Chi intenda avvalersi di una facoltà o un beneficio previsti
dalla legge, in linea generale, è tenuto a fornire delle
prove che dimostrino la sussistenza dei
presupposti per l’accesso, non potendo tali prove
essere poste a carico del giudice competente.
In materia di esecuzione penale, però, il
discorso è differente. Difatti, in tal caso, il soggetto che invoca
un provvedimento giurisdizionale favorevole, come la
revoca dell’ordine di
demolizione, non è tenuto all’onere probatorio, ma solo un
onere di allegazione, cioè un dovere di
prospettare e indicare specificatamente i fatti sui quali si basa
la richiesta, che devono poi essere accertati e verificati
dall’autorità giudiziaria.
Tale procedura si applica appunto anche in ambito di
reati edilizi, in relazione ai quali
l’onere probatorio incombe sul giudice; pertanto,
se questo non provvede ai dovuti accertamenti, il provvedimento
disposto in assenza di adeguate prove dev’essere annullato.
Revoca ordine di demolizione: rigetto invalido in assenza di
prove
Lo ha spiegato la Corte di Cassazione con la
sentenza del
15 aprile 2024 n. 15413, che ha accolto il
ricorso proposto per l’annullamento dell’ordine di demolizione
relativo ad opere che sono state oggetto di condono ai sensi della
L. 326/2003 (Terzo Condono Edilizio), poi
annullato e successivamente ripristinato.
Spiegano gli ermellini che nei casi nei quali un soggetto
dovesse invocare, in sede esecutiva, la sospensione o la
revoca dell’ordine di demolizione, egli è tenuto appunto a
specificare e indicare le ragioni e i fatti sui quali si basa la
richiesta; motivazioni che devono poi essere oggetto di verifiche e
accertamenti da parte dell’autorità competente.
Nel caso in esame sono emerse in merito ai controlli diverse
inadempienze imputabili sia al primo Giudice dell’esecuzione, sia
al G.I.P. in sede di giudizio di rinvio.
In particolare, nel 2004 la ricorrente aveva presentato domanda
di condono edilizio – per la realizzazione di un manufatto già
oggetto di sanzione demolitoria – poi accolta dal Comune mediante
provvedimento dirigenziale 10 anni dopo. Successivamente, a
distanza di qualche anno, l’autorità comunale emetteva
provvedimento di diniego definitivo del condono
precedentemente rilasciato per mancanza dei presupposti di
accoglimento, con conseguente emissione di nuovo ordine di
demolizione.
La ricorrente proponeva a quel punto ricorso dinanzi al TAR, che
provvedeva ad annullare sia il provvedimento di diniego che
l’ordinanza di ripristino, con conseguente reviviscenza del titolo
edilizio in sanatoria.
In sede di rinvio poi, Il G.I.P. ha ritenuto che:
- la decisione del TAR fosse basata su esclusive ragioni
formali, avendo omesso qualsiasi valutazione in merito alla
sussistenza dei presupposti di rilascio del condono - lo stesso provvedimento avente valore di condono non fosse
stato emesso validamente dal Comune, in quanto le opere, in ogni
caso, non sarebbero state sanabili.
Verifica presupposti di sanabilità: quali elementi
obbligatori
In entrambi i casi i Giudici non hanno provveduto ad attuare le
dovute perizie per verificare realmente la sussistenza o meno dei
presupposti di sanabilità.
Si fa presente infatti che il giudice dell’esecuzione, ai fini
della revoca dell’ordine di demolizione di un immobile oggetto di
condono, è sempre tenuto a verificare la legittimità del
sopravvenuto atto concessorio, con particolare riguardo a:
- la normativa applicabile;
- la legittimazione di colui che abbia ottenuto la
sanatoria; - la tempestività della domanda;
- il rispetto dei requisiti strutturali e temporali per la
sanabilità; - il tipo di vincolo esistente, in caso di immobili ubicati in
area sottoposta a vincoli; - la sussistenza dei requisiti volumetrici o di destinazione
d’uso.
Nel caso in questione tali valutazioni obbligatorie non sono
state effettuate. Il Giudice infatti avrebbe dovuto disporre una
perizia per verificare la sussistenza o meno delle circostanze
segnalate, invece si è limitato a ritenere fondati i rilievi mossi,
senza fornire alcuna indicazione in ordine alle fonti
probatorie atte a giustificare l’efficacia dell’ordine di
demolizione, e non dando peraltro alcuna risposta in merito alle
motivazioni mosse dalla difesa, che dimostrano la validità del
condono, in quanto:
- la domanda di condono ex art. 32 dl. n. 269 del 2003 convertito
in I. n. 376 del 2003, deve verosimilmente ritenersi legittima, in
considerazione del principio del favor rei e in assenza di
prova contraria, che il completamento della tompagnatura sia
avvenuto in epoca pienamente compatibile con il termine del
31 marzo 2003; - la ritenuta insussistenza del requisito volumetrico (limite dei
30% della parte condonata rispetto all’esistente assentito) da
parte del P.M. non è stata basata su dati concreti né concretamente
verificata dal Giudice dell’Esecuzione; - non era esistente un vincolo di inedificabilità
assoluta, contrariamente a quanto prospettato nel
provvedimento impugnato.
Non si può quindi ritenere assolto l’onere di valutazione e
accertamento, così come non si può considerare logica ed esauriente
la motivazione su cui si basa il diniego di revoca o sospensione
dell’ordine di demolizione, non essendo stata condotta
l’istruttoria obbligatoria finalizzata alla verifica della
sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto.
I giudici della Corte hanno quindi disposto all’accoglimento del
ricorso con rinvio al Tribunale per nuovo esame.
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