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La Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Veneto, con la sentenza n. 241/05/2024 depositata in data 5.3.2024, si è pronunciata in merito alla legittimità di un atto, con il quale l’Agenzia delle entrate aveva contestato l’inesistenza di un credito per ricerca e sviluppo ex articolo 3, D.L. 145/2013.

In particolare, il caso affrontato dalla Corte di Giustizia si riferiva a un credito che una società aveva maturato a seguito dello sviluppo di una piattaforma innovativa e prototipale, finalizzata a consentire la gestione unitaria delle diverse fasi dell’attività imprenditoriale, mediante l’integrazione dei software ERP (software per la gestione operativa dell’azienda) e CRM (Customer Relationship Management).

L’Agenzia delle entrate aveva contestato la legittimità di tale credito per il principale e fondamentale motivo che l’attività di sviluppo del citato software sarebbe stata priva degli elementi di novità e di creazione che avrebbero consentito alla società di superare ostacoli o incertezze in campo scientifico/tecnologico e di generare un avanzamento delle conoscenze generali nel settore.

La suddetta contestazione, tuttavia, si fondava su una lettura parziale della documentazione prodotta dalla società in sede di contraddittorio con l’Agenzia delle entrate. Quest’ultima, infatti, non aveva condotto alcuna approfondita analisi concreta circa la natura del sistema sviluppato dalla società.

Il contribuente, invece, da parte sua, nel corso del procedimento, aveva prodotto una perizia asseverata, nella quale era stato espressamente affermato che l’attività di ricerca e sviluppo del software realizzata dal contribuente presentava le caratteristiche individuate dalla disciplina per beneficiare del credito ex articolo 3, D.L. 145/2013.

In particolare, nella citata perizia, era stato chiarito che il software oggetto di esame rientrava perfettamente nella definizione di ricerca e sviluppo prevista dal Manuale di Frascati, secondo cui “l’attività di R&S nell’ambito del progetto deve portare a risultati nuovi per le imprese e non già utilizzati in questo settore”.

La Corte di Giustizia Tributaria, con la sentenza oggetto di commento, ha accolto i motivi di doglianza sollevati dal contribuente ed ha dichiarato l’illegittimità dell’atto con il quale era stata contestata l’inesistenza del credito per ricerca e sviluppo.

In primo luogo, i giudici di secondo grado, con la citata pronuncia, hanno ricordato che il credito per ricerca e sviluppo può essere invocato da parte di quei soggetti che svolgono un’attività volta a ottenereun miglioramento di prodotti, processi o servizi esistenti”, ossia un’attività che presenti simultaneamente i requisiti di novità, creatività, incertezza, sistematicità e trasferibilità o riproducibilità.

In particolare, i giudici veneti hanno statuito che la verifica circa la sussistenza di tali requisiti deve essere condotta in concreto attraverso valutazioni, molto spesso, complesse e di carattere squisitamente tecnico-scientifico. Tali valutazioni richiedono il possesso di specifiche competenze tecniche, spesso estranee sia all’Amministrazione finanziaria che all’impresa beneficiaria del credito. È per questa ragione che i giudici di secondo grado hanno ricordato che, in fase di controllo, l’Agenzia delle entrate, al pari del contribuente, ha la facoltà di interrogare sulla questione il più competente Ministero dello Sviluppo Economico (oggi, Ministero delle Imprese e del Made in Italy).

Nel caso di specie, tuttavia, l’Agenzia delle entrate, pur in mancanza di professionalità al suo interno, non ha interpellato il MISE e, come detto, ha fondato la contestazione esclusivamente su una lettura parziale della documentazione prodotta dal contribuente, senza svolgere alcuna concreta analisi tecnica.

Alla luce di quanto sopra, i giudici di secondo grado hanno annullato l’atto di recupero emesso dall’Agenzia delle entrate, affermando che “non convince la motivazione dell’atto di recupero non sorretta da un valido percorso logico-giuridico motivazionale, non spettante l’agevolazione per il riconoscimento del credito d’imposta per la ricerca e lo sviluppo basando principalmente l’analisi dell’attività di produzione di un software ritenuto carente del requisito della <<novità>>, posto che non costituisce progetto innovativo, non supportata da alcun parere tecnico del MISE, anche se facoltativo, sull’analisi delle caratteristiche del software sviluppato, non avendone le specifiche competenze tecnico-professionali per analizzare il progetto sviluppato”.

La sentenza deve essere accolta con favore dal momento che i giudici veneti, pur riconoscendo la facoltà della richiesta del preventivo parere tecnico del MISE, ha statuito che le contestazioni avanzate dall’Agenzia delle entrate devono necessariamente essere supportate da approfondite analisi tecniche volte ad accertare la carenza o meno del requisito della novità.

 

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