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La bancarotta semplice documentale può risultare non punibile se è tenue il danno risultante dal fatto nel suo complesso.

Il reato di bancarotta semplice documentale è previsto dall’art. 217 co. 2 L. Fall., il quale prescrive la pena della reclusione da sei mesi a due anni per fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento (ovvero dall’inizio dell’impresa se questa ha avuto una minore durata), non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dall’art. 2214 c.c. o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta, rendendo così impossibile una ricostruzione contabile. Il bene giuridico tutelato dal legislatore con la previsione di tale reato, infatti, è l’ostensibilità del patrimonio aziendale.

Sul tema della punibilità di siffatto reato, è di recente tornata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 41061 del 11 novembre 2021, precisando che può andare esente da pena, ai sensi dell’art. 131 bis c.p., l’imputato che abbia posto in essere un fatto che risulta particolarmente tenue alla luce di una valutazione complessa circa l’entità del danno o del pericolo, il grado di colpevolezza e le modalità della condotta.

L’art. 131 bis c.p., infatti, consente di escludere la punibilità quando l’offesa risulti di particolare tenuità e non ricorra la condizione di abitualità per i reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni. Entro tali limiti rientra il reato di bancarotta semplice documentale, sicchè – a parere degli Ermellini – non v’è ragione per escludere il reato in esame dal campo d’applicazione dell’art. 131 bis c.p.
Per la Cassazione, invero, al di fuori di tali limiti edittali, non sono ammissibili preclusioni legate al tipo di reato: la valutazione richiesta ai fini della configurabilità della causa di non punibilità deve essere ancorata solo ed esclusivamente all’offesa arrecata al bene giuridico tutelato.

La Cassazione ha inoltre chiarito che l’entità del danno non può essere stabilità avendo riguardo al mero ammontare del passivo fallimentare. È necessaria, invece, una verifica più profonda che vada a valutare se e in che termini la condotta dell’imprenditore abbia:

  • reso impossibile la ricostruzione della situazione contabile dell’impresa;
  • reso impossibile l’esercizio di azioni a tutela dei creditori;
  • determinato una diminuzione dell’attivo da ripartire tra i creditori.

Tanto la Suprema Corte ha affermato richiamando l’importante principio espresso dalle Sezioni Unite c.d. Tushaj del 2016 per cui, ai fini della configurabilità della causa di non punibilità, la tenuità del fatto deve valutarsi alla luce del fatto nel suo complesso, in considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta. Degli elementi in tal modo valorizzati il giudice dovrà peraltro dar conto nella motivazione della sentenza.

Il caso di specie, in particolare, riguardava un uomo che, nella qualità di amministratore e rappresentante legale di una società dichiarata fallita, era stato accusato di aver omesso la regolare tenuta delle scritture contabili. Il Tribunale, escluso il dolo specifico, lo aveva assolto dal reato di bancarotta fraudolenta e tuttavia lo aveva condannato per bancarotta semplice documentale, ritenendo inapplicabile la causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p.
La Corte d’appello, successivamente, aveva confermato tale sentenza, ribadendo la non applicabilità della causa di non punibilità in relazione alla particolare struttura del reato: l’irregolare tenuta dei libri contabili, infatti, impediva di accertare il volume d’affare della società e di valutare l’entità dell’offesa arrecata ai creditori e al fisco.
L’imputato, allora, aveva presentato ricorso in Cassazione e la Suprema Corte, alla luce delle considerazioni riportate, ha accolto le doglianze dell’imputato, cassando la sentenza con rinvio.



 

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