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Quando si acquista un immobile, il primo consiglio è quello di verificare che non gravino su di esso impedimenti come pignoramenti o ipoteche, che potrebbero complicare le cose. Ma anche in questo caso possono esserci delle soluzioni. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Lorenzo Albanese Ginammi, counsel di NPLs Re Solutions.

Quali sono le formalità pregiudizievoli che possono colpire l’immobile oggetto di trattativa?

L’immobile oggetto di trattativa può essere soggetto a molteplici formalità pregiudizievoli: alcune che ne impediscono la vendita, altre che pur non bloccandola la seguono, cioè restano a carico della proprietà. Quella tipica del primo tipo è il pignoramento immobiliare: dal momento della trascrizione di tale atto, infatti, il bene esce dalla disponibilità del proprietario e viene gestito dal Tribunale tramite il giudice dell’esecuzione, il delegato alla vendita e il custode. Un’altra formalità impeditiva è quella del sequestro, sia quello disposto dal giudice civile sia, a maggior ragione, quello disposto dal giudice penale.

Le formalità che invece non impediscono la vendita sono, ad esempio, l’ipoteca, o la trascrizione di una domanda giudiziale. Questi vincoli, però, seguono l’immobile e quindi l’acquirente ne subisce gli effetti: ad esempio se vi è l’ipoteca della banca, in caso di mancato pagamento del mutuo da parte del venditore, la stessa può pignorare l’immobile anche se la proprietà è stata trasferita a un nuovo soggetto che non intrattiene alcun rapporto contrattuale con la banca stessa.

Quali sono le differenze tra ipoteca e pignoramento?

L’ipoteca è una garanzia (c.d. reale), cioè è diretta ad assicurare al creditore il soddisfacimento del proprio credito. La durata legale è di 20 anni a decorrere dalla sua iscrizione e può essere rinnovata per ulteriori periodi ventennali a semplice richiesta del creditore. Una volta iscritta, l’ipoteca permane sull’immobile e quindi sono irrilevanti, rispetto ad essa e al creditore, gli eventuali successivi passaggi di proprietà. L’ipoteca può essere volontaria cioè iscritta con il consenso del proprietario, ad esempio quando si chiede un mutuo alla banca, o giudiziale, quando viene iscritta da un creditore che ha ottenuto dal Tribunale un provvedimento di condanna al pagamento di una somma. Vi è anche l’ipoteca che può iscrivere l’Agenzia delle Entrate per cartelle esattoriali non pagate, nonché quella legale, prevista dalla legge, che opera automaticamente di diritto.

Il pignoramento, invece, è un atto dell’esecuzione giudiziale che può essere avviato da qualsiasi creditore sul bene immobile per il recupero del proprio credito. Con tale atto, che dopo la notifica viene trascritto nei registri immobiliari e iscritto presso il Tribunale del luogo dove si trova l’immobile, inizia la l’espropriazione immobiliare che si conclude (o si dovrebbe) con la vendita in asta e la distribuzione del ricavato in favore dei creditori. Il creditore ipotecario viene soddisfatto per primo e solo se residuano somme vengono pagati in proporzione gli altri creditori.

Quali sono le verifiche obbligatorie quando l’oggetto della compravendita è un immobile pignorato?

Si è visto che il pignoramento dell’immobile ne impedisce la vendita al libero mercato. Se, tuttavia, si intende provare ad acquistare un bene sottoposto a pignoramento è necessario essere assistiti da un soggetto esperto, società che operano in quel settore, o da un legale. In tali casi è infatti necessario poter accedere a tutta la documentazione depositata in Tribunale nel fascicolo telematico. Il processo civile si svolge ora in via telematica e gli atti sono depositati in un file elettronico attraverso un sistema denominato PCT (Processo Civile Telematico). I principali atti da verificare sono, a titolo solo semplificativo, l’atto di pignoramento, dal quale si può capire l’entità e la natura del credito, le ipoteche iscritte sull’immobile, eventuali altri creditori, ecc.. Inoltre, se la procedura è in una fase avanzata, si può anche esaminare la

relazione del CTU, il consulente tecnico incaricato dal giudice di verificare l’immobile nella sua consistenza, nella sua regolarità urbanista e ancora nella sua eventuale occupazione da parte di terzi (come, ad esempio, dal conduttore in caso di locazione).

Come redigere correttamente la proposta di acquisto di un immobile pignorato?

Una volta accertata la situazione della procedura esecutiva, sempre con l’ausilio di un soggetto esperto, sarà possibile fare una proposta al proprietario. La proposta deve essere necessariamente condizionata al raggiungimento di accordi (ad esempio i c.d. accordi di saldo e stralcio) con i creditori perché al momento dell’eventuale acquisto siano d’accordo nel liberare l’immobile dal pignoramento (e dalle eventuali ipoteche). Nella pratica, per fare un esempio, fatta la proposta condizionata al proprietario, e con il suo consenso, si contatta la banca che ha concesso il mutuo garantito da ipoteca in forza del quale ha avviato il pignoramento e si propone il pagamento del debito, in tutto o in parte, al posto del proprietario a fronte della contestuale liberazione dal pignoramento e dall’ipoteca dell’immobile. Se la banca accetta, si va davanti al Notaio per la stipula del contratto di compravendita; il prezzo viene pagato, in tutto o in parte, direttamente alla banca che contestualmente libera il bene dal pignoramento e dall’ipoteca. Questa, in sintesi, è la descrizione dell’operazione che, però, richiede lo svolgimento di passaggi tecnici complessi (la rinuncia alla procedura esecutiva, l’assenso alla cancellazione dell’ipoteca, ecc.) che richiedono conoscenze tali da rendere opportuna la presenza di un esperto al fianco dell’acquirente.

Caparra confirmatoria e caparra penitenziale quali sono le differenze?

La caparra confirmatoria, disciplinata all’art. 1385 del codice civile, ha la funzione di indurre la parte ad adempiere al proprio obbligo, nel nostro caso, a pagare il prezzo (il promittente acquirente) e a vendere l’immobile (il promissario venditore). La caparra, sempre nel nostro caso, consiste in una somma di denaro che il promittente acquirente dà al promissario venditore. Se la vendita di cui al preliminare va a buon fine la caparra viene normalmente imputata in acconto sul prezzo che viene saldato all’atto notarile di compravendita. Se invece la parte che ha dato la caparra è inadempiente (non vuole più acquistare l’immobile ad esempio) il promissario acquirente può recedere dal contratto preliminare e trattenere la caparra versatagli dal promittente acquirente. Se invece è inadempiente il promissario venditore, il promittente acquirente può recedere dal contratto e pretendere il pagamento del doppio della caparra versata. La parte adempiente non è obbligata a recedere e chiedere il pagamento della caparra, perché può, in alternativa, pretendere l’esecuzione del contratto: ad esempio, se il promissario venditore non si presenta davanti al notaio per la vendita, il promittente acquirente può chiedere al Tribunale che gli venga trasferito l’immobile (con il pagamento del residuo prezzo).

La caparra penitenziale, disciplinata dall’art. 1373 del codice civile, assolve invece ad un’altra funzione. Chi versa la caparra penitenziale, infatti, ha il diritto di recedere dal contratto; cioè la somma di denaro versata al momento della stipulazione del contratto costituisce il prezzo del diritto di recesso. Insomma, mi interessa quell’immobile, ti consegno una somma, ma voglio essere libero di decidere, a determinate condizioni e limiti di tempo, di non acquistarlo, perdendo la somma versata.

Il mediatore è legittimato a trattenere la caparra quando la proposta è condizionata?

In termini generali il mediatore non può trattenere, né incassare, la caparra confirmatoria. Si tratta infatti di una somma che il promittente acquirente versa al promissario venditore per rafforzare il vincolo contrattuale, in relazione alla quale il mediatore non vanta diritti. Il meccanismo indicato nella risposta alla domanda n. 5 che precede (pagamento del doppio della caparra o suo incameramento in caso di inadempimento) ovviamente potrà scattare solo al momento in cui si avvera la condizione.

Ricordato che l’agente immobiliare è un mediatore che mette in contatto le parti, curandone gli interessi, di una possibile compravendita, lo stesso ha diritto al pagamento del compenso, la c.d. provvigione, al momento della “conclusione dell’affare” (art. 1755 del codice civile). Nel caso di proposta condizionata, purché accettata dalla parte che l’ha ricevuta, il diritto alla provvigione maturerà al momento in cui si verifica la condizione. Per affare, infatti, si intende qualsiasi operazione di natura economica che genera un rapporto obbligatorio tra le parti.

Qual è la differenza tra termine essenziale e termine non essenziale per la stipula dell’atto notarile?

Se le parti concordano che l’atto di compravendita debba essere stipulato entro un termine pattuito come essenziale, nell’interesse di una o di tutte e due le parti, ai sensi dell’art. 1457 del codice civile, il mancato rispetto comporta la risoluzione automatica del contratto preliminare. Dunque, se le parti nel contratto preliminare precisano che l’atto notarile deve essere stipulato entro un termine essenziale, nel caso di mancato rispetto da parte di una delle due parti si risolverà automaticamente, senza la necessita di fare alcuna comunicazione. Il vicolo contrattuale è sciolto per il solo fatto del mancato rispetto del termine. Per la gravità delle conseguenze (lo scioglimento automatico del contratto), l’essenzialità del termine deve essere espressa in maniera inequivoca e certa. A tali fini non è considerato dai giudici sufficiente una frase del tipo “l’atto notarile di compravendita sarà effettuato entro e non oltre”, ma occorre la precisazione che alla scadenza del termine il contratto si intenderà risolto.

Nel caso del termine non essenziale, invece, la sua inosservanza non determina alcuna conseguenza automatica. Se scade il termine previsto nel contratto preliminare per la stipula dell’atto notarile si applicano le regole ordinarie: se il ritardo costituisce inadempimento grave, la parte adempiente può chiedere al Tribunale di dichiarare la risoluzione del contratto. Si tratta di circostanza in fatto assai difficile da dimostrare; oppure, ed è la prassi, può assegnare alla parte inadempiente un termine per la stipulazione, non inferiore a 15 giorni, con l’avvertimento che in difetto il contratto dovrà intendersi risolto. Attenzione, però, se si vuole trattenere la caparra confirmatoria od ottenerne il pagamento del doppio, la diffida dovrà essere redatta precisando che si tratta di recesso ai sensi del citato art. 1385 del codice civile. Altrimenti per ottenere il risarcimento del danno sarà necessario introdurre un giudizio dinanzi al Tribunale, ma il danno andrà provato (cosa non agevole in materia di preliminare non adempiuto).

 

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