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Brutte sorprese per chi ha chiesto il finanziamento Covid da 25mila euro, con restituzione a tasso agevolato e garanzia dello Stato al 100. Il Fondo di Garanzia, cioè il soggetto che dovrebbe garantire il prestito, ha iniziato a mandare ad alcuni imprenditori – come da documentazione di cui Il Giornale è in possesso – la richiesta di restituzione di una parte del prestito perché «non adeguatamente documentata». Facciamo una premessa doverosa. Se ci sono dei furbetti che hanno abusato di questi prestiti è giusto che restituiscano tutto, con gli interessi. Ma i casi che Il Giornale è in grado di documentare non rientrano in questa casistica. Seconda premessa: le banche prima di concedere questo tipo di prestito fanno regolare istruttoria. «Altrimenti se il beneficiario non paga – spiega il commercialista Gianluca Timpone – lo Stato si rivale sugli istituti di credito». Dunque, chiunque abbia preso i 25mila euro ha superato le forche caudine dei controlli bancari, fiscali e tributari incrociati: niente protestati, niente morosi eccetera.

Qualche mese dopo il finanziamento regolarmente onorato, a qualche imprenditore sono arrivate delle missive del Fondo di Garanzia nel quale veniva ipotizzato che sarebbe stata comunque richiesta una sorta di rendicontazione, pena la restituzione del prestito garantito. Molti di questi avvisi bonari sono caduti nel vuoto, altri invece no. «Ma non era previsto, non c’era scritto che dovevi giustificare alcuna spesa – sottolinea il tributarista – quei soldi servivano per superare un momento difficoltà di imprese e lavoratori autonomi, potevano servire per pagare l’affitto di casa, il nido dei figli o le bollette». Insomma, nel contratto stipulato con le banche «non c’era una destinazione specifica», altrimenti sarebbe basato chiedere un prestito «per semplice liquidità». Tanto è vero, osserva il professionista, che a sollevare la rendicontazione non è la banca ma il Fondo di Garanzia. È come se il fidejussore di un prestito richiedesse indietro dei soldi non suoi, ma da lui garantiti, per un prestito concesso da una banca e regolarmente pagato.

Ma c’è di più. Secondo quanto riporta l’Agenzia delle Entrate chi ha sbagliato i conti non solo deve restituire «spontaneamente» l’importo indebitamente percepito, ma deve anche aggiungere «i relativi interessi e versando le relative sanzioni mediante applicazione delle riduzioni del ravvedimento operoso». Una sanzione che va dal 100 al 200% dell’importo, come da esempio delle Entrate: «Nel caso di contributo erogato di importo inferiore a 4.000 euro, la sanzione amministrativa da 5.164 euro a 25.822 euro, con un massimo di tre volte il contributo indebitamente percepito».

Peraltro, come aveva già scritto Il Giornale lo scorso 5 ottobre, se la banca non avesse concesso il prestito sarebbe scattata la segnalazione alla Crif. E addio, per almeno 6 mesi a fidi, castelletti, richieste di altri finanziamenti e mutui, carte di credito e nuovi conti correnti. È l’esperienza vissuta da un imprenditore di La Spezia, che ha deciso di far causa alla presidenza del Consiglio tramite il suo legale Claudio Defilippi, che aggiunge: «È il governo, che non ha previsto veri indennizzi per far fronte alla crisi, a indurre gli imprenditori a chiedere il finanziamento a causa dell’emergenza». «È l’ennesimo esempio di come la burocrazia mieta vittime in misura superiore alla crisi stessa», è l’accusa di Antonio Gigliotti (Centro Studi Fiscal Focus), «così si sbarra la porta proprio ad uno dei soggetti che lo Stato dovrebbe aiutare».

E intanto gli emissari delle mafie, con le valigie piene di contanti da riciclare, vanno in giro a caccia di imprenditori strangolati dalla crisi e dalla voracità di uno Stato esattore. Sarebbe da chiedersi chi è il vero usuraio.

 

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