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La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 21512 del 20 agosto 2019, chiarisce il valore probatorio di una corrispondenza intercorsa tra creditore e debitore da cui emerge l’esistenza del debito.

Il caso: Con atto di citazione R.F. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di Pace di Pescara in favore di A.P. per il pagamento della somma di € 1.237,50 oltre interessi a titolo di compensi per attività professionale prestata dall’ingiungente in favore dell’ingiunto per la tenuta della contabilità, rilevando di aver già saldato quanto dovuto alla professionista e nel contempo spiegava domanda riconvenzionale per il risarcimento del danno connesso a presunti errori commessi dalla commercialista.

Il Giudice di Pace rigettava l’opposizione confermando il decreto opposto e condannando l’opponente alle spese del grado, mentre il Tribunale di Pescara, quale giudice di appello, accoglieva l’impugnazione dichiarando il credito oggetto del decreto ingiuntivo già saldato e condannando l’appellata alle spese della fase monitoria: per il Tribunale la prova testimoniale escussa in primo grado aveva confermato l’intervenuto pagamento di quanto dovuto dall’appellante.

La commercialista ricorre in Cassazione, lamentando in particolare la violazione e falsa applicazione degli artt.116 c.p.c., 2702 e 2705 c.c. in relazione all’art.360 n.3 c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo in riferimento all’art.360 n.5 c.p.c.: per la ricorrente:

a) il giudice di appello non aveva considerato la corrispondenza intercorsa tra le parti né ritenuto inattendibili le risultanze della prova testimoniale, alla luce del loro contrasto con quanto emergente dalla predetta documentazione;

b) le dichiarazioni a contenuto confessorio contenute nella corrispondenza di cui sopra avrebbero dovuto essere considerate sub specie di prova legale.

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, in merito al carteggio menzionato dalla ricorrente, precisa quanto segue:

  1. non si può configurare, nella fattispecie, alcuna prova legale, posto che la corrispondenza cui fa riferimento la ricorrente rappresenta un semplice documento che, in quanto proveniente dal debitore, fa prova nei suoi confronti, ma che deve essere apprezzato – ad esclusiva cura del giudice di merito – insieme alle altre risultanze istruttorie, ivi incluse le deposizioni dei testimoni;

  2. non può ravvisarsi la prova legale ipotizzata dalla ricorrente in relazione all’eventuale portata confessoria delle dichiarazioni contenute nella richiamata corrispondenza, in considerazione del fatto che per potersi configurare la confessione occorre non soltanto una semplice dichiarazione proveniente dalla parte;

  3. è necessaria anche la ricorrenza di un quid pluris rappresentato da “… un elemento soggettivo, consistente nella consapevolezza e volontà di ammettere e riconoscere la verità di un fatto a sé sfavorevole e favorevole all’altra parte, ed un elemento oggettivo, che si ha qualora dall’ammissione del fatto obiettivo, il quale forma oggetto della confessione escludente qualsiasi contestazione sul punto, derivi un concreto pregiudizio all’interesse del dichiarante e, al contempo, un corrispondente vantaggio nei confronti del destinatario della dichiarazione”;

  4. peraltro, l’indagine volta a stabilire se una dichiarazione costituisca o meno confessione si risolve in un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, ove lo stesso sia fondato su una motivazione immune da vizi logici.

Allegato:

 

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