Scarica Sentenza Corte di Cassazione 27 07 2023
La Cassazione enuncia un importante principio di diritto nella mediazione disposta dal giudice
Mediazione e improcedibilità domanda
Il mancato rispetto dell’ordine del giudice di avviare la mediazione determina l’improcedibilità della domanda ab initio e non dell’eventuale impugnazione. Così la seconda sezione civile della Cassazione che, nell’ordinanza n. 22805/2023, enuncia un importante principio di diritto.
La vicenda
La vicenda origina dalla domanda volta ad ottenere il pagamento di 5mila euro in relazione a un contratto di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio. L’intermediario finanziario, convenuto in giudizio dalla cliente, aveva sollevato eccezione di improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatorio e, poiché il giudice di primo grado non si era pronunciato sul punto, aveva riproposto l’eccezione nell’atto di appello, dove veniva accolta con improcedibilità dell’azione della cliente.
Da qui il ricorso di quest’ultima al Palazzaccio, innanzi al quale la donna si doleva, tra l’altro, dell’errore del giudice d’appello che aveva rimesso la causa sul ruolo e disposto la mediazione, nonostante fosse già stata avviata la fase di decisione, in quanto si era già tenuta l’udienza di precisazione delle conclusioni che, a suo dire, “esaurirebbe, una volta per tutte, il potere di avviare le parti in mediazione e l’articolo 5, comma 2 del decreto legislativo 28/2010, autorizzerebbe tale lettura restrittiva”. Inoltre, si doleva la ricorrente, che il tribunale aveva erroneamente dichiarato l’improcedibilità della domanda fin dal primo grado del giudizio e non limitatamente a quella del grado di appello.
Mediazione dopo la precisazione delle conclusioni
Gli Ermellini le danno torto su tutta la linea. Quanto alla prima doglianza, infatti, affermano che “come è noto, in tema di mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda, ma l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza; ove ciò non avvenga, il giudice d’appello può disporre la mediazione, ma non vi è obbligato, neanche nelle materie indicate dallo stesso art. 5, comma 1-bis, atteso che in grado d’appello l’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda solo quando è disposta discrezionalmente dal giudice, ai sensi dell’art. 5, comma 2”. Nella fattispecie, il tribunale, dopo la precisazione delle conclusioni, ha rimesso il processo in istruttoria, per far appunto svolgere tale incombente. “Il provvedimento con il quale il giudice di appello abbia impartito disposizioni funzionali alla prosecuzione del processo conserva il suo carattere ordinatorio sotto il profilo tanto formale quanto sostanziale. Conseguentemente, non può essere sindacato in sede di legittimità, al pari di tutti i provvedimenti istruttori assunti dal giudice ai sensi dell’art. 356 cod. proc. civ., salvo che le ragioni di tale mancato esercizio siano giustificate in modo palesemente incongruo o contraddittorio” sentenziano quindi i giudici di piazza Cavour. In altri termini, “la scelta di rimettere il processo alla fase istruttoria costituisce decisione di mera opportunità” osservano ancora e la retrocessione a tale fase, “riporta il giudizio al momento antecedente la precisazione delle conclusioni, nel quale il giudice d’appello ben può esercitare il rilievo d’ufficio”. Inoltre, in punto di diritto, aggiungono dalla S.C., l’inciso dell’art. 5 comma 2 D. Lgs n.28/2010, secondo il quale “L’invito deve essere rivolto alle parti prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa” costituisce “una norma di disciplina e regolamentazione dello svolgimento dell’udienza e senza dubbio non prevede una nullità processuale”.
Improcedibilità ab initio
Anche il secondo motivo è inammissibile. Il procedimento di mediazione obbligatoria disciplinato dal d.lgs. n. 28 del 2010 costituisce condizione di procedibilità per le controversie nelle materie indicate dall’art. 5, comma 1 bis, del medesimo decreto, rammentano i giudici. Per cui, “nel caso di mancato previo esperimento di tale procedura, pur essendo l’invito del giudice rivolto a tutte le parti del giudizio, è chiaro che la figura processuale interessata ad attivarsi è quella che avrebbe dovuto, in limine litis, provvedervi e che, pertanto, può risentire effetti pregiudizievoli dalla mancata ottemperanza a tale invito”. È evidente, quindi, che “la carenza della condizione di procedibilità non può che ridondare a carico dell’originaria attrice, senza che possa avere un qualche rilievo la fase processuale, nel corso della quale l’ordinanza è stata comunicata”. Nella specie, il giudice di appello – come gli consentiva la legge – si è sostituito al giudice di pace per colmare una lacuna presente già dal primo grado e “la mancata esecuzione del procedimento ha cristallizzato definitivamente l’improcedibilità dell’azione e non dell’impugnazione”.
Da qui l’inammissibilità del ricorso e l’enunciazione del seguente principio di diritto: “Quando la mediazione è disposta dal giudice, ai sensi dell’art. 5 comma 1° e 1° bis D. Lgs. n.28/2010, la mancata ottemperanza a tale invito determina l’improcedibilità della domanda ab initio svolta e non dell’eventuale impugnazione, giacché incide definitivamente sull’azione originaria e non sulla fase processuale”.
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