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Il Capo VII del Titolo X del Codice della crisi nei suoi nove articoli (da 375 a 384) introduce, come specificato nella rubrica, “Modifiche al codice civile”, delineando un assetto normativo di coerenza e di pieno raccordo tra la nuova disciplina della regolamentazione della crisi di impresa e norme codicistiche sostanziali (si rinvia a IBBA, Codice della crisi e codice civile, in http://www.rivistaodc.eu/codice-della-crisi-e-codice-civile, 2019, 2).

Di grandissima rilevanza è l’art. 375 CCII che, nel modificare l’art. 2086 c.c., non solo aggiunge un secondo comma, ma già interviene significativamente sulla rubrica della norma: questa, infatti, originariamente intitolata “Direzione e gerarchia nella impresa”, coerentemente con una visione padronale e patrimonialistica del fenomeno impresa, oggi è sostituita da “Gestione dell’impresa”, in tal modo fissando ed accentuando profili dinamici e programmatici, tipici di una visione più moderna del fenomeno-impresa, con una chiara funzionalizzazione degli adeguati assetti “organizzativi, amministrativi e contabili” rispetto “alla rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché” alla attivazione senza indugio “per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” (v. Minutoli, Adeguati assetti ex art. 2086 cod. civ. e composizione negoziata della crisi d’impresa, in Caiafa (a cura di), La composizione negoziata dela crisi di impresa, Roma, 2022 e dottrina e giurisprudenza ivi citata). Può anzi dirsi che la predisposizione di un’appropriata struttura organizzativa fa parte essa stessa dell’attività gestoria intesa in senso lato (Ibba, op. cit.; Abriani – Rossi, Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del codice civile: prime letture, in Società, 2019, 395).

L’art. 375 CCII (peraltro entrato in vigore il 16 marzo 2019, oltre tre anni prima del Codice stesso) in sostanza rappresenta la direttrice della riforma della crisi di impresa in relazione agli assetti organizzativi e di governo societario, apparendo pienamente coerente al (e specificamente funzionale con) il disegno complessivo della riforma, anche alla luce delle corpose modifiche con il decreto legislativo 17 giugno 2022, n. 83, attuativo della Direttiva UE 2019/1023 (c.d. Direttiva “Insolvency”).

Infatti, se è vero che le originariamente previste (nei lavori della Commissione Rordorf e, in misura minore, nel CCI; con disciplina differita addirittura al 1 gennaio 2024) procedure di allerta sono state di fatto accantonate, è anche vero che il D.L. n. 118/2021 ha introdotto, tra l’altro, l’istituto della composizione negoziata della crisi (oggi disciplinata dagli artt. 12 e segg. CCII codice), valorizzando” la logica dell’allerta precoce, dando rilevanza all’art. 2 ad un fenomeno molto diffuso e fino ad oggi trascurato, vale a dire quello della “pre-crisi” (v. Relazione al d.l. citato). In tale contesto, l’art. 2086 c.c. riformato rappresenta una forte saldatura funzionale tra diritto societario e diritto concorsuale, tra la disciplina della gestione fisiologica dell’impresa e le regole della crisi (Jorio, Note minime su assetti organizzativi, responsabilità e quantificazione del danno risarcibile, in Giur. Comm., 2019, 5, 814; Montalenti, Gestione dell’impresa, assetti organizzativi e procedure di allerta nella riforma Rordrof, in Nuovo dir.soc., 2018, 960; Macario, La riforma dell’art. 2086 c.c. nel contesto del codice della crisi e dell’insolvenza e i suoi riflessi sul sistema della responsabilità degli organi sociali, in Balestra – Martino, Crisi d’impresa e responsabilità degli organi sociali nelle società di capitali, Milano, 2022). Infatti, la struttura organizzativa dell’impresa diviene lo strumento operativo attraverso il quale la percezione della crisi arriva agli organi societari, affinché la sua completa conoscenza consenta di predisporre (con tempestività) i rimedi più opportuni (Trib. Roma, sez. imprese, 15 settembre 2020).

Sulla concreta individuazione degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili e sulla loro adeguatezza non può che rinviarsi a più specifici studi (Bastia, Gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili nelle imprese: criteri di progettazione, in Ristrutturazioni aziendali, 2021, 3. Si veda anche l’ampia disamina di Bastia, Ricciardello, Gli adeguati assetti organizzativi funzionali alla tempestiva rilevazione e gestione della crisi: tra principi generali e scienza aziendale, in Banca, impresa, società, 2020, 359-414). Quel che qui interessa evidenziare, sinteticamente, è sottolineare il rapporto tra il rinnovato statuto dell’imprenditore derivante da questa novella e le inevitabili ricadute di responsabilità e risarcitorie, anche sotto il profilo dell’obbligo di gestire secondo buona fede e correttezza la crisi d’impresa: in tal senso, è evidente che l’imprenditore deve strutturare l’impresa in maniera tale da consentire la percezione il più possibile anticipata della crisi o precrisi, posto che un ritardo nell’intervento o addirittura una omissione appare ancora più grave, a fronte di un ventaglio di opzioni di regolazione della stessa crisi offerta prima dal citato d.l. n. 118/2021 ed oggi dal CCII (così Minutoli, op. cit., anche per un’analisi della responsabilità dell’imprenditore e dei limiti del sindacato giurisdizionale sulle sue scelte gestorie, nel contesto della rispetto del principio di business judgement rule, nonché l’esame del delicato tema della individuazione del danno ai creditori per mancata adozione degli assetti organizzativo o della loro adeguatezza).

Una questione interpretativa posta immediatamente riguarda l’estensione dell’obbligo di adeguati assetti, che l’art. 2086, co. 2, c.c. ricollega all’”imprenditore che operi in forma societaria o collettiva”. Tuttavia, pur tenendo conto del fatto che il concetto di adeguatezza è normativamente collegato alla “natura e alle dimensioni dell’impresa” (e di norma l’impresa societaria è strutturalmente più complessa di quella individuale), appare incongruo ritenere che l’imprenditore individuale possa avere uno statuto meno rigoroso e sia esentato da qualsiasi obbligo come declinato dall’art. 2086 c.c. In tal senso è significativo l’art. 3 CCII (novellato dal citato decreto Insolvency 17 giugno 2022, n. 83), approvato il 15 giugno 2022, che al comma 1 così recita: “L’imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte”. Inoltre, se al co. 2 si ripropone l’obbligo di adeguarti assetti per le imprese collettive, al co. 3 viene declinato specificamente a quali fini debbano essere previsti ed organizzati gli adeguati assetti è in entrambi i casi strumentali rispetto alla tempestività della rilevazione della crisi e dell’adozione delle opportune iniziative (Ibba, op. cit.) tra cui “(…) b) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali di cui al comma 4; c) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all’articolo 13, al comma 2”.

Strettamente correlato all’art. 375 CCII è il successivo art. 377, che, sostituendo il co. 1 dell’art. 2257 c.c., il co. 1 dell’art. 2380 bis c.c., il co. 1 dell’art. 2409 nonies c.c., il co. 1 dell’art. 2475 c.c., insiste ripetutamente sul principio che “la gestione dell’impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all’articolo 2086, secondo comma” riferendosi ai diversi tipi societari.

L’ultimo comma dell’art. 378 CCII aggiunge all’art. 2475 c.c. (in tela di s.r.l.) un quinto comma del seguente tenore: “si applica, in quanto compatibile, l’articolo 2381”, norma quest’ultima che attiene, nelle società per azioni, ai poteri del Presidente del consiglio di amministrazione, all’istituto della delega e ai rapporti fra delegante e delegato. La previsione appare di chiarificazione rispetto all’ammissibilità dell’istituto della delega di poteri che si riteneva in genere sussistente anche nella s.r.l.

L’art. 378 CCII, nel silenzio della riforma societaria del 2003 nel settore delle s.r.l., ha specificato, novellando l’art. 2476 c.c., che gli amministratori di tale compagine rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, con un evidente riavvicinamento tra discipline di s.p.a. e s.r.l. E viene anche novellato anche l’art. 2486 c.c. in tema di quantificazione del danno risarcibile cagionato dagli amministratori, che, salva la prova di un diverso ammontare, si presume sulla base del criterio dei c.d. netti patrimoniali. (“differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’art. 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione”): in tal modo la norma “alleggerisce l’onere probatorio dell’attore e aggrava sensibilmente quello dei convenuti” (Ibba; op. cit., secondo cui tale soluzione rappresenta un passo indietro rispetto a quanto statuito da Cass. SS.UU. 6 maggio 2015, n. 9100, che aveva rigettato il così detto criterio differenziale anche nel caso di mancanza di scritture contabili della società”). IL criterio differenziale invece viene previsto quale sussidiario, senza presunzioni, ma quale meccanismo automatico, “se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell’irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati”.

L’art. 379 CCII, a sua volta, in ossequio alla legge delega, ridisciplina i casi in cui le s.r.l. sono obbligate alla nomina dell’organo di controllo o del revisore, novellando i commi 2, 3 e 5 dell’art. 2477 c.c.

L’art. 380 CCII (rubricato “Cause di scioglimento delle società di capitali”) aggiunge al co. 1 dell’art. 2484 c.c, il n. 7-bis, secondo cui tra tali cause rientra l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale e della liquidazione controllata. Inoltre, all’articolo 2487-bis, terzo comma, del codice civile, è aggiunto, infine, il seguente periodo: “Quando nei confronti della società è stata aperta la procedura di liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata, il rendiconto sulla gestione è consegnato anche, rispettivamente, al curatore o al liquidatore della liquidazione controllata”. A sua volta l’art. 382 CCII opera un raccordo tra le cause di scioglimento delle società di persone e gli istituti dello stesso Codice della crisi, integrando gli art. 2272, 2288 e 2308 c.c.

Ancora, l’art. 381 CCII chiarisce che, novellando l’art. 2545-terdecies, primo comma, c.c., che “le cooperative che svolgono attività commerciale sono soggette anche a liquidazione giudiziale” e modificando l’art. 2545-sexiesdecies, primo comma, che “fuori dai casi di cui all’articolo 2545-septiesdecies, in caso di irregolare funzionamento della società cooperativa, l’autorità di vigilanza può revocare gli amministratori e i sindaci, affidare la gestione della società a un commissario, determinando i poteri e la durata, al fine di sanare le irregolarità riscontrate e, nel caso di crisi o insolvenza, autorizzarlo a domandare l’accesso a una delle procedure regolatrici previste nel codice della crisi e dell’insolvenza».

Infine, l’art. 384 CCII ha abrogato l’art. 2221 c.c. che, com’è noto, recitava: “gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori, sono soggetti, in caso d’insolvenza, alle procedure del fallimento e del concordato preventivo, salve le disposizioni delle leggi speciali”. Si tratta di una previsione di chiarezza che, come notato (Ibba, op. cit.) pone fine a ogni discussione sul fatto che dalla liquidazione giudiziale è esonerata solamente quella che ora viene chiamata “impresa minore” (artt. 2, 1° co., lett. d; e 121 D.lgs. 14/2019), la cui nozione ripropone i parametri dell’art. 1 legge fall., e non anche la piccola impresa ex art. 2083 c.c.

Riferimenti normativi:

Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Titolo X – Capo VII (artt. da 375 a 384) – Modifiche al codice civile

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