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In seguito alla scadenza disposta per la conclusione dei
lavori
ai fini del rilascio del condono non è possibile
realizzare ulteriori opere sull’immobile abusivo, ad eccezione di
determinati casi previsti dalla legge.

Di conseguenza, non è consentito in alcun modo provvedere con
interventi che modifichino e alterino il manufatto in maniera
significativa con l’obiettivo di renderlo sanabile
successivamente alla scadenza
dei termini stabiliti. Si
tratterebbe infatti di un indebito tentativo di aggirare la
disciplina legale, che avrebbe il solo effetto di aggravare
ulteriormente l’illecito già commesso, andando a creare altre opere
abusive.

Condono edilizio: quali lavori ammessi dopo il termine di
legge?

A spiegarlo è stata la Corte di Cassazione con
la
sentenza
dell’11 marzo 2024
, n. 11413
con cui
ha respinto il ricorso presentato contro il diniego sulla richiesta
di incidente di esecuzione, finalizzato a ottenere la revoca o
la sospensione dell’ordine di demolizione divenuto
irrevocabile.

Sul punto, gli ermellini hanno ricordato che, in materia di
condono edilizio, possono essere sanate esclusivamente le opere
che, nel rispetto di determinate caratteristiche, risultano
completate entro i termini imposti dalla legge.
Non è chiaramente consentito, dunque, intervenire sugli immobili
abusivi per renderli conformi alla disciplina in seguito alla
scadenza imposta per il condono.

Gli unici interventi che si possono conseguire oltre i termini
sono infatti quelli previsti dalla Legge n. 47/1985
(c.d. Primo Condono Edilizio), che:

  • all’art. 35 (“Procedimento per la sanatoria”)
    ammette – decorsi 120 giorni dalla presentazione e comunque dopo
    aver versato la seconda rata dell’oblazione – la possibilità di
    conseguire, sotto la propria responsabilità, modesti lavori
    di completamento e rifinitura
    dell’opera abusiva, a meno
    che questa non sia ubicata all’interno di un’area sottoposta a
    tutela nella quale sussistano vincoli di inedificabilità;
  • all’art. 43 (“Procedimenti in corso”) consente
    – unicamente per le opere che non siano state ultimate in tempo per
    effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali – la
    realizzazione di soli lavori che siano strettamente necessari a
    rendere funzionale il manufatto.

È invece vietato in qualsiasi caso il conseguimento di
interventi edilizi che comportino notevoli modifiche e
vadano ad alterare la struttura dell’immobile,
anche qualora fossero stati erroneamente assentiti
dall’Amministrazione comunale.

Illecita la modifica della volumetria dopo l’istanza di
condono

Nel caso in esame si rileva che, in seguito alla pronuncia di
condanna nel 1998 e all’ingiunzione dell’ordine di demolizione nel
2013, la ricorrente aveva presentato istanza di condono lamentando
l’incidente di esecuzione in virtù del fatto che l’immobile non
superava il limite di 750 metri cubi disposto dalla Legge n.
724/1994 (Secondo Condono Edilizio), come era
stato contestato.

Subito dopo la presentazione della domanda, tuttavia, la
ricorrente aveva realizzato ulteriori opere che hanno comportato
incrementi della volumetria, portando il manufatto a
superare il limite suddetto
, peraltro dopo la data ultima
consentita per la conclusione delle opere condonabili, ovvero il
31 dicembre 1993.

Successivamente veniva presentata una CILA, approvata dal
Comune, per provvedere alla demolizione della parte di
volumetria eccedente
realizzata in data successiva ai
limiti di legge. A quel punto la ricorrente provvedeva, nel 2023,
all’esecuzione dei lavori di demolizione (che hanno effettivamente
interessato solo tramezzi interni e parte delle tompagnature
esterne) allo scopo di far rientrare l’immobile nei limiti
di volumetria
disposti dalla normativa.

La Corte rileva che si tratta di un chiaro tentativo di aggirare
indebitamente la normativa, in quanto non è in alcun modo ammessa
la realizzazione di opere, seppur di demolizione, che comportino
consistenti modifiche ad un manufatto dichiarato abusivo e oggetto
di istanza di condono edilizio.

Dai fatti analizzati si evince infatti che l’immobile è
stato effettivamente completato in data successiva a quella ultima
prevista
per il secondo condono.

Tale elemento da solo è sufficiente per determinare il diniego
dell’istanza, tenendo conto anche del fatto che le opere
realizzate non rientrano tra quelle consentite
in seguito
al termine per l’approvazione della sanatoria. Il ricorso è
pertanto inammissibile.

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