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Il ricorso è stato presentato dal Banco di Desio e della Brianza S.p.A. succeduta alla Banca Popolare di Spoleto a seguito di fusione per incorporazione, contro il fallimento di una società con cui aveva stipulato, insieme ad altri istituti, apposito contratto di finanziamento in pool, e avverso decreto del Tribunale di Perugia che parzialmente accoglieva l’opposizione della Banca incorporata nei confronti dello stato passivo della società oggetto di fallimento, ammettendo al passivo in via chirografaria anziché in grado ipotecario di un credito a titolo di restituzione di un mutuo fondiario concesso alla società fallita ai sensi dell’art. 38 T.U.B.

In particolare, il Tribunale con detto decreto precisava che le esenzioni previste dall’art. 67, co. 3, lett. d, l. fall. non trovassero applicazione alla revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. ma solo per quella fallimentare, e che il piano di risanamento e l’attestazione risultavano privi di data certa, e in più sottolineava l’inidoneità del piano ad assicurare il risanamento dell’impresa.

Con il medesimo decreto il Tribunale esclude la nullità del mutuo sia per il superamento del limite di finanziabilità sia per illiceità dell causa, ritenendo che la violazione dell’art. 38 suddetto non comporta nullità, e che l’intento delle parti di recare pregiudizio ad altri non è di per sé illecito, rilevando pero che lo stato di decozione era conoscibile da soggetti qualificati come gli istituti di credito fin dal 2006. Premesso che la concessione d’ipoteca costituisce un atto dispositivo idoneo a determinare una diminuzione della garanzia patrimoniale, ed esclusa l’applicabilità dell’art. 2901, co. 3, c.c., il Tribunale ha ritenuto provato il pregiudizio arrecato agli altri creditori, affermando che  il pool di banche non poteva non esserne consapevole, in quanto in grado di valutare i sintomi dello stato di dissesto, e ritenendo sussistente anche il requisito temporale prescritto dall’art. 2901 c.c.,  concludendo per l’ammissione al passivo del credito in via chirografaria, ritenendo non ostativo il c.d. consolidamento breve dell’ipoteca.

 

Avverso tale decreto la Banca ricorrente ha proposto ricorso per cassazione composto da 12 motivi, tra gli altri la violazione o la falsa applicazione dell’art. 67, co. 3, lett. d, l. fall, censurando l’aver escluso il decreto che l’impugnazione ivi prevista dalla disposizione in oggetto si applichi alla revocatoria ordinaria, che non prevede limitazioni, della finalità perseguita attraverso l’introduzione della stessa, consistente nel favorire il superamento della crisi aziendale attraverso l’attuazione del piano di risanamento e del contrasto di tale finalità con il più lungo termine previsto per l’esercizio della rev. ord. e per i più ristretti margini di operatività di quest’ultima.

La Suprema Corte, dopo aver ritenuto fondato tale motivo, precisa come la questione sollevata sia stata più volte affrontata dalla stessa Corte e risolta nel senso di inapplicabilità all’azione revocatoria ordinaria, ancorché esercitata dal curatore fallimentare, delle esenzioni contemplate dall’ art. 67, co. 3, lett. d, l. fall. per gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato; seppur riferendosi ad un reiterato orientamento la Corte, evidenziando la portata tutt’altro che risolutiva della interpretazione letterale e osservandosi per un verso che il rinvio dell’art. 66 alla disciplina del codice civile non esclude qualsiasi interferenza con quella dettata dalla legge fallimentare, si ritiene che la questione imponga un necessario approfondimento.

Si nota, anzitutto, che nonostante la collocazione della norma, è da confermare una ambivalenza nella sua formulazione letterale, che non autorizza conclusioni sicure nel senso né della applicabilità né inapplicabilità delle esenzioni alla revocatoria ordinaria. Lo stesso riferimento alla azione revocatoria potrebbe far desumere un intento del legislatore di estenderne l’ambito applicativo ad entrambe le azioni, ma ciò sembra contrapporsi la specificità del quarto comma che nell’escludere l’applicabilità della revocatoria all’istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno e di credito fondiario, fa precipuo riferimento alle disposizioni dell’articolo, ossia a quelle della sola revocatoria fallimentare.

Per quanto concerne il profilo logico-sistematico, invece, la Corte considerando la ratio dell’art. 67, co. 3 lett. d, le segnale differenze tra la disciplina della revocatoria fallimentare e di quella ordinaria non sono di per sé idonee a giustificare una esclusione dell’applicabilità alla seconda delle esenzioni previste per prima, in quanto si correrebbe il rischio di vanificarne l’efficacia.

Si è evidenziata la difficoltà di ricondurre ad unità le fattispecie di esenzione, in quanto mentre alcune (lett. a e b) mirano alla prosecuzione dell’attività di impresa evitando che il timore della revocatoria scoraggi altri operatori di entrare in contatto con la società in difficoltà, altre (lett. d e g)sono dirette ad agevolare il ricorso alle procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa, sottraendo alla revocatoria gli atti compiuti in funzione o in esecuzione delle stesse, ed altre ancora trovano giustificazione nell’appartenenza del creditore o dell’altro contraente a particolari categorie di soggetti ritenute meritevoli di tutela (lett. c, f). Si è quindi prospettata la possibilità di dare al quesito riguardante l’ambito di operatività della norma in esame risposte differenziate, anche con riguardo alla revocatoria fallimentare, correlando l’applicabilità dell’esenzione alla categoria di atti cui si riferiscono le singole fattispecie

Sulla base di tali argomenti, in conclusione la S.C. in marito alla questione sollevata dalla ricorrente emana il seguente principio di diritto «in tema di fallimento, le esenzioni previste dall’art. 67, terzo comma, della legge fall. trovano applicazione non soltanto all’azione revocatoria fallimentare, ma, alle condizioni per la stessa previste, anche all’azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatore, nonché a quella esercitata al di fuori del fallimento, nel caso in cui il giudizio promosso dal singolo creditore sia proseguito dal curatore». Ed è proprio alla stregua di tale principio che non possono essere condivise le conclusioni a cui si è pervenuti con decreto impugnato nella parte in cui nonostante l’accertamento del credito quale nascente da mutuo ipotecario connesso alla fallita in esecuzione di un piano di risanamento, ha ritenuto revocabile la garanzia accogliendo l’eccezione proposta dal curatore del fallimento, ammettendo poi il credito al passivo in via chirografaria con l’esclusione della esenzione di cui alla lett. d, art. 67 co. 3 suddetto.

 

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