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Il rapporto tra paziente e odontoiatra si colloca, infatti, nel contratto di prestazione d’opera intellettuale ex art. 2230 c.c. e il paziente danneggiato deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante. In generale il professionista, nell’espletamento dell’attività promessa (sia essa di mezzi o di risultato), è obbligato, a norma dell’art. 1176 c.c., ad usare la diligenza del buon padre di famiglia; la violazione di tale dovere comporta inadempimento contrattuale, del quale è chiamato a rispondere anche per la colpa lieve, salvo che nel caso in cui, a norma dell’art. 2236 cod. civ., la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, e, in caso di colpa in applicazione del principio di cui all’art. 1460 cod. civ., con perdita del diritto al compenso. (Nella specie, la Corte d’Appello sulla base dell’erronea premessa sopra riportata ha del tutto omesso ogni indagine sulla gravità dell’inadempimento del B., attribuendo erroneamente rilevanza ad una presunta idoneità dell’opera rispetto allo scopo cui era destinata e nonostante la perdita di almeno due impianti fosse certamente da attribuire alla errata prestazione del B.). È quanto si legge nell’ordinanza della n. 21761 del 20 luglio 2023 della Cassazione.

S. P. conveniva dinanzi il Tribunale di Sanremo C. B. per sentir dichiarare la risoluzione del contratto per grave inadempimento del professionista e per la condanna al risarcimento dei danni e restituzione delle somme versate.

L’attrice esponeva di essersi sottoposta nel 2001 a cure odontoiatriche affidandosi al convenuto e che la terapia impiantologica da questi apprestata si era manifestata del tutto inadatta e le aveva cagionato gravi dolori e fastidi.

La P. proponeva dinanzi al medesimo Tribunale di Sanremo opposizione al decreto ingiuntivo con il quale le era stato ingiunto il pagamento in favore di C. B. di euro 5074,26 quale saldo delle prestazioni professionali rese da quest’ultimo, deducendo che la prestazione professionale era risultata del tutto inadatta e chiedendo la riunione con il procedimento instaurato come attrice per la risoluzione del contratto.

C. B. si costituiva in entrambi i procedimenti chiedendo il rigetto delle domande di controparte.

Il Tribunale espletava una consulenza tecnica d’ufficio e, all’esito, dichiarava inammissibile l’opposizione a decreto ingiuntivo per difetto di valida procura e rigettava le domande dell’attrice non ritenendo sussistente l’asserito inadempimento del B. e, comunque, non essendo risultata la prestazione professionale del convenuto del tutto inadatta alla sua destinazione così da giustificare l’accoglimento della domanda di risoluzione.

S.P. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

Disposta la rinnovazione della consulenza, e all’esito dei chiarimenti e sulla base delle conclusioni delle parti la Corte d’appello confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo che precedentemente, aveva ritenuto ammissibile con sentenza non definitiva.

In particolare, la Corte d’Appello rilevava che non era dato riscontrare difetti nell’esecuzione degli interventi eseguiti nell’arcata inferiore e che i problemi si erano verificati nell’arcata superiore.

Inoltre, il giudice del gravame evidenziava la sussistenza di alcune contraddizioni nell’operato del consulente tecnico d’ufficio di primo grado tanto che si era reso necessario disporre la rinnovazione della consulenza.

Il consulente ufficio nominato dalla Corte d’appello aveva evidenziato che la perdita del residuo impianto eseguito da Bertazzo nell’arcata superiore sinistra si era verificata dopo sei mesi dalla sua protesizzazione e che l’impianto evidenziava una grave ed estesa perimplantite.

Le cause di tale patologia dovevano essere attribuite ad un errato carico occlusionale verificatosi a seguito della perdita del primo impianto a sinistra.

Egli non aveva provveduto ad inserire un nuovo impianto in sostituzione di quello perso ed aveva eseguito la protesi definitiva utilizzando come supporti i due impianti di destra e uno solo a sinistra.

Il consulente aveva rilevato che il sovraccarico occlusionale aveva favorito un’eccessiva sollecitazione ossea con la perdita dell’osteointegrazione e la perdita dell’impianto con la conseguenza che, anche in applicazione del più “probabile che non”, doveva ritenersi che la causa della perdita del secondo impianto eseguito all’arcata superiore di sinistra fosse da imputare ad un’errata esecuzione protesica da parte di B.

La circostanza che il professionista pur dopo la perdita del primo impianto nell’arcata superiore di sinistra non avesse installato una protesi con palato e, comunque, con un appoggio palatale esteso e non limitato risultava dalle stesse difese dell’appellato dinanzi il Tribunale avendo questi affermato che la paziente non si era più presentata a studio e non lo aveva posto in condizione di ovviare al sopravvenuto sovraccarico per perdita del primo impianto mentre non aveva mai affermato di aver provveduto ad eseguire una protesi con palato in modo da evitare il sovraccarico dopo la perdita del primo impianto. Il Bertazzo aveva ultimato i propri interventi nel marzo 2002 dopo che si era già verificata la perdita del primo impianto sicché già a quella data, a parere della Corte d’Appello, era compito suo installare una protesi idonea ad evitare il prevedibile sovraccarico senza attendere i successivi controlli mancati per l’abbandono delle cure in favore di altro professionista da parte della P.

Inoltre, il B. non aveva provato di aver fissato controlli ravvicinati a seguito della perdita del primo impianto. Il consulente tecnico aveva imputato a B. anche la perdita dell’impianto eseguito nell’arcata superiore destra. Secondo il consulente il nuovo medico a cui si era rivolta la attrice nel dicembre 2002 aveva provveduto ad adattare la protesi alla nuova situazione creatasi a seguito della perdita di entrambi gli impianti di sinistra, la perdita dell’impianto 15 doveva ritenersi conseguente alla mancata sostituzione da parte di Bertazzo del primo impianto perso a sinistra cui era derivata l’esecuzione di una protesi sbilanciata negli ancoraggi con successiva perdita del secondo impianto di sinistra che aveva causato un grave squilibrio nell’ancoraggio delle protesi, conseguendone, infine, anche la perdita di un impianto a destra. Dunque, anche la perdita dell’impianto di destra 15 era dovuta al sovraccarico verificatosi a causa della protesi scorretta installata dal Bertazzo a seguito della perdita del primo impianto. Successivamente il consulente aveva precisato che non era possibile stabilire se attraverso una sollecita terapia odontoiatrica fosse possibile rimediare ai problemi relativi all’impianto 15.

In conclusione, la perdita degli impianti dell’arcata superiore 23 di sinistra e 15 di destra dovevano essere attribuiti alla erronea prestazione del B.

Ciò premesso doveva rigettarsi il motivo di appello diretto a contestare la sentenza nella parte in cui non aveva accolto la domanda di risoluzione del contratto. Il primo giudice aveva affermato che, ai sensi dell’articolo 1668 c.c., richiamato dall’articolo 2226, comma secondo, c.c., a sua volta richiamato dall’articolo 2230 c.c. anche relativamente alla ,, ove l’obbligazione professionista debba qualificarsi un’obbligazione di risultato, la risoluzione del contratto poteva essere pronunciata solo ove le difformità e vizi fossero tali da rendere l’opera del tutto inadatta alla sua destinazione. L’appellante non aveva contestato in modo specifico l’applicabilità alla fattispecie delle norme richiamate ma aveva contestato la sentenza nella parte in cui, anche ammettendo una responsabilità del B., aveva comunque escluso che la prestazione fosse del tutto inadatta alla sua destinazione.

Secondo la Corte d’appello la prestazione resa dal B. non era del tutto inadatta alla sua destinazione.

Considerato che il contratto aveva ad oggetto interventi sia nell’arcata inferiore che in quella superiore, in particolare l’esecuzione di otto impianti di cui ne erano stati persi solo tre e con imputabilità all’appellato solo della perdita di due doveva escludersi la totale inidoneità degli interventi effettuati dal B. e, quindi, la ricorrenza dei presupposti per la risoluzione del contratto. Non potevano pertanto accogliersi le domande risarcitorie venendo meno il presupposto dell’accoglimento della domanda risolutoria. Per le medesime ragioni doveva rigettarsi l’opposizione a decreto ingiuntivo non potendo trovare applicazione l’articolo 1460 c.c.

V.T. in qualità di erede di S.P. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.

La Suprema Corte, in accoglimento del ricorso, cassa con rinvio la sentenza impugnata.

In particolare, è stato osservato che, quanto all’applicabilità dell’art. 2226 c.c. la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la norma citata, che regola i diritti del committente per il caso di difformità e vizi dell’opera, non è applicabile al contratto di prestazione di opera professionale intellettuale.

Essa infatti ha per oggetto, pur quando si estrinsechi nell’istallazione di una protesi dentaria, la prestazione di un bene immateriale in relazione al quale non sono percepibili, come per i beni materiali, le difformità o i vizi eventualmente presenti, assumendo rilievo assorbente l’attività riservata al medico dentista di diagnosi della situazione del paziente, di scelta della terapia, di successiva applicazione della protesi e del controllo della stessa.

Pertanto, non potendosi individuare un’entità materiale nell’opera del dentista, la protesi può considerarsi un’opera materiale ed autonoma solo in quanto oggetto della prestazione dell’odontotecnico.

Tale orientamento è stato poi ulteriormente, sempre in materia di prestazioni odontoiatriche, e da altre successive in materia di prestazione d’opera intellettuale in generale.

Il collegio intende dare continuità a tale orientamento, del tutto condiviso.

Ciò comporta che deve escludersi la possibilità di applicare al caso in esame la norma dell’art. 2226 c.c., in tema di contratto d’opera.

Il rapporto tra paziente e odontoiatra si colloca, infatti, nel contratto di prestazione d’opera intellettuale ex art. 2230 c.c. e il paziente danneggiato deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante. In generale il professionista, nell’espletamento dell’attività promessa (sia essa di mezzi o di risultato), è obbligato, a norma dell’art. 1176 c.c., ad usare la diligenza del buon padre di famiglia; la violazione di tale dovere comporta inadempimento contrattuale, del quale è chiamato a rispondere anche per la colpa lieve, salvo che nel caso in cui, a norma dell’art. 2236 cod. civ., la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, e, in caso di colpa in applicazione del principio di cui all’art. 1460 cod. civ., con perdita del diritto al compenso.

Nella specie, la Corte d’Appello sulla base dell’erronea premessa sopra riportata ha del tutto omesso ogni indagine sulla gravità dell’inadempimento del B., attribuendo erroneamente rilevanza ad una presunta idoneità dell’opera rispetto allo scopo cui era destinata e nonostante la perdita di almeno due impianti fosse certamente da attribuire alla errata prestazione del B.

Esito:

Cassa con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Genova n. 737/2016 depositata il 30/06/2016.

Riferimenti normativi:

Art. 1176 c.c.

Art. 2226 c.c.

 

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