito di trasferimento immobiliare, venga disposta la cancellazione delle ipoteche ai sensi dell’art. 108, comma 2, l. fall., è ricorribile per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., stante la sua incidenza su diritti reali di garanzia che altrimenti verrebbero sacrificati in via definitiva, non essendo tale provvedimento altrimenti impugnabile (cfr. Cass. 30454/2019, Cass. 3310/2017).

Il ricorso denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 72 e 108l. fall., anche in relazione agli artt. 2645-bis, 2808, 2878 e 2882 c.c.

In particolare, secondo la tesi del ricorrente, il tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che il contratto definitivo concluso dal curatore in esecuzione del preliminare trascritto ex art. 72, ultimo comma, l. fall.costituisse una vendita concorsuale.

Questo perché il curatore fallimentare subentrante ex lege nella medesima posizione contrattuale del fallito, rispetto a un preliminare di vendita trascritto e opponibile ai creditori concorsuali, ha disposto, con la stipula del definitivo, di un bene sottratto alla liquidazione fallimentare.

Sempre seguendo il ragionamento del ricorrente, sarebbe improprio fare richiamo alla tutela del promissario acquirente per giustificare la prevalenza dei suoi diritti su quelli del creditore ipotecario, perché un simile proposito risulta estraneo alle regole espressamente dettate dal legislatore.

Pertanto, la tutela del promissario acquirente rimarrebbe affidata alla disciplina in materia di pubblicità immobiliare e alla possibilità di conoscere le iscrizioni pregiudizievoli gravanti sul bene che questi si è impegnato ad acquistare.

Tale lettura troverebbe conforto nel disposto dell’art. 173, comma 4, CCII con il quale il legislatore ha introdotto un bilanciamento tra la posizione dei promissari acquirenti e quella dei creditori ipotecari consentendo una cancellazione di tutte le trascrizioni pregiudizievoli e una penalizzazione dei creditori ipotecari, ai quali adesso sono opponibili il 50% degli acconti versati, non consentite nel vigore della legge fallimentare.

Peraltro, sempre secondo la tesi del ricorrente, l’interpretazione accolta dal Tribunale comporterebbe la sostanziale abrogazione del diritto di sequela riconosciuto dall’art. 2808 c.c. in assenza di un’espressa previsione normativa. Ed invero, il creditore si troverebbe così a concorrere soltanto sulla frazione di prezzo dell’immobile pagato dal promissario acquirente al curatore. Inoltre, si darebbe luogo ad una cancellazione violando la disciplina in tema di estinzione delle ipoteche prevista dagli artt. 2878 e 2882 c.c. atteso che l’esecuzione del contratto pendente da parte del curatore non costituisce un esproprio.

L’ordinanza della Cassazione

Merita subito rilevare come la Suprema Corte ritenga di rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, per dirimere il contrasto giurisprudenziale e dottrinale che il caso oggetto di commento ha rappresentato.

Ci si chiede, infatti, se l’art. 108, comma 2, l. fall. sia applicabile anche allavendita attuata non all’esito di una procedura competitiva pubblicizzata e svoltasi sulla base di valori di stima, ma in forma contrattuale in adempimento di un contratto preliminare in cui il curatore sia subentrato ex lege in applicazione del disposto dell’art. 72, comma 8, l. fall.

In altri termini, il motivo di ricorso proposto pone la questione della possibilità di applicare il disposto dell’art. 108, comma 2, l. fall. nel caso in cui il curatore abbia perfezionato la vendita di un immobile dopo essere subentrato ex lege ai sensi dell’art. 72, comma 8, l. fall. nel contratto preliminare stipulato dal fallito quando ancora era in bonis.

Sul piano normativo si segnala come l’art. 108, comma 2, l. fall. dispone che “per i beni immobili e gli altri beni iscritti in pubblici registri, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, il giudice delegato ordina, con decreto, la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo”. L’art. 72, comma 8, l. fall., invece, è stato aggiunto dall’art. 4d. lgs. 169/2007 e integrato dalla l. 134/2012 e prevede che “le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività di impresa dell’acquirente”.

La norma da ultimo richiamata costituisce una specifica eccezione alle disposizioni del primo comma dell’art. 72l. fall. e chiarisce come il curatore, in presenza di un contratto preliminare di vendita trascritto ex art. 2645-bis c.c. avente ad oggetto un immobile destinato a essere utilizzato come abitazione principale, non abbia la possibilità, altrimenti pacifica, di scegliere se subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendosi tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, ma succede, ex lege, nel contratto.

Il dubbio interpretativo dal quale è poi scaturito il dibattito dottrinale e giurisprudenzialenasce dalla poca chiarezza della norma in parola nella parte in cui non fornisce all’interprete indicazione alcuna sul fatto se l’art. 108, comma 2, l. fall. trovi o meno applicazione con riferimento alla vendita intervenuta tra il promissario acquirente e il curatore in ordine alla cancellazione delle iscrizioni e delle trascrizioni pregiudizievoli.

I precedenti giurisprudenziali

La Suprema Corte si era già espressa sul punto anche se non in modo uniforme.

Ed invero, in una precedente occasione richiamata dall’ordinanza in commento, aveva ritenuto che una simile vendita, anche se attuata nelle forme contrattuali e non tramite esecuzione coattiva, avesse natura di vendita fallimentare, con la conseguente necessità di cancellare, ex art. 108, comma 2, l. fall., le iscrizioni relative ai diritti di prelazione ad opera del giudice delegato ed ammettere il creditore ipotecario al concorso, con rango privilegiato, sull’intero prezzo pagato, ivi compreso l’acconto eventualmente versato al venditore ancora in bonis (Cass. 3310/2017).

In difformità rispetto all’indirizzo appena richiamato la stessa Corte di Cassazione aveva ritenuto, invece, che la necessaria competizione nell’ambito di una procedura pubblica di dismissione del bene, che muova dal suo prezzo di stima e favorisca la massima informazione e partecipazione di tutti i soggetti interessati al fine di assicurare il conseguimento del maggior risultato possibile e con esso la miglior soddisfazione dei creditori, costituisce il nucleo dei principi a cui si ispirano le vendite fallimentari e la cui applicazione giustifica l’effetto purgativo della vendita procedimentalizzata.

Pertanto, nell’ambito di concordato preventivo con continuità̀ aziendale, l’assegnazione dell’immobile al socio di una cooperativa, che avvenga in esecuzione di un piano gestionale teso all’ultimazione degli alloggi rimasti incompiuti, non può essere accompagnata dalla cancellazione ex art. 108, l. fall. delle iscrizioni pregiudizievoli, dal momento che tali effetti purgativi si giustificano solo laddove la vendita si compia in esito ad una procedura competitiva ad evidenza pubblica secondo le regole previste dagli artt. 105 e ss. l. fall. richiamate dall’art. 182, comma 5, l. fall., non anche quando essa sia il frutto della continuazione dell’attività di impresa (Cass. 23139/2020).

La decisione da ultimo richiamata, pur facendo riferimento a una fattispecie di esecuzione di un concordato in continuità e a un’attività di vendita posta in essere dallo stesso debitore, contiene dei principi che si riflettono anche sulla questione in esame in questa sede.

Ed invero, attraverso tale lettura si giunge a negare che il giudice delegato possa esercitare il potere di purgare dai gravami ipotecari i beni che vengono alienati dal curatore fallimentare senza l’osservanza delle regole di pubblicità, competitività e stima dettate dagli artt. 105, 106 e 107 l. fall.

Queste due interpretazioni discordanti sono espressione di analoghi indirizzi che si sono affermati nella giurisprudenza di merito degli ultimi anni.

Ed invero, secondo un primo indirizzo sarebbe ammissibile la purgazione delle ipoteche ai sensi dell’art. 108, comma 2, l. fall. anche nel caso in cui la vendita fallimentare sia attuata attraverso forme contrattuali e non mediante l’esecuzione coattiva (cfr. Trib. Messina 11 aprile 2018).

In particolare, secondo questo indirizzo ai fini della cancellazione delle ipoteche ex art. 108, comma 2, l. fall., non rileva il fatto che si tratti di una vendita coattiva o di una vendita contrattuale, ma che la cessione del bene sia frutto di un meccanismo liquidatorio interno o esterno alla procedura (cfr. Trib. Cagliari 2 gennaio 2020).

A questa ricostruzione si contrappone quella giurisprudenza secondo la quale non sarebbe ammissibile la purgazione ipotecaria in queste ipotesi, in quanto l’art. 108, comma 2, l. fall. troverebbe applicazione soltanto alle vendite che costituiscono atti di liquidazione per la realizzazione dell’attivo fallimentare in esecuzione del programma di liquidazione (cfr. Trib. Milano 21 settembre 2017, Trib. Milano 13 novembre 2017, Trib. Milano 4 dicembre 2017, Trib. Lecce 4 dicembre 2019).

L’adesione all’uno o all’altro orientamento non è privo di rilevanti ricadute.

Ed invero, laddove si aderisca al primo indirizzo, infatti, sarà necessario accertare, in primo luogo, se una simile interpretazione finisca per compromettere – o vanificare del tutto quando l’intero prezzo sia stato pagato prima del fallimento (come nel caso oggetto della pronuncia in commento) – il diritto di sequela previsto dall’art. 2808, comma 1, c.c., tenuto conto della confusione delle somme corrisposte a titolo di prezzo in epoca antecedente al fallimento con il patrimonio del promittente venditore poi fallito.

Allo stesso tempo occorrerà verificare con attenzione la compatibilità di questa soluzione con il disposto dell’art. 2878, n. 7, c.c.

Tale norma, infatti, in parallelo con quanto previsto dall’art. 108, comma 2, l. fall., fa discendere l’estinzione dell’ipoteca dalla “pronunzia del provvedimento che trasferisce all’acquirente il diritto espropriato e ordina la cancellazione delle ipoteche” atteso che la vendita stipulata dal curatore in esecuzione di un contratto preliminare trascritto nel quale quest’ultimo sia subentrato ex lege ai sensi dell’art. 72, comma 8, l. fall., non costituisce un atto di esercizio del potere espropriativo del curatore nell’interesse della massa dei creditori, ma un atto di adempimento di un’obbligazione contratta dall’imprenditore in bonis prima di fallire, che viene posto in essere dal curatore succedutogli nella posizione contrattuale.

Nel caso in cui, invece, si ritenga più convincente il secondo indirizzo, sarà necessario prendere in esame, insieme alle ragioni contenute nel provvedimento oggetto di impugnazione, laddove si sostiene che la negazione dell’applicabilità della purgazione ipotecaria in caso di vendita traslativa finisca per abrogare, di fatto, la tutela riconosciuta dall’art. 72, comma 8, l. fall., in quanto nessun promissario acquirente solleciterebbe il curatore a subentrare nel contratto preliminare e a stipulare il definitivo sapendo di rimanere esposto, pur avendo pagato interamente il prezzo, anche se, in tutto o in parte, prima del fallimento, all’iniziativa esecutiva del creditore ipotecario.

Peraltro, sarà, altresì, necessario verificarne la compatibilità con l’art. 173, comma 4, CCII, per accertare l’esistenza o meno di una continuità tra la previgente disciplina fallimentare e l’attuale normativa introdotta dal Codice della crisi, così come se la nuova norma sia idonea a costituire un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare (cfr. Cass. Sez. Un. nr. 8504/2021).

Il punto della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione nella pronuncia in commento ritiene, quindi, che laddove si ritenga che l’art. 108, comma 2, l. fall. trovi collocazione nell’ambito della sezione II del capo VI del Titolo II della legge fallimentare dedicata alla “vendita dei beni” acquisiti all’attivo della procedura fallimentare, allora il nucleo del contrasto richiamato si deve rinvenire nel significato che si intende attribuire al concetto di “vendita coattiva”.

Ed invero, si rende necessario chiarire se una simile vendita sia anche quella che avviene nell’ambito concorsuale in forma negoziale, a prescindere dalla volontà del curatore/venditore, oppure se essa sia solo quella che ha come oggetto i beni del fallito sui quali si determina l’effetto automatico previsto dall’art. 42l. fall. e che vengono posti in vendita mediante procedura competitiva.

Inoltre, la Cassazione ritiene che il dibattito richiamato sia espressione di un diverso conflitto interpretativo: tra il diritto all’esecuzione del preliminare di vendita trascritto e il diritto di prelazione e sequela del creditore ipotecario.

Tale conflitto, infatti, assume una delicatezza particolare nell’ambito dei soggetti coinvolti laddove si consideri il rischio, a seconda della soluzione che si intenda preferire, per l’uno di vedere vanificato il prezzo corrisposto prima del fallimento, per l’altro di perdere, nei fatti, la garanzia del proprio diritto di credito.

Del resto, tale contrapposizione fa emergere anche la questione in ordine alla possibilità e alle modalità mediante le quali attribuire tutela all’interesse sacrificato dall’applicazione o meno dell’art. 108, comma 2, l. fall.

Ed invero, l’opinione favorevole all’applicazione della norma in parola ritiene che la tutela debba essere assicurata mediante l’ammissione del creditore ipotecario al concorso, con rango privilegiato, sull’intero prezzo pagato.

L’opinione contraria, invece, intende garantire sottolineando come il curatore, mediante il subentro nel contratto, sia tenuto ad adempiere a tutte e diverse obbligazioni che sussistevano in capo al fallito, compresa quella di liberare l’immobile da ipoteche pagando il creditore ipotecario iscritto. Peraltro, l’attuale codice della crisi sembra riconoscere tale circostanza prevedendo che gli acconti corrisposti prima dell’apertura della liquidazione giudiziale siano opponibili alla massa in misura pari alla metà dell’importo che il promissario acquirente dimostri di aver versato.

Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte ritiene opportuna la trasmissione degli atti al Primo Presidente, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., per valutare se rimettere la questione alle Sezioni Unite.

Riferimenti normativi

Art. 111 Cost.

Art. 42l. fall.

Art. 72l. fall.

Art. 72l. fall.

Art. 105l. fall.

Art. 106l.fall.

Art. 107l. fall.

Art. 108l. fall.

Art. 182l. fall.

art. 173CCII

Art. 2645-bis c.c.

Art. 2808 c.c.

Art. 2878 c.c.

Art. 2882 c.c.

Art. 374 c.p.c.

Art. 4D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169

Legge 7 agosto 2012, n. 134

Riferimenti giurisprudenziali:

Cass. 30454/2019

Cass. 30454/2019

Cass. 3310/2017

Cass. 23139/2020

Cass. Sez. Un. nr. 8504/2021

Trib. Milano 13 novembre 2017

Trib. Milano 21 settembre 2017

Trib. Milano 4 dicembre 2017

Trib. Messina 11 aprile 2018

Trib. Cagliari 2 gennaio 2020

Trib. Lecce 4 dicembre 2019

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