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[a cura di Lorenzo Roccatagliata]

Cass. pen., Sez. V, Sent. 7 gennaio 2021 (ud. 3 dicembre 2020), n. 323
Presidente Palla, Relatore Scordamaglia

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione, Sezione quinta, ha tracciato la linea di demarcazione fra le fattispecie di reato che si manifestano attraverso la commissione di un fatto di false comunicazioni sociali, con specifico riferimento alla materia fallimentare. La Corte ha inoltre affrontato l’applicazione della disciplina delle pene accessorie per la bancarotta fraudolenta, alla luce dei recenti interventi della Consulta e delle Sezioni Unite.

1. La distinzione tra i reati di false comunicazioni sociali (art. 2621 c.c.), bancarotta fraudolenta impropria mediante false comunicazioni sociali (223, co. 2, n. 1, L.F.), bancarotta fraudolenta documentale (216, co. 1, n. 2, L.F.).

In tema, la Corte ha chiarito che “l’ipotesi di falso in bilancio seguito da fallimento della società, di cui all’art. 223, comma 2, n. 1, L.F., costituisce un’ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria e si distingue sia dal falso in bilancio previsto dall’art. 2621 cod. civ., che è reato sussidiario punito a prescindere dall’evento fallimentare, sia dalla bancarotta documentale propria concernente ipotesi di falsificazione di libri o di altre scritture contabili. Pertanto, verificatosi il fallimento, il fatto di cui all’art. 2621 cod. civ. è assorbito nel reato di bancarotta impropria, mentre concorre con i delitti di bancarotta propria documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, L.F., ove integrate da condotte diverse dalla falsificazione (…)”.

2. La distinzione tra i reati di bancarotta fraudolenta documentale (216, co. 1, n. 2, L.F.), bancarotta semplice documentale (art. 217, co. 2, L.F.).

Sul punto, ha statuito il Collegio che “i delitti di bancarotta fraudolenta documentale e di bancarotta semplice documentale divergono già sul piano oggettivo: infatti, mentre il delitto di bancarotta fraudolenta documentale riguarda tutti i libri e le scritture contabili genericamente intesi, ancorché non obbligatori, ed è un reato di evento, che è integrato dall’impedimento della ricostruzione del volume d’affari o del patrimonio del fallito (…), la bancarotta semplice documentale si riferisce alle sole scritture obbligatorie ed è un reato di mera condotta, che si consuma con la mera mancata tenuta o con la tenuta irregolare o incompleta dei libri e delle altre scritture contabili prescritti dalla legge, nei tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata”.

3. La commisurazione delle pene accessorie per il reato di bancarotta fraudolenta (art. 216, co. 4, L.F.).

La Corte ha anzitutto ricordato che “con sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018, la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma di cui all’art. 216, ultimo comma, L.F. quanto alla previsione di pene accessorie di durata fissa decennale (l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità di esercitare uffici direttivi nelle imprese) per tutti coloro che siano condannati per bancarotta fraudolenta e le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 28910 del 28/02/2019, Suraci, Rv. 276286, hanno stabilito che le pene accessorie previste dall’art. 216 L.F., nel testo riformulato dalla sentenza n. 222/2018 della Corte Costituzionale, così come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen.”. Sulle pronunce della Consulta e delle Sezioni Unite, si veda l’analisi di Federica Barbero.

Sulla base di questo rilievo, nel caso di specie, la Corte ha disposto l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice di merito “poiché nella sentenza impugnata le pene accessorie fallimentari sono state applicate nella misura fissa prevista dall’art. 216, comma 4, L.F. prima che questo venisse dichiarato incostituzionale e poiché la loro rideterminazione secondo i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. implica valutazioni di merito precluse al giudice di legittimità”. Simile soluzione era già stata adottata da Cass. n. 30442/20, pubblicata in questa Rivista, ivi.

 

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