Non c’è solo PagoPa per pagare multe, tasse locali, contributi scolastici e tasse universitarie. Lo dice l’Antitrust che sottolinea come la piattaforma dei pagamenti alle amministrazioni pubbliche non possa essere l’unico mezzo per estinguere il debito. Cosa sancita anche dal Codice dell’amministrazione digitale. Ma molti Comuni ed enti pubblici oggi obbligano i cittadini a pagare imposte come la Tari solo esclusivamente attraverso la piattaforma elettronica partecipata dallo Stato e sotto l’indirizzo della Presidenza del Consiglio, escludendo così la possibilità di utilizzare altre forme di pagamento come l’addebbito diretto in conto corrente, gli F24, il pagamento agli sportelli o i micropagamenti attraverso crediti telefonici, come invece previsto dallo stesso Codice dell’amministrazione digitale. Tra l’altro, il pagamento con PagoPa prevede una commissione di 1,70 euro per ogni operazione.
Il «pasticcio» dell’obbligo
Il problema, come spiega la stessa Autorità, deriva dal fatto che secondo la legge entro il 28 febbraio 2021 tutti i pagamenti della Pa dovranno essere effettuati attraverso la piattaforma pubblica (ad oggi sono 19.119 le amministrazioni che finora hanno aderito, pari all’80%) e un decreto legislativo del 2017 prevede l’oblbigo esclusivo di utilizzo della piattaforma. Ma nel frattempo, il decreto Rilancio dello scorso maggio ha previsto che i Comuni che accettano pagamenti attraverso l’addebito in conto corrente o conto postale possano applicare ai propri cittadini «virtuosi» una riduzione fino al 20% delle aliquote. Tutto questo però scrive il garante Roberto Rustichelli, «un siffatto susseguirsi di modifiche e deroghe normative ha evidentemente generato incertezza nelle Amministrazioni Pubbliche, tanto che alcune di esse, anche importanti dal punto di vista demografico, risulta abbiano ristretto al solo sistema PagoPA le modalità ammesse per i pagamenti». Un’incertezza, spiega, che può avere effetti anche dal punto di vista della concorrenza «dal momento che ha portato all’ingiustificata e non corretta esclusione di una modalità di pagamento, quale il Sepa Direct Debit, senza che essa sia stata al contempo integrata nel sistema PagoPA, impedendone, quindi, l’uso tout court, con possibili effetti anche sull’efficienza della riscossione e sui costi sopportati dai debitori».
Quindi, conclude, «si ritiene opportuno che vi sia un chiarimento circa le modalità di pagamento che le Amministrazioni pubbliche possono accettare».
PagoPa: «Eliminare incertezze»
E interviene anche la Società PagoPa Spa che accoglie «con favore» la richiesta dell’Antitrust: «Eliminare questo tipo di incertezze – sottolinea la società – è il modo migliore per favorire un utilizzo più ampio ed efficace degli strumenti di pagamento elettronici da parte dei cittadini anche nei servizi pubblici, oltre che per accompagnare la graduale trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione, alla base della mission di PagoPa Spa». E ricorda che «le Amministrazioni devono poter consentire ai cittadini di continuare a utilizzare anche i metodi di pagamento non ancora integrati su pagoPA, tra cui la domiciliazione bancaria (SDD) e il modello F24».
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