L’economista Luca Streri ha presentato al Salone del Libro di Torino il progetto di economia gandhiana: “Lo strumento non devono essere solo i soldi, altrimenti le persone si comprano il cellulare o la televisione, mentre non hanno né l’acqua né la luce”
TORINO – La zona (a sud-est) è una tra le più povere dell’India. Le persone poverissime, ma una scintilla di speranza appare, soprattutto nei volti delle donne. È proprio a loro che si è rivolto il progetto di economia gandhiana portata avanti in questi anni dal torinese Luca Streri (economista, dedicatosi poi totalmente al microcredito) e dal vescovo indiano Paul Maipan (considerato uno dei più importanti operatori di pace della sua regione, fondatore di diverse istituzioni attive nella lotta alla povertà), entrambi presenti al Salone del Libro di Torino. Il titolo dell’incontro: “Microfinanza solidale e crescita dal basso. L’approccio dell’economia gandhiana e il caso indiano”. Due le idee fondamentali: le donne come veicolo principale del cambiamento e l’insufficienza del microcredito, se utilizzato come unica risorsa.
“I più poveri hanno necessità più immediate, come la salute – racconta Streri – . Come aprire un’attività senza la salute? In quelle zone la malattia più comune è la tubercolosi, poi c’è la lebbra, e la malaria. Lo strumento non devono essere solo i soldi, altrimenti c’è il rischio che le persone si comprino il cellulare o la televisione per farsi vedere dagli amici, mentre non hanno né l’acqua né la luce in casa”. Gli individui vanno formati; attraverso l’ascolto dei loro problemi, dando loro una motivazione: “La miseria è presente da secoli, è normale, l’età massima è 50 anni, l’80% della popolazione è analfabeta. Ci rivolgiamo alle donne, quelle più intraprendenti, insegniamo loro a leggere e scrivere, ragioniamo sulle dinamiche della povertà, sul come prevenire le malattie, e come si possa uscire dalla povertà creando leadership forti, che ad esempio possano avvicinarsi a programmi governativi, che altrimenti si perderebbero nei meandri della burocrazia”.
È solo dopo un anno, quando il gruppo è pronto, che viene erogato del denaro, attraverso prestiti: 40 euro per una macchina da cucire, comprare una capra, una pecora, dei biscotti. “Noi li motiviamo – continua Streri – la cosa più semplice sarebbe semplicemente dare soldi, ma da soli non servono”. L’ultimo stadio è la formazione di una cooperativa, e poi la costruzione di strutture comunitarie. In questo modo, alcune donne che riescono a cambiare la vita del loro villaggio”. “Le persone là non sono povere di spirito, come spesso in Occidente, ma portare soldi come unico intervento non è sinonimo di benessere. È uno strumento, ma vanno mantenuti i loro grandi valori, per creare, come fece Gandhi, una ricchezza diffusa. Formando delle competenze e non lasciando indietro i più deboli. Una cultura è ricca quando protegge i più fragili”.
“Il target è la casta degli intoccabili – spiega ancora il vescovo Maipan – le persone più in basso che non hanno accesso alla politica, alla società, che sono emarginati. La popolazione è divisa per nascita in gruppi: il più alto i bramini, il clero. Poi i guerrieri, i commercianti, i contadini. Sotto, ci sono gli intoccabili, che sono il 18% della popolazione indiana, fanno i lavori più umili come i lustrascarpe, le pulizie, e non possiedono la terra. Non bisogna toccarli, si dice, per il rischio di “infettarsi”. Noi lavoriamo con loro, su piccoli gruppi, perchè diventino partecipi al processo di sviluppo, insegniamo loro un lavoro, affinchè abbiano consapevolezza della propria condizione e riescano a riabilitare la propria dignità umana”. (rf)
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