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L’art. 119, comma 7, C.C.I.I. stabilisce espressamente che il tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale solo a seguito della risoluzione del concordato, salvo che lo stato di insolvenza consegua a debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato preventivo; la norma introduce una condizione di proponibilità della domanda di apertura della liquidazione giudiziale. Il Tribunale di Avellino, con la sentenza del 20 febbraio 2024, ha affermato che l’art. 119, comma 7, C.C.I.I. si riferisce solo alle procedure di concordato la cui domanda di accesso sia stata proposta dopo il 15 luglio 2022; pertanto, solo con riferimento a queste ultime la risoluzione opera come condizione di proponibilità della domanda di apertura della liquidazione giudiziale.

Nel caso in esame il Tribunale di Avellino si è pronunciato in merito alla possibilità di dichiarare la liquidazione giudiziale di un’impresa ammessa al concordato preventivo poi omologato, ma senza risoluzione di quest’ultimo.

Una società aveva proposto domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, cui ha fatto seguito il decreto di omologa da parte del Tribunale. Durante l’esecuzione del concordato, i commissari giudiziali hanno segnalato al giudice delegato il grave inadempimento degli obblighi assunti dalla debitrice ed il suo stato di insolvenza; successivamente, la nota è stata trasmessa al P.M., il quale ha chiesto l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale della società.

La debitrice si è costituita in giudizio, eccependo, in via preliminare, l’improponibilità della domanda. Secondo il ragionamento della resistente, l’art. 119, comma 7, C.C.I.I. subordina l’apertura della liquidazione giudiziale allapreventiva richiesta di risoluzione del concordato preventivo, cosa che non era avvenuta nel caso di specie; in altre parole, la suddetta norma introduce una condizione di proponibilità della domanda di apertura della liquidazione giudiziale applicabile anche ai concordati preventivi omologati prima dell’entrata in vigore del C.C.I.I. Da ciò ne deriva l’impossibilità di ottenere una dichiarazione di insolvenza omisso medio.

Nel merito, la società ha chiesto il rigetto del ricorso, non essendo rilevante ai fini dell’insolvenza il mancato rispetto dei termini previsti dal piano concordatario.

Il tribunale, dopo aver esaminato l’eccezione formulata dalla società, ha verificato la sussistenza dello stato di insolvenza della debitrice e ha dichiarato aperta la procedura di liquidazione giudiziale.

La pronuncia del Tribunale campano consente di svolgere qualche breve riflessione circa la dichiarazione di liquidazione giudiziale omisso medio, ossia non preceduta dalla risoluzione del concordato preventivo.

In passato, la questione è stata affrontata ampiamente dalla giurisprudenza, la quale aveva assunto posizioni diverse. Secondo un orientamento, la dichiarazione di fallimento del debitore ammesso al concordato preventivo omologato era possibile anche in mancanza di previa risoluzione del concordato preventivo, nel caso in cui risultasse che l’accordo non aveva risolto la situazione di insolvenza, ovvero questa fosse sopraggiunta durante l’esecuzione del concordato (Trib. Napoli, 16 aprile 2016); ciò in quanto gli artt. 184 e 186legge fallim. non stabilivano espressamente il divieto di dichiarare, in assenza di risoluzione, il fallimento dell’imprenditore, nel caso in cui emergesse l’incapacità di pagare i debiti anteriori al concordato ovvero insorgesse una nuova insolvenza (Trib. Bari, 3 marzo 2017; Trib. Livorno, 26 luglio 2018; Trib. Bergamo. 24 giugno 2020; Trib. Catania, 11 febbraio 2021; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 21 luglio 2021). Di contrario avviso era altra parte della giurisprudenza, secondo la quale l’inadempimento della proposta concordataria precludeva la dichiarazione di fallimento che non fosse preceduta dalla risoluzione del concordato preventivo omologato (App. Firenze, sez. I, 16 maggio 2019, n. 1148; Trib. Ancona, sez. II, 20 giugno 2019; Trib. Pistoia, 20 dicembre 2017); di conseguenza, l’istanza di fallimento eventualmente avanzata era inammissibile (Trib. Arezzo, 27 aprile 2021).

La giurisprudenza di legittimità aveva accolto l’orientamento favorevole alla mancanza di necessità della preventiva risoluzione del concordato, sostenendo che non vi era alcun automatismo tra tale strumento e la dichiarazione di fallimento (Cass., Sezioni Unite, 7 dicembre 2022 n. 4696; Cass., sez. VI – 1, 17 luglio 2017, n. 17703); ciò che rilevava per avviare l’istruttoria prefallimentare è unicamente il mancato adempimento delle obbligazioni concordatarie (Cass., sez. VI – 1, 11 dicembre 2017, n. 29632).

La questione si è riproposta anche successivamente all’entrata in vigore del C.C.I.I., ove l’art. 119, comma 7, stabilisce espressamente che il tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale solo a seguito della risoluzione del concordato, salvo che lo stato di insolvenza consegua a debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato preventivo.

Sul punto, la tesi restrittiva ritiene che in presenza di un concordato omologato in vigenza della precedente disciplina, non è possibile aprire la liquidazione giudiziale senza la previa risoluzione dello stesso (Trib. Cosenza, 5 luglio 2023; Trib. Siena, 5 maggio 2023).

Al contrario, i fautori della tesi favorevole alla possibilità di dichiarare aperta la procedura di liquidazione giudiziale in assenza di risoluzione del concordato omologato sostengono che la disposizione di cui all’art. 119, comma 7, C.C.I.I., non è applicabile quando il concordato preventivo è già stato omologato (Trib. Siracusa, 30 gennaio 2024; Trib. Monza, 11 dicembre 2023; Trib. Prato, 17 gennaio 2023).

Nel caso in esame, il Tribunale di Avellino ha dato continuità al summenzionato orientamento, evidenziando che l’art. 119, comma 7, C.C.I.I. si riferisce solo alle procedure di concordato la cui domanda di accesso sia stata proposta dopo il 15 luglio 2022; pertanto, solo con riferimento a queste ultime la risoluzione opera come condizione di proponibilità della domanda di apertura della liquidazione giudiziale.

L’adesione a tale interpretazione comporta quale logica conseguenza che le conclusioni cui era pervenuta la giurisprudenza di legittimità con riferimento alla normativa previgente devono ritenersi applicabili anche alla liquidazione giudiziale.

Resta da vedere quale sarà l’interpretazione assunta in futuro dalla giurisprudenza di legittimità.

Riferimenti normativi:

Art. 119, comma 7, C.C.I.I.

Copyright © – Riproduzione riservata


 

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