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Nota a Cass. Pen., Sez. V, sentenza 2 marzo 2022 (ud. 10 gennaio 2022), n. 7557.

Con la recente sentenza n. 7557, depositata il 2 marzo 2022, la Corte di Cassazione ha affrontato il tema della violazione del divieto di bis in idem in ordine alle fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale e di occultamento o distruzione di documenti contabili, rispettivamente ex artt. 216, comma 1, n. 2, L. Fallimentare e 10, D.Lgs. n. 74/2000.

Questi i fatti: tre amministratori venivano condannati per bancarotta fraudolenta documentale; in particolare, al G.P. veniva contestata l’ipotesi di sottrazione delle scritture contabili, mentre gli altri due amministratori, precedentemente in carica, sono stati ritenuti responsabili di aver tenuto le predette scritture in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.

Tuttavia, il G.P. era già stato processato, con sentenza definitiva di assoluzione per insussistenza del fatto, per il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili, sempre in riferimento alla stessa società; pertanto, l’imputato ricorreva per cassazione contestando l’improcedibilità del nuovo giudizio, ex art. 649 c.p.p., trattandosi dello stesso fatto per cui era già intervenuta la sentenza assolutoria.

Nell’esaminare la questione sottoposta alla loro attenzione, i Giudici prendono le mosse dalla nota sentenza della Consulta[1] che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., nella parte in cui, secondo il diritto vivente, escludeva che il fatto fosse il medesimo per la sola circostanza che sussistesse un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui era iniziato il nuovo procedimento penale.

La pronuncia richiamata, in tal senso, ha affermato che per riscontrare il requisito della medesimezza del fatto, ex art. 649 c.p.p., occorre verificare se si sia in presenza dello stesso fatto storico, inteso quale “accadimento materiale”. L’eventuale esistenza di un concorso formale tra i reati oggetto della res iudicata e della res iudicanda “è un fattore ininfluente ai fini dell’applicazione dell’art. 649 c.p.p. (…). Ai fini della decisione sull’applicabilità del divieto di bis in idem rileva infatti solo il giudizio sul fatto storico[2]”.

Si è a tal punto precisato, peraltro, che la presenza di un concorso formale di reati, pur non escludendo in radice la violazione del divieto di bis in idem, neppure consenta implicazioni a contrario: non è detto, infatti, che la sussistenza di un concorso formale tra reati determini automaticamente l’operatività dell’art. 649 c.p.p.

La precisazione è di sicuro rilievo poiché, nonostante la clausola di riserva contenuta nell’art. 10 D.Lgs. n. 74/2000 e la contraria opinione della dottrina[3], la giurisprudenza pare orientata nel riconoscere l’esistenza di un concorso di reati tra le due fattispecie delittuose in commento[4].

Fatte tali premesse, gli Ermellini osservano come nel caso di specie vi siano almeno due momenti di distinguo che consentirebbero di escludere la ricorrenza dell’idem factum, rilevante ex art. 649 c.p.p.

In primo luogo, un limite invalicabile sarebbe rappresentato dalla non sovrapponibile collocazione temporale delle condotte. Infatti, mentre nel processo per il reato tributario la sottrazione delle scritture si riferiva a fatti anteriori al 12 novembre 2005, nel processo pendente innanzi alla Corte ci si riferisce alla sottrazione di tutte le scritture fino alla data del fallimento, dichiarato in data 23 luglio 2009. Ciò consentirebbe di rilevare una differenza sostanziale tra le due condotte oggetto dei rispettivi procedimenti penali.

In secondo luogo, un ulteriore momento di differenziazione riguarderebbe l’oggetto materiale del reato, e segnatamente la natura delle scritture contabili.

Invero, mentre la bancarotta fraudolenta documentale ha ad oggetto tutte le scritture contabili obbligatorie e quelle facoltative richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa (indipendentemente dall’obbligo di conservazione fiscale), il reato ex art. 10 D.Lgs. n. 74/2000 riguarda le scritture contabili di cui è obbligatoria la conservazione ai fini fiscali. Pertanto, l’oggetto materiale del reato fallimentare risulta sensibilmente più ampio rispetto a quello relativo al reato tributario.

Ciò posto, la Corte rileva come nel caso in esame la censura risenta del difetto di allegazione del ricorrente: pertanto, occorre rifarsi alla sola contestazione del pubblico ministero (ove si parla di “documenti contabili e fiscali di cui era obbligatoria la conservazione”).

In assenza, pertanto, di una circoscrizione dell’oggetto materiale del reato contestato, non potrebbe esservi una sovrapposizione circa la tipologia di scritture contabili oggetto di sottrazione.

La Corte, sulla scorta di tali motivi, perviene dunque al rigetto del ricorso presentato dall’imputato G.P.

Giova evidenziare, in conclusione, come la Cassazione non abbia precluso in via generale la violazione del bis in idem tra le due fattispecie criminose in esame, ma abbia soltanto rilevato l’assenza di tale violazione nel presente giudizio, alla luce delle risultanze istruttorie circa la non perfetta sovrapponibilità dei fatti contestati nei diversi procedimenti.

Fonte immagine: www.pixabay.com

[1] Corte Cost. n. 200/2016.

[2] Corte Cost., cit.

[3] L. SALVINI, F. CAGNOLA, Manuale professionale di diritto penale tributario, 2021, par. a cura di V. QUATTRINI, pp. 733 ss.

[4] Cfr. Cass. Pen., Sez. V, 13 marzo 2018, n. 11049.

 

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