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Come accade nell’esecuzione forzata ordinaria, nel cui àmbito sono inammissibili le opposizioni (tanto all’esecuzione, quanto agli atti esecutivi) proposte anteriormente alla notifica del precetto, così anche nel penale non possono esservene a fronte di un semplice invito al pagamento da parte del Tribunale. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 2973 depositata oggi, affermando un principio di diritto, e accogliendo il ricorso di un uomo condannato a pagare circa 26mila euro per spese di giustizia relative a un processo penale (con sentenza passata in giudicato).

Per la Suprema corte dunque: «In tema di recupero di spese di giustizia relative a procedimenti penali, avverso l’invito al pagamento emesso ai sensi dell’art. 212 del d.P.R. n. 115 del 2002 non sono ammissibili, per difetto di interesse ad agire, opposizioni all’esecuzione e opposizioni agli atti esecutivi, né azioni di accertamento negativo del credito».

L’esperibilità dei rimedi di tutela giurisdizionale, spiega la Corte, presuppone il compimento di un atto della riscossione a mezzo ruolo, con cui sia intrapresa (o anche soltanto minacciata, ma nelle forme ad hoc tipizzate) l’azione per il coattivo soddisfo del relativo credito. Per proporre una opposizione esecutiva – e contestare la quantificazione dell’importo chiesto o le modalità di recupero del credito – è dunque necessario che il soggetto condannato sia stato destinatario – quantomeno – di una cartella di pagamento.

Soltanto quando la pretesa del credito si sia estrinsecata in uno degli atti tipici della riscossione coattiva (d.P.R. n. 602 del 1973) sorge, per voluntas legis, il bisogno di tutela giurisdizionale del destinatario della pretesa e diviene attuale e concreto l’interesse ad agire di quest’ultimo.

Così, tornando al caso concreto, il ricorrente aveva proposto «opposizione» contro l’invito al pagamento “emesso e notificato – in uno all’estratto di condanna penale – dall’Ufficio recupero crediti del Tribunale militare di Napoli. Ma questo, continua la Corte, è un atto di natura amministrativa, che ha contenuto di autoliquidazione del credito da parte dello stesso ente creditore, ed è “privo di qualsivoglia efficacia esecutiva, anteriore alla formazione del ruolo e nemmeno necessariamente prodromico alla iscrizione a ruolo del relativo credito”.

In altre parole, contro tale invito al pagamento – “atto estraneo alla sequenza procedimentale della riscossione coattiva a mezzo ruolo” – non era proponibile opposizione esecutiva. E dunque non poteva – come invece accaduto – essere esaminata nel merito.

Ragion per cui, l’originaria inammissibilità della opposizione, rilevabile anche d’ufficio dalla Corte di legittimità, comporta la cassazione senza rinvio della sentenza (con travolgimento anche di quella appellata, per il riscontrato vizio genetico) “perché la causa non poteva essere proposta”.

Si tratta, conclude la Corte, di una vicenda del tutto nuova “sulla quale, a quanto consta, non si rinvengono precedenti del giudice della nomofilachia negli esatti termini”, il che giustifica l’integrale compensazione delle spese per l’intero giudizio, nei gradi di merito e in sede di legittimità.

 

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