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Pubblichiamo l’articolo di Luca Andretto, tratto da Il Fallimento e le altre procedure concorsuali (n. 12/2016), Ipsoa. Per maggiori informazioni >>

La lenta e travagliata evoluzione della giurisprudenza di legittimità e la varietà delle soluzioni ancor oggi adottate dalla giurisprudenza di merito, talora in aperto contrasto con la Corte di cassazione, impongono di mettere ordine sugli effetti che l’apertura della procedura di concordato preventivo spiega sulle linee di credito autoliquidanti in essere, con specifico riguardo agli smobilizzi concessi dalla banca prima della domanda concordataria in relazione a crediti destinati a venire a scadenza in epoca successiva. Le soluzioni adottate divergono a seconda che lo smobilizzo si accompagni alla cessione dei crediti sottostanti o a un mandato irrevocabile all’incasso e, in quest’ultimo caso, s’intrecciano con il principio di cristallizzazione dei crediti e con la disciplina sulla compensazione nella procedura minore. Il presente itinerario si propone di riferire ordinatamente le soluzioni giurisprudenziali che si sono avvicendate sul tema, prestando attenzione sia all’evoluzione diacronica, sia alle frequenti oscillazioni che tuttora si riscontrano presso numerose corti di merito, onde fornire all’operatore alcune indicazioni con cui potersi orientare nelle prassi applicative.


Effetti del concordato preventivo sulle linee di credito autoliquidanti aperte alla data della domanda

Premessa su cristallizzazione dei crediti nel concordato preventivo e limite a compensazione

Come noto, il concordato preventivo non realizza quella separazione del patrimonio dalla persona del debitore che caratterizza, invece, la procedura fallimentare. Nondimeno, sin da tempi remoti (quantomeno da Cass. 21 ottobre 1964, n. 2636, in Foro it., 1965, I, 48) la giurisprudenza ha utilizzato il termine “cristallizzazione” per qualificare la netta demarcazione che, in base all’art. 168 l.fall., si viene a creare tra debiti anteriori e posteriori all’introduzione della procedura, a significare il rigido divieto di soddisfare al difuori del concorso formale i creditori per titolo o causa anteriore. Questo rigido divieto si riverbera sul regime della compensazione, che la procedura minore mutua da quella fallimentare mediante il rinvio operato dall’art. 169 all’art. 56 l.fall.: ai creditori per titolo o causa anteriore è consentito soddisfare le proprie ragioni mediante compensazione con i rispettivi debiti verso il fallito, a condizione che la situazione estintiva delle obbligazioni contrapposte, quand’anche sopravvenuta alla dichiarazione di fallimento, a sua volta tragga titolo o causa da fatti occorsi anteriormente nel corso della gestione imprenditoriale del fallito (Cass. 31 agosto 2010, n. 18915, in questa Rivista, 2011, 373; Cass. 12 febbraio 2008, n. 3280, ivi, 2008, 605; Cass. 22 maggio 2003, n. 8042, ivi, 2004, 658; Cass., SS.UU., 16 novembre 1999, n. 775, ivi, 2000, 524; Cass. 22 giugno 1972, n. 2039, in Foro it., 1972, I, 1904). Lo stesso regime è ritenuto applicabile al concordato preventivo, dovendosi in tal caso assumere il momento di deposito della domanda concordataria quale limite temporale oltre il quale le nuove obbligazioni assunte verso il debitore – il cui fatto genetico, cioè, intervenga successivamente alla domanda – non sono suscettibili di estinguere per compensazione i controcrediti pregressi (Cass. 22 novembre 2015, n. 24046, in questa Rivista, 2016, 687; Cass. 20 gennaio 2015, n. 825, ivi, 2016, 114; Cass. 21 ottobre 1964, cit.; App. Milano 23 febbraio 2016, in www.ilcaso.it). Mentre, però, nel fallimento la ratio di tale limite alla compensazione viene generalmente individuata nel difetto di reciprocità tra crediti maturati verso il fallito e debiti assunti verso la massa (Cass. 20 marzo 2014, n. 6478, ord., in Rep. Foro it., 2014, voce Fallimento, 410; Cass. 26 luglio 2002, n. 11030, in questa Rivista, 2003, 507; Cass., SS.UU., 19 novembre 1996, n. 10097, ivi, 1997, 199), nel concordato preventivo tale spiegazione non risulta appagante in quanto la gestione imprenditoriale continua a far capo allo stesso debitore. In talune pronunce, pertanto, la ratio del limite alla compensazione nel concordato preventivo è stata giustificata come logica conseguenza del divieto di azioni esecutive da parte dei creditori per titolo o causa anteriore alla domanda concordataria, sulla scorta del ragionamento per cui ciò che un creditore non può ottenere in via di esecuzione forzata neppure può a fortiori conseguire in virtù di spontaneo adempimento del debitore o di compensazione con obbligazioni sorte in un momento successivo (Cass. 12 gennaio 2007, n. 578, in questa Rivista, 2007, 723; App. Milano 23 febbraio 2016, cit.; Trib. Verona 31 agosto 2015, ord., in www.ilcaso.it; App. Potenza 11 dicembre 2012, inedita; in senso contrario, Trib. Reggio Emilia 11 marzo 2015, in www.ilcaso.it, ha ritenuto che anche la domanda concordataria faccia sorgere un diverso centro d’interessi composto non più soltanto dall’imprenditore, ma anche dai creditori concorsuali, con conseguente alterità della sfera soggettiva cui fanno capo le obbligazioni posteriori).

La questione delle linee di credito autoliquidanti aperte al momento della domanda concordataria

L’attuazione di questa raffinata elaborazione teorica ha trovato un complesso banco di prova nelle linee di credito autoliquidanti ancora aperte al momento della domanda concordataria: su questo tema si è assistito a una travagliata evoluzione giurisprudenziale che, se a livello di legittimità dopo alcuni tentennamenti pare ormai pervenuta a stabili approdi, presso le corti di merito è tuttora oggetto di oscillazioni ed orientamenti contrastanti, causando pregiudizievoli incertezze nelle prassi applicative. Per “linee di credito autoliquidanti” (espressione, come si vedrà, recentemente accolta anche dal legislatore) s’intendono generalmente quelle facilitazioni finanziarie con cui gli istituti bancari assumono un rischio di credito caratterizzato da una relazione qualificata tra l’affidamento concesso al cliente e la pretesa creditoria da questi vantata nei confronti di un terzo: la banca smobilizza un credito non ancora scaduto anticipandone al cliente il valore nominale, se del caso previa deduzione dell’interesse, a fronte della canalizzazione del pagamento del terzo a favore della banca stessa e fermo l’impegno del cliente a rendere il valore nominale dei crediti anticipati in caso di omesso pagamento del terzo. La differenza rispetto alle ordinarie linee di credito per elasticità di cassa sta in ciò, che la banca nel valutare il merito creditizio del cliente tiene conto non di un astratto progetto imprenditoriale, ma delle vendite o forniture già realizzate o positivamente negoziate, e si attende di rientrare dall’anticipo concesso proprio mediante il pagamento del terzo contraente. È un modello ormai istituzionalizzato da Banca d’Italia nelle proprie Istruzioni per gli intermediari creditizi sulle segnalazioni di credito agli effetti della Centrale Rischi (in www.bancaditalia.it, II, 8), ove i “rischi autoliquidanti” vengono individuati come categoria autonoma di censimento e qualificati come “operazioni caratterizzate da una fonte di rimborso predeterminata. Si tratta di finanziamenti concessi per consentire alla clientela l’immediata disponibilità di crediti non ancora scaduti vantati nei confronti di terzi e per i quali l’intermediario segnalante ha il controllo sui flussi di cassa”. Tale operazione può seguire diversi schemi negoziali, che ormai raramente nella prassi rispecchiano il contratto tipico di sconto quale disciplinato dagli artt. 1858 ss. c.c. Sono, infatti, ritenuti elementi essenziali del contratto di sconto, sul piano strutturale, sia la prededuzione dell’interesse da parte dell’istituto bancario, sia la cessione del credito risolutivamente condizionata al regolare pagamento del debitore ceduto (Cass. 11 agosto 2000, n. 10689, in Banca, borsa, tit. cred., 2002, II, 30; App. Milano 19 giugno 1990, ivi, 1992, II, 448). Nella prassi è, invece, ben più frequente l’ipotesi di smobilizzo mediante presentazione alla banca di fatture e/o ricevute bancarie, senza cessione dei crediti sottostanti, ma con conferimento di un mandato in rem propriam all’incasso. Tanto la fattura quanto la ricevuta bancaria sono documenti contenenti semplici dichiarazioni scritte del creditore, che attesta l’esistenza del credito e ne predispone la quietanza di pagamento, e non sono pertanto riconducibili alla categoria dei titoli di credito, ma costituiscono lo strumento attraverso cui la banca procede alla riscossione dell’importo ivi indicato secondo le istruzioni impartite dal creditore stesso (Cass. 22 marzo 2001, n. 4085, in Dir. fall., 2002, II, 638; Cass. 5 ottobre 2000, n. 13278, in Corr. giur., 2000, 1561; Cass. 6 febbraio 1999, n. 1041, in Contratti, 1999, 790; Cass. 18 maggio 1996, n. 4614, ivi, 1996, 611). Sovente la banca s’impegna nei confronti del cliente a concedere in via continuativa lo smobilizzo di fatture e/o ricevute bancarie entro un plafond massimo predeterminato e, in genere, l’operazione viene regolata su un conto corrente dedicato, movimentato in addebito al momento dell’anticipazione (contestualmente al corrispondente accredito sul conto corrente operativo) e in accredito al momento del pagamento dei crediti sottostanti (con giroconto dal conto corrente operativo ove si renda necessario coprire eventuali insoluti): in tal caso, la remunerazione della banca non viene dalla prededuzione dell’interesse al momento dell’anticipazione, ma dall’applicazione degli interessi sul saldo passivo del conto corrente dedicato nel periodo intercorrente tra l’anticipazione dei crediti e il relativo pagamento (Cass. 23 settembre 1994, n. 7835, in Contratti, 1995, 51). Difettano, quindi, in tale operazione entrambi gli elementi distintivi del contratto tipico di sconto: la prededuzione dell’interesse e la cessione del credito.

Soluzioni adottate in caso di cessione dei crediti oggetto di smobilizzo

Proprio la presenza – e l’opponibilità alla procedura concorsuale – della cessione del credito ovvero di un semplice mandato all’incasso viene considerata dalla giurisprudenza quale primario elemento di discrimine per l’applicazione o meno della suesposta disciplina sulla compensazione (Cass. 25 luglio 1996, n. 6726, in Riv. not., 1998, 310; Trib. Bolzano 5 aprile 2016, decr., in www.ilcaso.it; Trib. Verona 31 agosto 2015, cit.; Trib. Rovigo 20 ottobre 2015, decr., in questa Rivista, 2016, 588; App. Venezia 11 marzo 2015, decr., in www.ilcaso.it; Trib. Ravenna 22 ottobre 2014, decr., ivi; Trib. Padova 7 gennaio 2014, in www.fallimentiesocieta.it, decr.; Trib. Firenze 23 aprile 2001, in Gius, 2001, 2141; Trib. Acqui Terme 5 maggio 2000, in Giur. comm., 2001, II, 74; App. L’Aquila 7 maggio 1996, in Dir. fall., 1997, II, 317; Trib. Milano 6 dicembre 1993, in Gius, 1994, 7, 151). In particolare, qualora la banca si renda cessionaria del credito oggetto di smobilizzo, tanto nell’ambito di un vero e proprio contratto di sconto, quanto a scopo di garanzia di altra forma atipica di anticipazione, la disciplina sulla compensazione non viene in rilievo ed essa è sempre legittimata a trattenere l’intero importo pagato dal debitore ceduto, indipendentemente dal fatto che nel frattempo il cedente sia stato dichiarato fallito od abbia presentato domanda di concordato preventivo, dovendosi ritenere ormai esaurito l’effetto traslativo del rapporto (Cass. 4 novembre 1992, n. 11966, in questa Rivista, 1993, 287; Cass. 19 novembre 1987, n. 8505, ivi, 1988, 203; e, con specifico riguardo alla procedura minore, Cass. 3 dicembre 1968, n. 3868, in Foro it., 1969, I, 1585; Cass. 30 giugno 1961, n. 1576, ivi, 1961, I, 1303; App. Venezia 11 marzo 2015, cit.). In tal caso, il pagamento del debitore ceduto soddisfa un credito proprio della banca, già stabilmente uscito dalla sfera patrimoniale del cedente (salvi gli effetti di un’eventuale azione revocatoria), ma la piena realizzazione della funzione autoliquidante del divisato programma negoziale comporta la contestuale liberazione del cliente dall’impegno a rendere il valore nominale del credito anticipato. Residuava, in passato, un tratto distintivo tra l’ipotesi del fallimento e quella del concordato preventivo: mentre, infatti, nella prima ipotesi il combinato disposto dell’art. 45 l.fall. con gli artt. 1265 e 2914 c.c. rendeva opponibile alla massa dei creditori soltanto la cessione di credito notificata al debitore ceduto o da questi accettata con atto di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento (Cass. 3 febbraio 2010, n. 2517, in questa Rivista, 2010, 1211; Cass. 14 marzo 2006, n. 5516, in Ambiente & Sviluppo, 2006, 846; Cass. 29 settembre 1999, n. 10788, in questa Rivista, 2000, 1236), nella procedura minore l’inapplicabilità dell’art. 45 l.fall. induceva a ritenere sufficiente la prova della cessione con data certa anteriore alla domanda concordataria, restando indifferente la sua notifica al debitore ceduto o la sua accettazione anche in data successiva (Cass. 3 dicembre 2002, n. 17162, in Notariato, 2003, 117; Cass. 22 settembre 1990, n. 9650, in questa Rivista, 1991, 253; Trib. Napoli 12 maggio 2004, in Dir. fall., 2004, II, 834; Trib. Milano 17 marzo 1986, in questa Rivista, 1986, 906). Oggi, tuttavia, l’art. 169 l.fall. come novellato dal legislatore del 2006 opera un espresso rinvio all’art. 45 l.fall., rendendo prive di effetto rispetto ai creditori le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi se compiute dopo la presentazione della domanda concordataria; ne discende anche per la procedura minore l’esigenza che la cessione di credito sia notificata al debitore ceduto o da questi accettata con atto di data certa anteriore alla domanda (Trib. Modena 5 marzo 2015, in www.ilcaso.it; Trib. Padova 7 gennaio 2014, cit.).

Soluzioni adottate in caso di mandato all’incasso dei crediti: tendenziale sopravvivenza alla procedura concordataria

Diverse sono le soluzioni adottate dalla giurisprudenza in presenza di linee autoliquidanti senza cessione del credito, ma con conferimento alla banca di un mero mandato all’incasso (che, in base all’art. 45 oggi richiamato dall’art. 169 l.fall., deve comunque risultare da atto di data certa anteriore alla domanda concordataria). La giurisprudenza ha ripetutamente evidenziato che i due istituti, pur potendo essere alternativamente utilizzati per raggiungere le medesime finalità solutorie o di garanzia, differiscono sostanzialmente e sono incompatibili, poiché la cessione produce l’immediato trasferimento del credito al cessionario, che diviene titolare della legittimazione esclusiva a pretendere la prestazione del debitore ceduto, mentre il mandato all’incasso conferisce al mandatario solo la legittimazione a riscuotere il credito in nome e per conto del mandante, che ne conserva la titolarità esclusiva (Cass. 3 dicembre 2002, n. 17162, cit.; Cass. 5 aprile 2001, n. 5061, in questa Rivista, 2001, 1282; Cass. 23 luglio 1997, n. 6882, ivi, 1998, 273; Cass. 28 agosto 1995, n. 9030, ivi, 1996, 69; Cass. 22 settembre 1990, n. 9650, cit.; App. L’Aquila 7 maggio 1996, cit.). In quanto conferito anche nell’interesse della banca mandataria, viene a configurarsi un mandato in rem propriam ai sensi dell’art. 1723, comma 2, c.c., come tale irrevocabile ed insensibile alle vicende relative alla capacità del mandante (Cass. 10 luglio 2009, n. 16299, in Mass. Giust. civ., 2009, 1083; Cass. 30 gennaio 2003, n. 1391, in questa Rivista, 2003, 1187). Il mandato all’incasso, pertanto, non si estingue neppure per il fallimento del mandante (Cass. 12 marzo 1984, n. 1689, in Dir. fall., 1984, II, 398; Cass. 26 febbraio 1981, n. 1182, in questa Rivista, 1981, 638); ma si ritiene che la sopravvenuta instaurazione di una procedura concorsuale ne legittimi la revoca per giusta causa, qualora l’attività del mandatario si porrebbe in contrasto con i fini della procedura stessa (Cass. 22 luglio 2004, n. 13676, in questa Rivista, 2005, 887; Cass. 1° febbraio 1983, n. 857, ivi, 1983, 833; App. Torino 27 maggio 1985, ivi, 1986, 860 Trib. Verbania 11 giugno 1981, in Giur. mer., 1983, 668; contra Trib. Parma 6 giugno 1990, in Dir. fall., 1991, II, 132). Inoltre, come si è detto, il mandato all’incasso s’inserisce generalmente in un più vasto programma negoziale di durata, che comprende l’impegno della banca a concedere in via continuativa lo smobilizzo di fatture e/o ricevute bancarie entro un determinato plafond: valorizzando tale aspetto, una recente pronuncia di merito (Trib. Verona 23 febbraio 2015, in questa Rivista, 2016, 1010) ha ritenuto che in caso di concordato preventivo liquidatorio il mantenimento delle linee di credito autoliquidanti non abbia più ragion d’essere, mentre in caso di proposta concordataria con continuità aziendale il debitore potrebbe sempre recedere in base alle disciplina generale sui rapporti contrattuali di durata e, in entrambi i casi, lo scioglimento del rapporto travolgerebbe anche il mandato in rem propriam all’incasso dei crediti già anticipati. È rimasta, invece, isolata la più radicale opinione di una pur influente corte di seconda istanza (App. Milano 29 dicembre 1998, in Banca, borsa, tit. cred., 2000, II, 51), secondo cui la presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo da parte del mandante comporterebbe l’automatico scioglimento del mandato in rem propriam all’incasso, in applicazione analogica dell’art. 78 l.fall. (norma peraltro riferita al fallimento del mandatario).

(Segue) il tradizionale orientamento sfavorevole alla compensazione

L’analisi della giurisprudenza edita in argomento consente di verificare che sono alquanto rare le controversie inerenti a revoche per giusta causa del mandato all’incasso a seguito dell’instaurazione di una procedura concorsuale. La ragione è duplice. Per un verso, il pagamento del terzo nelle mani della banca creditrice è stato a lungo considerato un vero e proprio atto solutorio per conto del cliente qualora accreditato su conto corrente con saldo passivo e, come tale, atto revocabile in caso di sopravvenuto fallimento ove sussistessero i requisiti cronologici e soggettivi di cui all’art. 67 l.fall., ovvero inefficace ai sensi dell’art. 44 l.fall. se compiuto dopo la sentenza dichiarativa di fallimento (Cass. 13 febbraio 2013, n. 3507, in questa Rivista, 2013, 1402; Cass. 27 aprile 2011, n. 9387, ivi, 2012, 233; Cass. 3 maggio 2007, n. 10208, ivi, 2007, 1233; Cass. 20 febbraio 1998, n. 1846, in Contratti, 1998, 281; Cass. 23 luglio 1997, n. 6882, cit.; Cass. 20 maggio 1997, n. 4473, in Foro it., 1997, I, 2089; Cass. 9 giugno 1983, n. 3951, in Foro it., 1983, I, 3064; Trib. Ferrara 14 maggio 2012, in Dir. fall., 2012, II, 646; App. Bologna 23 gennaio 2004, in questa Rivista, 2005, 157; opportunamente precisano Cass. 19 gennaio 2006, n. 1060, ivi, 2007, 1450, e Cass. 28 giugno 2002, n. 9494, in Contratti, 2002, 1023, che il pagamento può anche essere ripristinatorio della provvista e, quindi, non revocabile ove accreditato prima del fallimento su conto corrente con saldo passivo ma coperto da formale apertura di credito). Né l’art. 67, né l’art. 44 l.fall. sono applicabili al concordato preventivo; ma la qualificazione del pagamento del terzo quale atto solutorio (o ripristinatorio) ha talora consentito di escludere in radice anche l’applicabilità della disciplina sulla compensazione di cui all’art. 56 l.fall. (Trib. Rovigo 28 ottobre 2015, cit.; Trib. Verona 31 agosto 2015, cit.; Trib. Bergamo 21 novembre 2011, in questa Rivista, 2012, 586). Per altro verso, pure in quelle – ben più numerose – pronunce che hanno considerato astrattamente applicabile la disciplina sulla compensazione nel concordato preventivo, si è tradizionalmente ritenuto che la banca non potesse portare il pagamento del terzo a compensazione del proprio credito nei confronti del cliente nel frattempo entrato in procedura concorsuale, vertendosi in ipotesi di operatività del limite di cui all’art. 56 l.fall. già sopra esaminato: se, infatti, il credito della banca derivante dall’anticipazione concessa al cliente è antecedente la presentazione della domanda concordataria, il corrispondente debito avente ad oggetto la restituzione di quanto ricevuto in pagamento dal terzo, pur inquadrandosi nel rapporto di mandato precedentemente instaurato, trova il suo fatto genetico proprio nel pagamento incassato (Cass. 7 maggio 1999, n. 10548, in questa Rivista, 2010, 117; Cass. 18 dicembre 1990, n. 11988, ivi, 1991, 467; Cass. 28 giugno 1985, n. 3879, ivi, 1986, 157; Cass. 26 febbraio 1981, n. 1182, cit.; Trib. Lucca 21 maggio 2013, in www.ilcaso.it; App. Milano 2 marzo 2001, in Banca, borsa, tit. cred., 2002, II, 552; Trib. Milano 1° giugno 2000, in questa Rivista, 2000, 1302; App. Roma 15 marzo 1999, ivi, 1999, 815; Trib. Milano 27 novembre 1997, in Banca, borsa, tit. cred., 1999, II, 344; Trib. Milano 11 novembre 1993, in Gius, 1994, 3, 117; Trib. Brescia 15 giugno 1989, in questa Rivista, 1989, 1256; Trib. Milano 18 gennaio 1988, in Banca, borsa, tit. cred., 1989, II, 481; App. Milano 17 maggio 1985, in questa Rivista, 1985, 1159; Trib. Milano 11 giugno 1984, ivi, 1985, 60; App. Torino 14 settembre 1985, ivi, 1986, 1065; Trib. Torino 31 maggio 1984, ivi, 1986, 63; Trib. Torino 15 gennaio 1977, in Giur. comm., 1977, II, 866). Analogo orientamento la giurisprudenza ha tradizionalmente mantenuto, mutatis mutandis, con riguardo alla procedura di amministrazione controllata (Cass. 14 febbraio 1979, nn. 974 e 975, in Dir. fall., 1979, II, 113 e 174; Trib. Foggia 2 aprile 1998, in questa Rivista, 1999, 205; Trib. Sulmona 9 luglio 1992, in Dir. fall., 1993, II, 552). Isolato è rimasto, invece, il risalente orientamento di alcune corti di merito, privo invero di solido fondamento normativo, secondo cui la banca avrebbe potuto porre in compensazione quanto ricevuto in pagamento dal terzo nei limiti della percentuale di soddisfazione concordataria (App. Firenze 30 gennaio 1974, in Giur. comm., 1975, II, 268; Trib. Catania 17 febbraio 1971, in Banca, borsa, tit. cred., 1972, II, 286).

(Segue) l’innovativo orientamento di legittimità favorevole alla compensazione

Il germe di una svolta giurisprudenziale, poi effettivamente compiutasi almeno a livello di legittimità, si rinviene in una pronuncia del 1994 (Cass. 23 luglio 1994, n. 6870, in questa Rivista, 1995, 262), in cui per la prima volta la Corte di cassazione evidenzia la necessità d’inquadrare il mandato all’incasso conferito alla banca nell’ambito e alla luce delle complessive pattuizioni intervenute fra le parti anteriormente alla domanda di concordato presentata dal mandante. Cassando la sentenza di merito che aveva omesso ogni considerazione sui rapporti contrattuali tra le parti, la Corte impone al giudice del rinvio di accertare se, prima della domanda concordataria, la banca sia stata incaricata della riscossione di crediti presso terzi “sulla base di un accordo solutorio comportante la cessione del credito o comunque il diritto della banca di incamerare le somme riscosse, ovvero se il cliente ha soltanto conferito alla banca un mandato a riscuotere il credito, con obbligo successivo di rimettere al cliente le somme riscosse”, precisando che solo in quest’ultima ipotesi non avrebbe potuto aver luogo la compensazione oggetto di contestazione. L’innovativa equiparazione tra cessione del credito e previsione di un diritto della banca d’incamerare le somme riscosse in forza di un mandato all’incasso non viene in alcun modo motivata; tant’è che, esaminando identica fattispecie a distanza di un anno, la stessa Corte di cassazione non si premura di darvi alcun seguito e, anzi, malgrado la rilevata presenza tra le clausole contrattuali di una pattuizione che abilitava la banca ad utilizzare le somme riscosse “a compensazione di ogni debito”, ribadisce il tradizionale orientamento fondato sul principio di cristallizzazione e sul limite alla compensazione nel concordato preventivo (Cass. 28 agosto 1995, n. 9030, cit.). Pochi anni più tardi, tuttavia, la Corte torna sui suoi passi, tentando di mascherare un vero e proprio revirement con il richiamo alla citata pronuncia del 1994 che, malgrado l’inadeguato assetto argomentativo e malgrado il ripensamento nel frattempo intervenuto, viene fittiziamente presentata come frutto di un orientamento “ormai radicato” nella giurisprudenza di legittimità. Con tre successive pronunce, tutte riferite a procedure di amministrazione controllata (Cass. 5 agosto 1997, n. 7194, in questa Rivista, 1998, n. 56; Cass. 7 marzo 1998, n. 2539, ivi, 1998, 1254; Cass. 23 marzo 2001, n. 4205, in Guida dir., 2001, n. 22, 63), la Corte di cassazione ritiene compensabile il precedente credito della banca derivante dall’anticipazione concessa al cliente con il corrispondente debito, pur sorto dopo l’instaurazione della procedura, avente ad oggetto la restituzione di quanto ricevuto in pagamento dal terzo: il principio di cristallizzazione viene superato proprio in virtù della clausola contrattuale che attribuisce alla banca il diritto d’incamerare le somme riscosse (c.d. patto di annotazione ed elisione nel conto delle partite di segno opposto) e della relazione qualificata che tale clausola introduce tra l’affidamento concesso al cliente e la pretesa creditoria da questi vantata nei confronti del terzo, sulla scorta del ragionamento per cui la prosecuzione dei contratti pendenti nella procedura minore “attiene al rapporto nella sua interezza e, dunque, si estende a tutte le clausole pattizie che lo regolano”. Lo stesso ragionamento non è stato, invece, ritenuto estensibile al fallimento, la cui dichiarazione comporta ai sensi dell’art. 78 l.fall. lo scioglimento del conto corrente bancario (Cass. 26 febbraio 1999, n. 1671, in questa Rivista, 2000, 362). Altra pronuncia di legittimità intervenuta nello stesso intorno di tempo è tornata a ribadire l’orientamento tradizionale anche con riferimento alla procedura di amministrazione controllata, ma in tal caso non si riscontrava alcun accenno a un pactum compensationis (Cass. 10 gennaio 2001, n. 280, in questa Rivista, 2001, 794). Desta sorpresa, pertanto, ritrovare la tesi contraria alla compensazione in una più recente sentenza riferita alla procedura di concordato preventivo (Cass. 7 maggio 2009, n. 10548, in questa Rivista, 2010, 117): in tal caso tra le pattuizioni contrattuali era, in effetti, presente una clausola che attribuiva alla banca, oltre al mandato all’incasso dei crediti oggetto di smobilizzo, anche la “facoltà di compensazione con gli scoperti di conto corrente del mandante”, ma la Corte di Cassazione non ha ritenuto di valorizzarla come aveva fatto con le precedenti pronunce portatrici dell’innovativo orientamento, che qui non viene neppure preso in considerazione. Il filo dell’evoluzione giurisprudenziale viene, infine, riannodato da due sentenze di legittimità del 2011. Con la prima di esse (Cass. 15 aprile 2011, n. 8752, in Giust. civ., 2012, I, 778), in tema di revocatoria fallimentare, viene statuito che in caso di smobilizzo di crediti con mandato all’incasso il correlato patto di annotazione ed elisione delle partite di segno opposto va a qualificare il pagamento del terzo non già quale atto solutorio (o ripristinatorio), bensì quale vero e proprio atto compensativo, come tale non revocabile: si tratta di una statuizione importante, non solo perché torna dopo alcuni anni a richiamare l’orientamento favorevole alla compensazione, ma anche perché fornisce una solida base per ritenere sicuramente applicabile alla fattispecie, pure al di fuori della procedura fallimentare, la disciplina sulla compensazione di cui all’art. 56 l.fall. La seconda sentenza (Cass. 1° settembre 2011, n. 17999, in questa Rivista, 2012, 739), l’ultima pronunciata in argomento dalla Corte di legittimità, oltre a dare continuità all’orientamento innovativo ancora una volta con riferimento alla procedura di amministrazione controllata, ha ritenuto congruamente motivato il provvedimento di merito che aveva desunto la conclusione di un pactum compensationis dalla semplice presenza della clausola “salvo buon fine” nel contratto di anticipazione crediti, valutata anche alla luce del comportamento successivo delle parti.

Infine, l’ultima e più recente pronuncia in argomento della Corte di legittimità (Cass. 19 febbraio 2016, n. 3336, inedita), ancora una volta con riferimento a una procedura di amministrazione controllata, riconferma che in presenza di apposita pattuizione contrattuale la banca ha diritto a compensare il debito per restituzione delle somme riscosse con il credito conseguente ad operazioni autoliquidanti, a nulla rilevando che il primo sia sorto anteriormente alla procedura concorsuale e il secondo, invece, in data posteriore.

(Segue) le residue incertezze della giurisprudenza di merito

Se la giurisprudenza di legittimità, pur dopo alcuni tentennamenti, pare ormai convintamente orientata nel senso della compensabilità dei crediti nelle procedure minori in deroga al principio di cristallizzazione, numerose corti di merito tentano di evitare tale esito in nome di un innato favor per la massa dei creditori, che dalla compensazione verrebbe pregiudicata. Non mancano, invero, pronunce che si sono adeguate pedissequamente all’innovativo orientamento della Corte di Cassazione (Trib. Livorno 19 maggio 2015, ord., in www.ilcaso.it; Trib. Reggio Emilia 18 dicembre 2014, ivi; Trib. Monza 27 novembre 2013, ord. ivi; Trib. Roma 21 aprile 2010, in questa Rivista, 2010, 1300; Trib. Treviso 25 ottobre 2000, in Dir. fall., 2001, II, 414; per certi versi anche Trib. Bergamo 21 novembre 2011, cit., che però non rinuncia a qualificare come atto solutorio anziché compensativo il pagamento del terzo, confermando nondimeno che il rapporto prosegue nella sua interezza pur dopo l’introduzione della procedura concordataria); e nello stesso senso si è orientato anche l’Arbitro Bancario Finanziario (ABF Napoli 17 ottobre 2014, n. 6873, in www.arbitrobancariofinanziario.it). Altre pronunce, invece, hanno espressamente ripudiato il nuovo corso della giurisprudenza di legittimità ritenendolo incompatibile con il principio di cristallizzazione (Trib. Verona 31 agosto 2015, cit.; Trib. Milano 28 maggio 2014, in www.ilcaso.it) o con la massima soddisfazione dei creditori concorsuali (Trib. Lucca 21 maggio 2013, cit.), o ancora evidenziando come le pronunce di Cassazione che l’hanno affermato riguardino unicamente la procedura di amministrazione controllata e non anche quella di concordato preventivo (nuovamente Trib. Verona 31 agosto 2015, cit., e ciò quantunque la sentenza “capostipite” del 1994 si riferisse a una procedura concordataria). Altre pronunce hanno radicalmente ignorato o del tutto frainteso il nuovo orientamento, ribadendo quello tradizionale fondato sul principio di cristallizzazione (Trib. Prato 23 settembre 2015, decr., in questa Rivista, 2016, 587; Trib. Reggio Emilia 11 marzo 2015, cit.; Trib. Ravenna 22 ottobre 2014, cit.; Trib. Terni 12 ottobre 2012, decr., in www.ilcaso.it; App. Milano 2 marzo 2001, cit.; Trib. Milano 1° giugno 2000, in questa Rivista, 2000, 1302). In altri numerosi casi, il richiamato favor per la massa dei creditori ha indotto i giudici di merito a concedere al debitore in concordato preventivo l’autorizzazione a sciogliere o a sospendere ai sensi dell’art. 169 bis l.fall. le linee di credito autoliquidanti relative a smobilizzi posti in essere prima dell’instaurazione della procedura, al dichiarato fine di precludere alla banca l’esecuzione del mandato all’incasso dei crediti non ancora scaduti e/o di prevenire l’esercizio della compensazione pattuita (App. Brescia 1° giugno 2016, decr., in www.fallimentiesocieta.it; Trib. Bolzano 5 aprile 2016, cit.; Trib. Rovigo 20 ottobre 2015, cit.; Trib. Venezia 20 gennaio 2015, decr., in questa Rivista, 2015, 557; Trib. Rovigo 7 ottobre 2014, decr., in www.ilcaso.it; Trib. Padova 7 gennaio 2014, cit.; Trib. Cuneo 14 novembre 2013, decr., in www.ilcaso.it; Trib. Milano 11 dicembre 2012, decr., ivi; Trib. Como 5 novembre 2012, decr., ivi): in tutti questi casi è data per presupposta o talora chiaramente riaffermata la prosecuzione integrale dei contratti bancari in corso di procedura, in conformità con il più recente orientamento di Cassazione, posto che in caso contrario non sarebbe stato evidentemente necessario sciogliere o sospendere i contratti in questione. Alcune corti di seconda istanza, tuttavia, hanno revocato le autorizzazioni concesse, non perché non condividessero tale orientamento – anzi riaffermato – quanto piuttosto perché la compensazione operata dalle banche è stata ritenuta del tutto conforme al sistema e pienamente legittima pur in caso di sopravvenuto scioglimento o sospensione della linea autoliquidante (App. Venezia 11 marzo 2015, cit.; App. Venezia 23 dicembre 2014, decr., in questa Rivista, 2015, 499; App. Venezia 26 novembre 2014, decr., in www.ilcaso.it; App. Brescia 19 giugno 2013, decr., ivi).

Conclusioni provvisorie ed indicazioni operative

Dall’analisi svolta si possono trarre alcune conclusioni – necessariamente provvisorie, date le perduranti oscillazioni della giurisprudenza di merito – con l’obiettivo di fornire all’operatore alcune indicazioni con cui orientarsi nelle prassi applicative. Qualora la domanda di concordato preventivo, anche se proposta ai sensi dell’art. 161, comma 6, l.fall., venga depositata dopo lo smobilizzo di crediti verso terzi non ancora scaduti, il primo accertamento da compiere attiene all’opponibilità dei contratti volti a canalizzare in favore della banca i successivi pagamenti: in caso di cessione dei crediti, l’opponibilità è condizionata alla notifica ai debitori ceduti o alla loro accettazione con atto di data certa anteriore alla domanda; in caso di mandato all’incasso, è invece sufficiente la data certa del mandato e, se contenuto in documento separato, occorre prestare attenzione anche a quella dell’eventuale pactum compensationis. La mancata soddisfazione dei requisiti di opponibilità della cessione dei crediti o del mandato all’incasso comporterebbe il difetto di legittimazione della banca ad incassare e/o a trattenere quanto pagato dai terzi e il credito derivante dallo smobilizzo dovrebbe essere trattato come concorsuale, destinato a soddisfazione in percentuale concordataria. Il secondo accertamento da compiere attiene alle modalità con cui la canalizzazione dei pagamenti dei terzi è stata pattuita. In caso di cessione dei crediti opponibile alla procedura, l’effetto traslativo si è ormai esaurito e la banca è sicuramente legittimata ad incassare e a trattenere quanto pagato dai terzi, a soddisfazione del proprio credito derivante dallo smobilizzo. In caso di mandato all’incasso, invece, il debitore potrebbe forse avvalersi della revoca per giusta causa ai sensi dell’art. 1723, comma 2, c.c., sostenendo che l’incasso dei crediti da parte della banca si porrebbe in contrasto con i fini della sopravvenuta procedura concorsuale: in favore di tale soluzione, come si è visto, militano alcune ormai datate pronunce di legittimità e di merito, che però sono state pressoché ignorate dalle recenti prassi applicative. Qualora il debitore in concordato non revochi il mandato all’incasso, occorre verificare se ad esso si accompagni o meno una clausola contrattuale che attribuisca alla banca il diritto d’incamerare le somme riscosse e di porle a compensazione del proprio credito derivante dallo smobilizzo (c.d. patto di annotazione ed elisione nel conto delle partite di segno opposto): in mancanza di siffatta pattuizione opponibile alla procedura, la banca è sicuramente tenuta a restituire al mandante i pagamenti riscossi dopo il deposito della domanda concordataria, ricadendosi – per le ragioni già viste – nel limite all’operatività della disciplina sulla compensazione di cui all’art. 56 l.fall. La più recente giurisprudenza di legittimità e la parte della giurisprudenza di merito che ad essa aderisce ritengono che, al contrario, la presenza ed opponibilità alla procedura di un pactum compensationis legittimino la banca a soddisfare su quanto incassato dai terzi il proprio credito derivante dal precedente smobilizzo. Occorre, tuttavia, tener presente che molte corti di merito disattendono espressamente o talora ignorano quest’orientamento, prediligendo quello tradizionalmente sfavorevole alla compensazione, sulla scorta di ragionamenti fondati sul principio di cristallizzazione o sulla massima soddisfazione dei creditori concorsuali. Soltanto ove si condivida l’innovativo orientamento favorevole alla compensazione ha senso porsi, in ultima istanza, il quesito se il contratto bancario autoliquidante possa essere sciolto o sospeso ai sensi dell’art. 169 bis l.fall., onde precludere alla banca l’esecuzione del mandato all’incasso dei crediti non ancora scaduti e/o prevenire l’esercizio della compensazione pattuita. Dopo la recente novella legislativa del 2015, che ha espressamente limitato l’ambito applicativo della norma ai “contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti alla data della presentazione del ricorso”, lo spazio per ottenere l’autorizzazione a sciogliere o a sospendere il mandato all’incasso e il correlato pactum compensationis si è sicuramente ridotto, almeno alla luce di quella giurisprudenza che ritiene tali pattuizioni meramente accessorie rispetto allo smobilizzo dei crediti con cui la banca già esaurirebbe la propria obbligazione principale (App. Venezia 11 marzo 2015, cit.; App. Venezia 23 dicembre 2014, cit.; App. Venezia 26 novembre 2014, cit.; contra App. Napoli 13 gennaio 2015, decr., in Dir. fall., 2015, II, 419; Trib. Milano 28 maggio 2014, cit.).

Postilla sul recente riferimento normativo alle linee di credito autoliquidanti

A livello normativo, l’espressione “linee di credito autoliquidanti” è stata per la prima volta utilizzata dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83 (convertito in L. 6 agosto 2015, n. 132), che ha modificato l’art. 182 quinquies l.fall. prevedendo che il debitore in concordato prenotativo possa essere autorizzato dal Tribunale al mantenimento delle linee in essere al momento del deposito della domanda: la norma si riferisce ai nuovi utilizzi e li equipara, sotto questo profilo, a nuovi finanziamenti che danno luogo a crediti prededucibili (Trib. Bolzano 5 aprile 2016, cit.). Essa non pare, perciò, suscettibile d’incidere sulla problematica relativa agli smobilizzi posti in essere prima dell’instaurazione della procedura, con riguardo ai crediti aventi scadenza successiva. L’intervento legislativo non pare, quindi, in grado di risolvere in un senso o nell’altro il segnalato contrasto che ancor oggi divide la giurisprudenza di merito; ma forse consentirà di fare definitiva chiarezza quantomeno sugli effetti che lo scioglimento o la mancata prosecuzione del contratto autoliquidante comporta con riguardo agli smobilizzi concessi in data anteriore. Occorrerà, in particolare, chiedersi se la mancata utilizzazione pro futuro, da parte del debitore in concordato, delle linee di credito autoliquidanti concesse in via continuativa dalla banca possa essere equiparata a un loro scioglimento di fatto ed incidere anche sugli smobilizzi anteriori alla domanda concordataria, con possibili riflessi sul mandato all’incasso dei crediti già anticipati (in tal senso, Trib. Verona 23 febbraio 2015, cit.).

(Articolo di Luca Andretto, tratto da Il Fallimento e le altre procedure concorsuali (n. 12/2016), Ipsoa. Per maggiori informazioni >>)

 

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