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Crocifiggere il Ragioniere generale dello Stato per l’errore di stima del Superbonus, senza chiamare un causa i decisori politici (e quali decisori, visto che Giavazzi era il principale consigliere di Draghi!) è esagerato. Il corsivo di Liturri

 

Noi ci avviciniamo sempre col massimo rispetto e genuina voglia di imparare agli articoli firmati dal professor Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera.

Ma spesso accade che, avanzando nella lettura, restiamo increduli di fronte a valutazioni discutibili o, peggio, dati fattualmente errati.

L’articolo apparso ieri purtroppo non si sottrae a questo abituale canovaccio.

Il tema in discussione è quello del ruolo di custode dei conti pubblici rivestito della Ragioneria Generale dello Stato.

L’accusa all’attuale Ragioniere Biagio Mazzotta, nemmeno tanto velata, è quella di aver ceduto alle pressioni dei politici e aver sottostimato l’impatto di due misure come il Superbonus e il “patent box”.

Sulla correttezza delle previsioni di impatto del Superbonus sui conti pubblici non da oggi abbiamo espresso riserve e critiche verso la Rgs. Soprattutto sulle stime successive alla prima formulazione del governo giallo rosso di Giuseppe Conte. I conti sono infatti esplosi nel 2022-2023, quando avrebbero dovuto essere in azione i freni del governo Draghi e prima che il governo Meloni ne imponesse degli altri. Quindi nessuna novità. A meno che non si voglia dire che sia stato proprio il governo del “Migliore”, chissà per quali fini, a condizionare Mazzotta. E questa sarebbe già una clamorosa notizia.

Giavazzi non convince quando tratteggia una RGS quasi allo sbando, perché “quando l’eco­no­mia si è fer­mata a causa del Covid, il Patto di sta­bi­lità è stato sospeso e la Ragio­ne­ria, che doveva con­ti­nuare a garan­tire le coper­ture, le trovò in poste di bilan­cio sem­pre meno pro­ba­bili per­ché la prio­rità era evi­tare il ripe­tersi di quanto acca­duto negli anni Trenta: un’esplo­sione della disoc­cu­pa­zione e dei fal­li­menti delle imprese”.

Non è affatto così. La RGS ha trovato le coperture in ben 12 apposite decisioni del Parlamento per autorizzare il governo, previa relazione sulle motivazioni, a un maggiore scostamento di bilancio e conseguente indebitamento, con una procedura di rango costituzionale.

Giavazzi non può non sapere tutto ciò. Di quale “poste improbabili” parla, se era tutto coperto con maggiore indebitamento autorizzato dal Parlamento?

Nella critica al Superbonus Giavazzi sostiene che “La Rela­zione tec­nica della Ragio­ne­ria sot­to­va­lutò que­sto aspetto, cioè dimen­ticò, ad esem­pio, che l’impatto di 6,6 miliardi sull’inde­bi­ta­mento netto del 2021, anzi­ché essere distri­buito sull’arco di 6 anni (dal 2021 al 2026) si sarebbe con­cen­trato nel bien­nio 21-22.”

Ma non è così. Come detto, l’errore fu nella stima sottovalutata dei 6,6 miliardi ma non in quella dell’impatto contabile sul quinquennio che era obbligato perché Eurostat aveva deciso così. Cosa c’entra la RGS su questo aspetto? Nulla.

L’altro errore di stima è quello relativo alla norma sul “patent box”, un’agevolazione da addetti ai lavori sconosciuta al grande pubblico, il cui impatto sui conti pubblici non ci risulta abbia determinato chissà quali sconquassi.

Secondo Giavazzi è “la pos­si­bi­lità per un’azienda di riva­lu­tare i pro­pri mar­chi e poi sva­lu­tarli un po’ all’anno, in tal modo evi­tando per molti anni di pagare alcuna impo­sta”. Sorvoliamo sul linguaggio atecnico, ma questa è una norma che esiste dal 2015. L’intervento dell’ottobre 2021 ha esplicitamente escluso i marchi, limitandosi alle spese di ricerca e sviluppo per brevetti, software e modelli industriali, con una superdeduzione del 110%. Quindi vuole attaccare la norma del 2021, ma descrive quella del 2015? Niente male come confusione.

Tanto è vero che alle imprese è ancora esplicitamente consentito di transitare dal vecchio al nuovo regime. Se la nuova fosse stata così vantaggiosa e quindi onerosa per lo Stato, perché mantenere questa opzione?

Invece Giavazzi sostiene che “Più grave quanto è acca­duto con il patent box — a comin­ciare dal fatto che il prov­ve­di­mento fu intro­dotto con un emen­da­mento dell’ultima ora la notte prima della vota­zione finale sulla Legge di bilan­cio 2021, cioè il giorno di Natale del 2020. Alla Ragio­ne­ria fu chie­sto di garan­tire in poche ore che il prov­ve­di­mento era «coperto» e la Ragio­ne­ria lo fece con la solita tec­nica: sot­to­sti­marne i costi. Stimò qual­che cen­ti­naio di milioni per una norma che sarebbe costata 70 miliardi se nel 2021 non fosse stata neu­tra­liz­zata allun­gando a 50 anni il periodo sul quale spal­mare il bene­fi­cio fiscale”.

Sembra francamente esagerata la stima di 70 miliardi per una misura così specifica e focalizzata. In ogni caso, quell’impatto è stato neutralizzato. Quindi di cosa stiamo parlando come presunta colpa di Mazzotta? Di nulla.

Giavazzi punta il dito contro “lobby potenti” (importanti studi legali) che nottetempo hanno fatto scivolare emendamenti su cui la RGS ha chiuso un occhio. Se fosse provato, roba da Corte dei Conti o da Procura della Repubblica.

La conclusione è che bisogna cambiare il Ragioniere Generale perché Mazzotta non ha avuto il coraggio di dire no alla politica. E ci vorrebbe qualcuno “indipendente”.

A questo punto sorge il sospetto che Giavazzi abbia deciso di tirare la volata a qualche suo candidato. O a se stesso.

Crocifiggere Mazzotta per l’errore di stima del Superbonus, senza chiamare un causa i decisori politici (e quali decisori, visto che Giavazzi era il principale consigliere di Draghi!) ci appare francamente esagerato.

Amicus Plato sed magis amica veritas.

 

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