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I controlli del Fisco sulle dichiarazioni dei redditi cambiano: vediamo come funzionano con l’aiuto di Marco Greggi, ordinario di Diritto tributario, e Leonzio Rizzo, ordinario di Economia, entrambi dell’Università di Ferrara.

Nessuna dichiarazione

Chi non fa la dichiarazione dei redditi e viene scoperto dall’Agenzia delle Entrate deve pagare una sanzione fino al 240% dell’imposta dovuta. In futuro – se entra in vigore lo schema del decreto legislativo del 21 febbraio 2024 approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri – pagherà al massimo il 120%.

Il controllo automatico

Chi invece la dichiarazione dei redditi la fa e paga può vedersi arrivare dal Fisco una raccomandata o una Pec che gli contesta di non avere versato il dovuto di Irpef, Ires, Iva, Imposta di registro. Può succedere principalmente in due casi.
1) Dopo un «controllo automatico» dell’Agenzia delle Entrate che incrocia gli importi della dichiarazione dei redditi con le informazioni della sua banca dati, dove salta fuori un canone d’affitto o un compenso non dichiarati. Arriva una «lettera di compliance» (qui il Fac-simile): nel 2023 ne vengono inviate 3,2 milioni per 4 miliardi di euro recuperati (qui pag. 8). Proprio in questi giorni ne sono partite a migliaia: nel mirino i redditi 2020. Entro la fine del 2024 ne saranno spedite oltre 3 milioni, con un previsione di 3 miliardi di euro di incasso (qui pag. 22).

Chi riceve la contestazione, se ritiene corretti i dati della propria dichiarazione, invia a sua volta una comunicazione all’Agenzia, insieme a ulteriori documenti. Chi invece capisce di avere sbagliato può «ravvedersi» presentando una dichiarazione integrativa. Con il decreto del 21 febbraio la sanzione del 15% sul dovuto scende intorno al 10%. Chi infine fa finta di niente (né paga né contesta) riceverà un «avviso di accertamento» che è l’atto con cui l’Agenzia delle Entrate notifica formalmente la pretesa tributaria con una sanzione che, con l’approvazione definitiva del decreto del 21 febbraio, scenderà dal 90%-180% al 70% (qui come funziona).

Il controllo formale

2) Una raccomandata o una Pec di contestazione possono arrivare dopo un «controllo formale», ovvero a seguito di un’indagine vera e propria da parte dell’Agenzia delle Entrate. In questo caso due nuovi provvedimenti cambiano le regole:il primo è in vigore dal 18 gennaio 2024 (qui art. 1, comma 4 e), il secondo dal 22 febbraio 2024 (qui).

In pratica nello Statuto dei diritti del contribuente entra il principio del «contraddittorio obbligatorio» con l’Agenzia delle entrate (qui) che vuol dire concedere al contribuente 60 giorni di tempo per esprimere la propria versione dei fatti, pena l’annullamento dell’atto. Qual è la differenza rispetto al passato? Prima il principio del contraddittorio c’era, ma senza conseguenze in sua assenza, motivo per cui ora viene cancellato l’art. 5 ter del decreto legislativo del 1997 (qui). Inoltre il momento del contraddittorio viene anticipato allo «schema di atto»: l’Agenzia invia la motivazione dei controlli e il calcolo delle maggiori imposte da pagare a indagini ancora in corso e non a indagini concluse (cancellato art. 12 comma 7 della Legge 212 del 27/07/2000 qui e qui). Di fatto il contribuente può sedersi prima al tavolo con l’Agenzia per fare le controdeduzioni, chiedere gli atti che lo riguardano e può poi avanzare la cosiddetta «istanza di accertamento con adesione», ossia mettersi d’accordo sulla somma da pagare (qui art. 1 comma 2 bis).

Fisco amico

Insomma, il Fisco a parole diventa più amico. In realtà già prima l’Agenzia delle Entrate procedeva per la gran parte delle contestazioni con l’«invito all’adesione» che vuol dire mettersi d’accordo. Adesso può essere risparmiato tempo se il contribuente risponde all’Agenzia delle Entrate e trova un accordo (ma aumenta anche l’incertezza sull’ammontare del tributo effettivamente dovuto). In caso contrario l’Agenzia resta ferma per 60 giorni in attesa di un cenno che può anche non arrivare.

 

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