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Ai sensi dell’art. 495 c.p.c., al debitore esecutato è consentito beneficiare della cd. conversione del pignoramento, un istituto con il quale, prima che venga disposta la vendita o l’assegnazione dei beni pignorati, è possibile sostituire a questi una somma di denaro determinata dal Giudice dell’Esecuzione che comprenda tutti gli importi dovuti (per capitale, interessi e spese, anche di esecuzione) al creditore pignorante e ai creditori intervenuti.
Sebbene la disciplina sia piuttosto chiara, la norma in questione è stata più volte modificata dal legislatore (soprattutto per facilitare l’accesso del debitore a tale procedura), e – come spesso accade – le frequenti variazioni hanno suscitato confusione e dubbi:
Come si calcola la somma da versare insieme all’istanza di conversione? Da quale momento e fino a quando può essere richiesta? Qual è il rapporto tra sospensione dell’esecuzione e conversione del pignoramento? Cosa può fare il creditore titolato tardivo a fronte di una conversione già disposta?

Mi chiamo Gabriele Voltaggio, sono un avvocato di Roma e questa è una guida utile e pratica alla conversione del pignoramento che ho preparato per tutti i colleghi avvocati e per i professionisti del settore, per aiutarli ad orientarsi e comprendere nei dettagli il funzionamento di tale istituto.

La somma da depositare ex art. 495 comma 2 c.p.c.

Per poter accedere alla conversione del pignoramento, è anzitutto fondamentale conoscere l’esatto importo della somma da versare e allegare all’istanza: il debitore deve infatti depositare, unitamente all’istanza, a pena di inammissibilità, una somma non inferiore ad 1/6 (un sesto) dell’importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento e dei crediti dei creditori intervenuti indicati nei rispettivi atti di intervento, dedotti i versamenti effettuati di cui deve essere data prova documentale.

Sebbene sia chiaro che per il calcolo della somma da versare occorra fare riferimento non solo ai crediti del procedente, ma anche a quelli degli intervenuti fino alla data di deposito dell’istanza, la norma non indica con precisione quale sia la relativa base di calcolo. La questione è particolarmente delicata, in quanto, come noto, se il debitore abbia versato un importo inferiore al sesto, l’istanza verrà dichiarata inammissibile e, di conseguenza, lo stesso non potrà mai più ripresentarla: l’istanza di conversione del pignoramento può essere infatti depositata una sola volta dal debitore a pena di inammissibilità.

Si ritiene allora che per determinare correttamente la somma da depositare, il debitore debba fare riferimento agli importi direttamente ricavabili dagli atti (in particolare, il precetto per il creditore procedente e gli atti di intervento per gli ulteriori creditori) disponibili nel fascicolo telematico dell’esecuzione. Non sarà dunque necessario calcolare ulteriori interessi o spese maturate sino a quel momento.

Quanto poi alle modalità di versamento della somma, ogni Tribunale ha le sue specifiche procedure interne: il debitore che intenda accedere alla conversione del pignoramento, dovrà dunque consultare il sito del Tribunale al fine di verificare con attenzione le modalità di versamento della somma in questione.

Il termine per la presentazione dell’istanza di conversione

Compresi i requisiti della domanda, è ora importante conoscere i termini per la sua presentazione. Quanto al termine iniziale, nel testo dell’art. 495 c.p.c. non viene individuato specificamente: ne deriva che il debitore potrà avanzare l’istanza in qualsiasi momento successivo al pignoramento. Il legislatore ha tuttavia indicato con precisione il termine finale, oltre il quale è precluso definitivamente l’accesso del debitore all’istituto in questione: la pronuncia dell’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione dispone l’assegnazione o la vendita ai sensi degli artt. 530, 552 e 569 c.p.c.

In altre parole, il debitore può depositare l’istanza di conversione del pignoramento, a partire dall’iscrizione a ruolo della procedura esecutiva ed entro e non oltre l’udienza fissata dal Giudice dell’Esecuzione per l’assegnazione o la vendita dei beni pignorati.

L’intervento di creditori dopo il deposito dell’istanza

Chiariti gli obblighi in capo al debitore per poter accedere alla conversione del pignoramento, è importante anche comprendere i rispettivi obblighi imposti ai creditori. Quanto al creditore procedente e ai creditori intervenuti prima del deposito dell’istanza, non v’è particolare questione: gli stessi non possono in alcun modo interferire con l’istanza in questione, potendo semmai prendere posizione, in un secondo momento, sulla durata della rateizzazione concessa dal Giudice dell’Esecuzione.

Diverso è invece il caso in cui un creditore intervenga successivamente al deposito dell’istanza del debitore. L’istanza è ugualmente ammissibile? Tali creditori possono essere inseriti nell’ordinanza di conversione che sarà pronunciata dal Giudice dell’Esecuzione?

Secondo la Corte di Cassazione, nella successiva determinazione delle somme dovute per la conversione del pignoramento, si dovrà tenere conto anche dei creditori intervenuti successivamente alla relativa istanza ma fino all’udienza nella quale il giudice provvederà (ovvero si riserverà di provvedere) sulla medesima con l’ordinanza di cui dell’art. 495, comma 3, c.p.c.

Viene altresì chiarito che tali interventi non incidono ex post sull’ammissibilità della domanda, con specifico riferimento alla quantificazione dell’importo che deve essere versato, a titolo cauzionale, al momento di presentazione della stessa. (Cass. civ., Sez. VI – 3, Ordinanza, 13/01/2020, n. 411)

Naturalmente, se è vero che nell’ambito del subprocedimento di conversione del pignoramento devono considerarsi tempestivi gli atti di intervento dei creditori anche successivi al deposito dell’istanza di conversione, è importante ricordare che il termine ultimo dell’intervento di un creditore, per poter veder ricompreso il proprio credito tra quelli in conversione, è pur sempre costituito dal momento in cui il giudice ha pronunciato l’ordinanza di conversione ovvero si è riservato di pronunciarla ai sensi dell’articolo 495 coma 3 c.p.c. (Tribunale Grosseto, 29/09/2016, n. 752).

Cosa può fare il creditore titolato tardivo?

Come anticipato, il creditore che intervenga nella procedura esecutiva in data successiva all’ordinanza di conversione del pignoramento, viene considerato tardivo, non potrà partecipare alla conversione e potrà soddisfarsi solo su quanto sopravanzerà dopo il pagamento dei creditori tempestivi.

Cosa potrà fare dunque il creditore titolato per poter recuperare il proprio credito? A fronte di una conversione già disposta, solitamente il creditore escluso non potrà far altro che promuovere un nuovo, autonomo pignoramento. Nel nuovo processo, il debitore potrà quindi proporre un’analoga istanza di conversione ovvero, se impossibilitato a sostenere il pagamento di entrambe le conversioni, cessare di pagare anche la prima conversione: in quest’ultimo caso, i due procedimenti saranno riuniti e, per l’effetto, disposta la prosecuzione dell’esecuzione.

L’ordinanza di conversione del pignoramento

Una volta che l’istanza di conversione risulta depositata nel fascicolo telematico, il Giudice dell’Esecuzione provvede alla fissazione dell’udienza nella quale verrà determinata la somma di conversione, e cioè la somma da sostituire al bene pignorato, con concessione al debitore di un’eventuale rateizzazione. Normalmente, con la fissazione dell’udienza, il Giudice concede altresì ai creditori un termine entro il quale precisare il proprio credito.

Sul punto, come chiarito dalla Cassazione, per richiedere i ratei di credito successivi a quelli quantificati nel precetto, e basati sul medesimo titolo, è sufficiente la loro menzione nella nota di precisazione del credito, depositata ai fini della conversione del pignoramento,  e ciò anche nel caso in cui non sia stata depositata la dichiarazione di credito prevista dall’art. 569 I comma, come novellato dalla L. 12/2019, che pure prevede, in caso di mancato deposito, la limitazione del dovuto, in sede di conversione del pignoramento, al precettato. Posto che, in ogni caso, detta dichiarazione di credito non occorre quando l’istanza di conversione del pignoramento sia depositata prima ancora della fissazione dell’udienza di determinazione delle modalità di vendita (sul punto, vedi Cass. 22645/2012).

All’udienza fissata, il Giudice dell’Esecuzione, provvede poi all’emissione dell’ordinanza di conversione, con la quale può disporre, se ricorrono giustificati motivi, che il debitore versi con rateizzazioni mensili (entro il termine massimo di 48 mesi) la somma determinata a norma dell’art. 495 comma 3 c.p.c., maggiorata degli interessi scalari al tasso convenzionale pattuito ovvero, in difetto, al tasso legale.

Il caso particolare del credito rateale

Qualora la conversione del pignoramento sia richiesta con rateazione ed il credito sia a sua volta rateale (si pensi, ad esempio, al caso dell’assegno di mantenimento), non può tenersi conto, nella determinazione delle somme da sostituire al bene pignorato, dei ratei dell’assegno a scadere, poiché l’ordinanza di conversione deve necessariamente cristallizzare il credito alla data della sua emissione.

La rateizzazione nella conversione del pignoramento: quando è consentita

Nell’ambito della conversione del pignoramento, per poter procedere alla concessione della rateizzazione e alla determinazione della durata della dilazione, la norma prevede che il Giudice dell’esecuzione debba ravvisare “giustificati motivi”. Trattandosi di un richiamo piuttosto generico e discrezionale, La dottrina e la giurisprudenza hanno tentato negli anni di individuare i criteri che il Giudice dell’esecuzione deve tenere in considerazione ai fini della concessione della rateizzazione. In particolare, dovranno essere prese in esame:

  • l’entità del credito per il quale è incardinata l’esecuzione;
  • la capacità di pagamento del debitore, desumibile dalle condizioni economiche e personali degli stessi;
  • l’esistenza di specifiche esigenze di celere rientro del creditore, ove allegate. La genesi del credito non può essere presa in considerazione ai fini della determinazione della durata della rateizzazione.

Tali circostanze devono essere valutate dal giudice, ma non danno comunque automaticamente diritto alla concessione del beneficio, poiché la conversione rateale rientra sempre nei poteri discrezionali del giudice dell’esecuzione (Cass. 29/03/1989, n. 1490). È altresì importante precisare che l’istanza non può limitarsi alla richiesta di dilazione, dovendo il debitore istante supportare la propria domanda con validi elementi probatori che confermino la sussistenza del presupposto. In altre parole, l’esecutato non ha diritto alla rateizzazione in ogni caso: questa, ad esempio, non può essere concessa se la richiesta sia espressa da un debitore che, semplicemente, non intende adempiere e che impiega tale strumento per differire ulteriormente il soddisfacimento del creditore.
Si precisa inoltre che, nell’apprezzamento dei giustificati motivi, il giudice non potrà ovviamente arrivare a stabilire un termine superiore a quello massimo previsto dalla legge.

Infine, come anticipato, ai sensi dell’art. 495 comma 4, c.p.c. la rateizzazione della conversione è consentita “quando le cose pignorate sono costituite da beni immobili o cose mobili“. Tale specificazione, ha indotto la giurisprudenza ad escludere che la rateizzazione possa essere ritenuta ammissibile nel caso di pignoramento presso terzi (sebbene sia consentito richiedere la conversione anche nel pignoramento presso terzi).

La ratio della dilazione è infatti rinvenibile nella necessità di equilibrare da un lato l’esigenza del creditore ad essere soddisfatto e dall’altro quella del debitore a conservare il bene pignorato. Necessità che, tuttavia, non si ritiene ravvisabile quando il pignoramento riguarda già una somma di denaro (liquida ed esigibile) che deve essere semplicemente assegnata al creditore, come accade nell’ipotesi di pignoramento presso terzi. Nell’espropriazione presso terzi, deve quindi ritenersi ammissibile la conversione del pignoramento ma inammissibile la dilazione del pagamento (Tribunale di Milano, ordinanza del 17.05.2017).

Le udienze di verifica dei pagamenti del debitore

Emessa l’ordinanza di conversione, il Giudice dell’esecuzione, quindi, rinvia la procedura ad udienze periodiche (ogni sei mesi) per la verifica della regolarità dei versamenti.

In caso positivo, dispone l’assegnazione e il conseguente pagamento delle somme versate dal debitore al creditore pignorante o la distribuzione tra i creditori. All’ultima udienza periodica, se i versamenti sono stati sempre regolari e la somma determinata nell’ordinanza di conversione risulti integralmente saldata dal debitore, il Giudice dell’esecuzione dichiarerà l’estinzione della procedura.

Qualora invece il debitore ometta il versamento dell’importo determinato dal giudice, ovvero ometta o ritardi di oltre trenta giorni il versamento anche di una sola delle rate previste (nel caso in cui sia stata concessa al debitore la rateizzazione), le somme versate formano parte dei beni pignorati e il Giudice dell’esecuzione, su richiesta del creditore procedente o creditore intervenuto munito di titolo esecutivo, dispone senza indugio la vendita o l’assegnazione di questi ultimi.

Rapporto tra conversione del pignoramento e sospensione dell’esecuzione

Tra le questioni più dibattute in materia di conversione del pignoramento, si segnala l’esatta qualificazione dello stato in cui versa il processo esecutivo per effetto della presentazione dell’istanza in questione. Più precisamente, nel caso in cui sia stata depositata l’istanza di conversione del pignoramento si va incontro ad una sospensione dell’esecuzione ope legis? In quale stato cade la procedura dopo l’ordinanza che accoglie la conversione?

Si esclude che, in presenza di una conversione del pignoramento, possa considerarsi sospesa l’esecuzione: la conversione non pone infatti il processo esecutivo in una fase di quiescenza come la sospensione ex artt. 623 e 624 c.p.c., ma ne costituisce una alternativa forma di prosecuzione. D’altronde, in corso di conversione, il debitore può ad esempio proporre istanza di riduzione del pignoramento (atto che, se accolto, non va ad alterare l’importo di conversione in generale, né l’eventuale entità delle rate e neppure a ridurre il credito, ma soltanto l’oggetto del pignoramento) e il Giudice continua a fissare le udienze per la verifica dei pagamenti da parte del debitore, circostanza che esclude totalmente l’insussistenza di qualsiasi sospensione.

Quanto poi all’effetto dell’eventuale sospensione della procedura sulla conversione, si ritiene che la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo disposta ex art. 623 c.p.c. dal giudice della cognizione in relazione al titolo esecutivo attivato (si pensi, ad esempio, all’intervenuta sospensione della provvisoria esecutorietà di un decreto ingiuntivo) ovvero del processo esecutivo ad opera del giudice dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c., possa certamente influire sul subprocedimento di conversione del pignoramento. Allo stesso modo, si ritiene che l’istanza di conversione non possa esser proposta a procedura esecutiva già sospesa (sia ex att. 623 che ex art. 624 c.p.c.), proprio alla luce del rapporto di pregiudizialità che lega l’accertamento cognitivo alla debenza delle somme da convertire.

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