Questo provvedimento del Tribunale di Messina, Seconda Sezione Civile, riunito in camera di consiglio, riguarda un procedimento di reclamo contro una ordinanza di sospensione di procedura esecutiva mobiliare presso terzi.
L’ordinanza aveva sospeso l’azione esecutiva in quanto era stato reputato dal giudice che lo stipendio del debitore non poteva essere pignorato (nella misura del quinto, come invece avvenuto) “oltre una soglia minima di sopravvivenza”.
Il reclamante ha contestato con il reclamo:
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che le modifiche sul punto introdotte con D.L. 83/2015, poi convertito con L. 132/2015 – evidentemente richiamate dal provvedimento impugnato – non erano applicabili al procedimento in corso. Presumiamo doversi trattare dei commi 7 e 8 dell’art. 545 c.p.c., che prevedono limiti alla pignorabilità di pensioni e assegni sociali (comma 7) e che limitano altresì il pignoramento di pensioni, retribuzioni e assimilati quando l’accredito su conto corrente (bancario o postale) intestato al debitore abbia avuto luogo in data anteriore al pignoramento (comma 8); norme da applicare – ex art. 23, comma 6, del D.L. 83/2015 – “alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del (…) decreto” ovvero a partire dal 27 giugno 2015, momento in cui la procedura de qua era evidentemente già stata intrapresa;
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che la decisione contrastava con il chiaro e risalente indirizzo della stessa Corte Costituzionale, in particolare con l’ordinanza 248 del 2015, per la quale non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 545, comma 4, c.p.c. (sul pignoramento del quinto dello stipendio e di ogni altra indennità retributiva per crediti non alimentari). Il giudice delle leggi ha prodotto nella citata ordinanza una ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale afferente alla impignorabilità dei crediti “che evidenzia un contesto di rilevante differenziazione, per di più in fase espansiva alla luce delle fattispecie normative più recenti” (con espresso riferimento al D.L. 83/2015); e aggiunge che questa differenziazione deriva dal fatto “che il legislatore sta esercitando la sua discrezionalità in modo articolato, valorizzando gli elementi peculiari delle singole situazioni giuridiche piuttosto che una riconduzione a parametri uniformi”. In definitiva, come riferisce anche il provvedimento collegiale del Tribunale messinese, “il trattamento pensionistico non è assimilabile a quello stipendiale”, non operando per quest’ultimo “il limite dell’impignorabilità del minimo indispensabile per vivere”. La circostanza, per quanto socialmente dolorosa, è frutto di una scelta (legittimamente) discrezionale del legislatore.
Il collegio accoglie il reclamo ritenendo senz’altro pignorabile il quinto dello stipendio del debitore-reclamato, con la precisazione che nel calcolo del quinto non deve tenersi conto delle somme versate a titolo di alimenti ai figli e dunque ri-liquidando l’importo pignorabile.
Per approfondimento:
(Altalex, 7 giugno 2016. Nota nota di Paolo Marini)
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