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Un raggiro costato quasi 2 milioni e mezzo di lire a investitori delle province di Treviso, Vicenza, Padova e Venezia, che avevano creduto all’affare dei lingotti di oro, estratti da una miniera della Guinea francese. Ma per le 45 persone che avevano aderito ad un investimento con rendimenti da nababbo (fino al 4% mensile e il 48% annuo, con tanto di certezza sulla restituzione del capitale investito) c’è il rischio più che concreto di venire estromessi dal processo: le truffe sarebbero infatti tutte prescritte, lasciando a giudizio solo i reati di bancarotta fraudolenta ed esercizio abusivo di attività finanziaria.

Questo almeno è quello che emerge dalla requisitoria finale di oggi, 2 febbraio, del pubblico ministero della Procura di Treviso, Gabriella Cama che, a quasi otto anni dallo scoppio del bubbone, ha richiesto 5 anni per Tiziano Dotto 65 anni di Camposampiero e Stefano Dotto, 60 anni di Treviso (quest’ultimo promotore finanziario con ufficio a Treviso in via Verdi), titolari dell’azienda Euro In International Network Business Consulting e 2 anni e tre mesi per Federico Zanin, 64enne di Silea, anche lui nella compagine societarie nell’azienda dichiarata fallita e che dietro di sè aveva lasciato uno strascico di oltre 284 mila euro spariti, oltre ad una bancarotta preferenziale e una documentale. I fratelli Dotto sarebbero colpevoli dei reati fallimentari mentre per Zanin ci sarebbe solo l’esercizio abusivo dell’attività finanziaria. Prescritti invece i reati per i quali originariamente erano stati indagati i 64enni Paola Dotto (gemella di Stefano) e il marito Giuseppe Favaro (ex brigadiere dei carabinieri) residenti a Zero Branco e a Enzo Dalle Fratte, anche lui 64enne di Camposampiero.

Il processo, che si trascina nelle aule di Tribunale dal 2018, si basava sull’accusa della Procura che, a vario titolo, imputava ai sei la truffa aggravata mentre i soli Tiziano e Stefano Dotto erano chiamati a rispondere di bancarotta fraudolenta, preferenziale e documentale, così come di quasi 1 milione e 200 mila euro di fatture “carta straccia”, eseguite nell’ipotesi accusatoria per evadere le tasse, oltre che di false comunicazioni sociali.

Lo scandalo dell’oro africano era emerso nel 2015, quando viene presentata la prima denuncia da parte di una pensionata di Cittadella. Con due bonifici la signora aveva accreditato 50 mila euro in un conto intestato alla società dei Dotto e acceso nella filiale di Treviso della Deutsche Bank. Ma del metallo prezioso non c’è neppure l’ombra perché non sarebbe stato mai acquistato e i soldi sono quindi andati in fumo. Lo stesso copione si replicherà altre volte. Tra i truffati vi sarebbe stata anche una società di Camposampiero (Padova) che aveva investito 300 mila euro.

 

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