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La presente analisi intende delineare i corretti adempimenti funzionali al recupero dei crediti nei confronti della pubblica amministrazione.

A tal fine occorre muovere dall’art. 14, comma 1, D.L. n. 669/1996, convertito in L. n. 30/1997, rubricato “Esecuzione forzata nei confronti di pubbliche amministrazioni”, che preclude al creditore la possibilità di agire giudizialmente nei confronti delle amministrazioni statali e/o degli enti pubblici non economici per il recupero forzoso del proprio credito rinveniente da un provvedimento giurisdizionale prima che sia decorso il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo.

Il legislatore ha ritenuto di accordare alla pubblica amministrazione, attraverso il differimento dell’esecuzione, il tempo necessario ad apprestare i mezzi finanziari occorrenti al pagamento dei propri debiti, in funzione di scongiurare la paralisi dell’attività amministrativa storicamente determinata dai ripetuti pignoramenti di fondi.

La disposizione in commento, se ha superato il vaglio di legittimità costituzionale, avendo “ragionevolmente” bilanciato l’interesse del singolo al soddisfacimento del proprio credito e quello generale ad un’ordinata gestione delle risorse finanziarie (“viene a realizzare e non già a pregiudicare il buon andamento della Pubblica Amministrazione senza incidere in alcun modo sulla sua imparzialità” e, in ogni caso, “la responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, compresa quella per eventuali interessi moratori, risulta non già esclusa, ma solo disciplinata e fissata entro un ragionevole limite temporale giustificato dalle particolari regole di contabilità e di tesoreria applicabili agli enti specificati nella norma” – Corte Costituzionale, 23/04/1998, n. 142), ha posto sin da principio rilevanti problematiche interpretative che verranno, pertanto, nel prosieguo puntualmente esaminate alla luce delle soluzioni di volta in volta prospettate dalla giurisprudenza.

Posto che il nostro ordinamento riconosce al creditore “pecuniario” della pubblica amministrazione, munito di titolo esecutivo, la facoltà di ricorrere, alternativamente:

è insorto un primo contrasto giurisprudenziale in ordine all’applicabilità – o meno – del cit. art. 14 anche in tale seconda eventualità.

Giornale di Diritto Amministrativo, Direzione scientifica: Cassese Sabino, Ed. IPSOA, Periodico. Tratta tutta la complessa materia con autorevoli commenti a norme, giurisprudenza e documenti che offrono una panoramica completa delle novità nell’ambito del diritto pubblico sia a livello nazionale che comunitario.
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Un determinato orientamento, muovendo:

  • dal richiamo letterale contenuto nella disposizione de qua all’“esecuzione forzata” ed all’“atto di precetto”;
  • dalla natura eccezionale e derogatoria della disposizione in esame rispetto al principio generale di responsabilità patrimoniale del debitore sancito dall’art. 2740 c.c.;

ne escludeva l’estensione analogica all’azione di ottemperanza (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 06/10/2015, n. 426; C.G.A.R.S., 22/04/2015, n. 348; T.A.R. Umbria, 31/03/2013, n. 194; T.A.R. Sicilia, Catania, 16/04/2007, n. 626; T.A.R. Lombardia, Milano, 14/12/2004, n. 6410; T.A.R. Sardegna, 29/10/2004, n. 1552; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 26/07/2001, n. 753).

Ha però definitivamente prevalso l’indirizzo di segno opposto che, a fronte della sostanziale identità di ratio tra i due “concorrenti” istituti (esecuzione forzata “ordinaria” e ricorso al giudice amministrativo), entrambi preordinati all’adempimento delle obbligazioni pecuniarie derivanti dall’ordine del giudice, ha sancito la “portata applicativa generalizzata” del termine sospensivo previsto dall’art. 14 cit. in quanto funzionale a favorire l’ordinata gestione delle finanze pubbliche a prescindere dallo strumento esecutivo in concreto azionato dal creditore (Consiglio di Stato, sez. II, 30/06/2021, n. 5000; T.A.R. Calabria, Catanzaro, 22/04/2021, n. 855; T.A.R. Liguria, 07/10/2019, n. 764; Consiglio di Stato, sez. IV, 08/05/2019, n. 2958; T.A.R. Toscana, 16/10/2018, n. 1320; T.A.R. Puglia, Bari, 09/04/2018, n. 539; Consiglio di Stato, sez. V, 13/04/2017, n. 1766; T.A.R. Piemonte, 06/02/2017, n. 190; T.A.R. Sicilia, Palermo, 07/10/2016, n. 2305; T.A.R. Abruzzo, 07/06/2016, n. 347; T.A.R. Molise, 21/04/2016, n. 190; T.A.R. Basilicata, 13/02/2016, n. 98; T.R.G.A. Trento, 28/07/2014, n. 307; Consiglio di Stato, sez. IV, 17/02/2014, n. 751; T.A.R. Marche, 09/11/2012, n. 725; T.A.R. Campania, Napoli, 29/06/2010, n. 16434; T.A.R. Lazio, Roma, 25/07/2007, n. 6916; T.A.R. Campania, Salerno, 21/12/2005, n. 2959; T.A.R. Veneto, 12/06/2003, n. 3302).

Ciò posto, si veda come la giurisprudenza di gran lunga maggioritaria ritenga imprescindibile la preventiva “formale” notificazione del titolo esecutivo, anche laddove s’intenda successivamente proporre ricorso per ottemperanza, non valutando, per converso, suscettibile di azionare il termine dilatorio la mera “comunicazione via pec della sentenza eseguita dal difensore” (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 21/05/2021 n. 3926); si segnala, per completezza, una recente pronuncia del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana che, con approccio decisamente più pragmatico e sostanzialistico, ha, invece, valutato sufficiente che la sentenza sia portata a conoscenza della pubblica amministrazione con qualsivoglia modalità, purché dalla stessa acquisita in forma autentica, sul presupposto “che il riferimento alla notificazione è formulato in senso a/tecnico” e che “del resto gli artt. 112, 113, 114 e 115 del codice del processo amministrativo, che disciplinano il giudizio di ottemperanza, non prevedono affatto – tassativamente e neanche espressamente – alcun onere (né tampoco alcun obbligo o dovere) di preventiva formale notifica del titolo esecutivo” (C.G.A.R.S., 18/02/2022, n. 219, recepita da T.A.R. Sicilia, Palermo, 13/06/2022, n. 1943: “Sul punto, il Collegio […] ritiene di dovere aderire al recentissimo orientamento del giudice di appello secondo cui, tra l’altro, <<La ratio dell’art.14, comma 1, del d.l. n.669/1996 (convertito in l. n.30/1997) non è affatto quella di introdurre l’onere della preventiva notifica del titolo esecutivo anche nel giudizio di ottemperanza>>”).

Si osserva ancora come la notifica debba necessariamente indirizzarsi alla sede reale dell’amministrazione debitrice, non trattandosi di un adempimento processuale, ma dell’atto d’impulso di un procedimento amministrativo che deve assicurare la conoscenza effettiva e diretta da parte dell’amministrazione della pretesa esecutiva, non altrimenti sostituibile e/o “intermediabile” dalla notifica eseguita presso l’Avvocatura dello Stato (nel caso di patrocinio obbligatorio ope legis) e/o presso il domicilio eletto (ad esempio da un Comune) nel giudizio di cognizione (T.A.R. Lazio, Roma, 07/02/2022, n. 1407; T.A.R Puglia, Lecce, 14/01/2022, n. 37; T.A.R. Lazio, Roma, 07/06/2021, n. 6711; T.A.R Puglia, Lecce, 29/04/2021, n. 606; T.R.G.A. Trento, 28/02/2020, n. 36; T.A.R. Abruzzo, 20/03/2017, n. 132; T.A.R. Lazio, Roma, 31/05/2016, n. 6373; T.A.R. Sicilia, Palermo, 01/04/2016, n. 837).

Si è, altresì, lungamente dibattuto in giurisprudenza se la sentenza ottemperanda debba essere notificata corredata dalla formula esecutiva.

Al riguardo risulta ormai assodato che, laddove il giudizio di ottemperanza venga intentato per eseguire una sentenza del giudice amministrativo recante la condanna della pubblica amministrazione al pagamento di una somma pecuniaria, per gli effetti di cui all’art. 14 in esame, non sia necessaria la previa notifica della medesima sentenza munita della formula esecutiva, in applicazione dell’art. 115, comma 3, c.p.a. a mente del quale, per l’appunto: “Ai fini del giudizio di ottemperanza di cui al presente Titolo non è necessaria l’apposizione della formula esecutiva” (da ultimo Consiglio di Stato, sez. V, 01/07/2022, n. 5495; Consiglio di Stato, sez. V, 30/03/2021, n. 2670).

Conviene, invece, prudenzialmente, notificare la sentenza resa dal giudice ordinario munitadi formula esecutiva, anche laddove s’intenda successivamente optare per l’azione di ottemperanza, persistendo, a tutt’oggi, un contrasto giurisprudenziale sull’applicabilità della richiamata disposizione di rito (art. 115, comma 3, c.p.a.) “anche ai provvedimenti diversi da quelli del giudice amministrativo” (in senso affermativo si è espresso, ex pluribus, T.A.R. Sicilia, Catania, 06/09/2021, n. 2733, mentre argomenti a contrario si rinvengono, ad esempio, in T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 31/07/2020, n. 479).

Una volta correttamente notificato il titolo inizia, dunque, a decorrere il termine di centoventi giorni concesso all’amministrazione per provvedere “spontaneamente”, la cui natura (come anticipato) “sostanziale” lo sottrae al regime della sospensione feriale (dei termini “processuali” previsto,per i giudizi nanti il giudice amministrativo, dall’art. 54, comma 2, c.p.a. – T.A.R. Veneto, 02/03/2020, n. 205).

Si evidenzia, ulteriormente, come, laddove si agisca, “anche senza previa diffida” ex art. 114, comma 1, c.p.a., per l’ottemperanza di un provvedimento emesso dal giudice ordinario ex art. 112, comma 2, lett. c), c.p.a. (“L’azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l’attuazione […] delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati dal giudice ordinario, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato”), occorra documentare, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, l’intervenuto passaggio in giudicato del titolo (si vedano in termini T.A.R. Campania, Napoli, 12/01/2022, n. 215; T.A.R. Calabria, Catanzaro, 14/04/2020, n. 574; T.A.R. Campania, Salerno, 11/11/2019, n. 1973; T.A.R. Puglia, Bari, 30/08/2019, n. 1167; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 12/03/2019, n. 158; T.A.R. Basilicata, 20/02/2019, n. 180; nel caso in cui si agisca per l’ottemperanza di un decreto ingiuntivo non opposto occorre la dichiarazione di esecutività ex art. 647 c.p.c. – T.A.R. Basilicata, 11/02/2022, n. 106).

Tale incombente non è, invece, richiesto nel caso in cui si agisca per l’ottemperanza di un provvedimento reso dal giudice amministrativo, potendosi esperire detto rimedio, ai sensi dell’art. 112, comma 2, lett. b) c.p.a., per l’esecuzione “delle sentenze e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo”, ancorché non ancora divenuti definitivi (si veda in termini T.A.R. Lombardia, Milano, 16/06/2022, n. 1387: “non è rilevante, poi, che non si sia data prova del passaggio in giudicato della sentenza, in quanto l’art. 112, comma 2, lett. b), cod. proc. amm. ammette l’azione di ottemperanza anche per l’attuazione delle “sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo” mentre l’art. 33, comma 2, cod. proc. amm. prevede che “Le sentenze di primo grado sono esecutive”, sicché il non avere l’Amministrazione addotto l’eventuale sospensione della sentenza per decisione del giudice d’appello conferma la sussistenza dei presupposti legali per l’esperibilità del rimedio giudiziale in esame”; conformemente anche T.A.R. Lazio, Roma, 31/05/2022, n. 7118; idem 28/04/2022, n. 5187; T.A.R. Campania, Napoli, 19/04/2021, n. 2471).

Si pone l’ulteriore questione esegetica, sempre in funzione di adempiere compiutamente agli oneri prescritti dall’art. 14, comma 1, D.L. n. 669/1996,in ordine all’individuazione del titolo esecutivo da notificarsi all’Ente debitore nel caso in cui la sentenza di primo grado, recante la condanna al pagamento di una determinata somma pecuniaria, sia stata impugnata e semplicemente confermata all’esito del gravame.

In tale eventualità la giurisprudenza (anche amministrativa, in recepimento del consolidato insegnamento della Suprema Corte) è ormai ferma nel ritenere che “in materia di titolo esecutivo di formazione giudiziale, specificamente nei rapporti tra sentenza di primo grado e sentenza d’appello – salvo i casi di inammissibilità, improponibilità e improcedibilità dell’appello (e, quindi, quelli in cui l’appello sia definito in rito e non sia esaminato nel merito con la realizzazione dell’effetto devolutivo di gravame sul merito) – la sentenza di appello ha l’efficacia di sostituire quella di primo grado, tanto nel caso di riforma che in quello di conferma di essa” con la conseguenza che “ai fini dell’ammissibilità del ricorso per l’ottemperanza promosso dopo la pubblicazione della sentenza di appello, il titolo esecutivo da notificare all’Ente debitore presso il suo domicilio legale – anche ai fini del decorso del termine di 120 giorni di cui all’art. 14, co. 1, del d.l. n. 669/1996 – è costituito dalla sentenza di appello e non dalla sentenza di primo gradoanche se il dispositivo della sentenza di appello è di integrale conferma della sentenza di primo grado” (T.A.R. Sicilia, Palermo, 17/05/2022, n. 1607; in senso conforme cfr. anche T.A.R. Sicilia, Palermo, 30/05/2022, n. 1789; T.A.R. Sicilia, Catania, 03/03/2021, n. 680; T.A.R. Campania, Napoli, 09/06/2015, n. 3124), o meglio, per estremo zelo e cautela, “occorre notificare come titolo esecutivo sia la sentenza di primo grado che quella d’appello di essa confermativa per ragioni di merito e di rito, a meno che la prima non sia stata già notificata alla parte che dovrebbe subire l’esecuzione. Nel qual caso è sufficiente notificare la sentenza di appello” (T.A.R. Sicilia, Palermo, 30/04/2018, n. 972).

La portata riformatrice – o meno – della sentenza del Consiglio di Stato nella precedente fase di accertamento e quantificazione del credito, rileva anche per l’individuazione del giudice competente a decidere sull’ottemperanza ai sensi dell’art. 113, comma 1, ultimo alinea c.p.a. in base al quale “la competenza è del tribunale amministrativo regionale anche per i suoi provvedimenti confermati in appello con motivazione che abbia lo stesso contenuto dispositivo e conformativo dei provvedimenti di primo grado”; tale valutazione non è sempre agevole in concreto, tant’è che la giurisprudenza ha fornito le seguenti indicazioni “operative”: “La giurisprudenza ha da tempo fornito indicazioni univoche sulla corretta interpretazione dell’art. 113 del codice del processo amministrativo. In ragione del riferimento normativo al “contenuto dispositivo”, per stabilire il giudice funzionalmente competente a conoscere l’azione per l’ottemperanza ad un provvedimento del giudice amministrativo (secondo la formula di cui all’art. 112, comma 2, lett. a) occorre esaminare preliminarmente il contenuto del dispositivo della sentenza (si parla, più esattamente, di “indice testuale esplicito contenuto nel dispositivo della sentenza”; in questo senso, Consiglio di Stato, sez. IV, 24 gennaio 2020, n. 612), con la conseguenza che, in caso di identità di contenuto tra i provvedimenti di primo e secondo grado la competenza funzionale è del Tribunale amministrativo regionale. Il riferimento normativo al contenuto “conformativo” della motivazione, oltre che a quello “dispositivo”, impone di confrontare anche la parte motivazionale dei due provvedimenti, riconoscendo la competenza del Consiglio di Stato se la motivazione della sentenza d’appello rechi una modificazione sostanziale del dictum giudiziario quale ricavabile dalla sentenza di primo grado in senso variamente ampliativo o restrittivo della condotta richiesta per dar attuazione alla pretesa, essendo, invece, irrilevante il mero arricchimento della motivazione a supporto di un medesimo decisum, una sentenza di appello non potendo mai riproporre un percorso motivazionale identico (ovvero addirittura ripetitivo) a quello della sentenza impugnata, non foss’altro per la necessità di confrontarsi con censure differenti da quelle proposte con il ricorso introduttivo del giudizio. Tale orientamento è coerente con la ratio sottesa alla disciplina della competenza funzionale per l’azione di ottemperanza così come posta dal codice del processo amministrativo che è quella di garantire il collegamento tra cognizione ed esecuzione, il giudice che ha posto l’obbligo conformativo essendo anche naturalmente destinato a meglio assicurare l’interpretazione della portata effettiva del suo dictum (Consiglio di Stato sez. V, 21 settembre 2020, n. 5485)” (Consiglio di Stato, sez. V, 01/02/2022, n. 698).

Conclusivamente, quanto ai rischi cui si espone l’amministrazione che non adempia tempestivamente all’ordine di pagamento portato dal titolo esecutivo ritualmente notificato, oltre alla potenziale condanna al pagamento delle spese di lite in favore del ricorrente, va considerata la penalità di mora prevista dall’art. 114, comma 4, lett. e) c.p.a. (c.d. astreinte) che:

  • è ormai pacificamente applicabile anche in relazione alle condanne al pagamento di somme di denaro (principio dapprima stabilito da Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 25/06/2014, 15 e poi recepito e cristallizzato dal comma 781 della legge di stabilità 2016, modificativo dell’art. 114 c.p.a.);
  • assolve ad una finalità sanzionatoria e non risarcitoria, in quanto [l’istituto] non è volto a riparare il pregiudizio cagionato dalla non esecuzione della sentenza, ma a sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria” (T.A.R. Lazio, Roma, 17/03/2022, n. 3076);
  • la giurisprudenza non pare più, come in passato (T.A.R. Campania, Salerno, 26/05/2021, n. 1288; T.A.R Lazio, Roma, 08/08/2019, n. 10452), restia ad applicare (detta sanzione) al “debitore pubblico”, stante la crisi della finanza pubblica, contenendola piuttosto nei limiti “degli interessi legali sulla somma complessivamente dovuta” (più di recente T.A.R. Campania, Napoli, 08/07/2022, n. 4614).

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