In difetto di specifiche carenze nella dovuta diligenza e perizia del professionista, il dato di fatto del sopravvenuto fallimento della società, dichiarato a distanza di tre anni dall’omologa del concordato, non può assurgere, da sé solo, ad elemento decisivo dell’inesattezza della prestazione del professionista concernente il risanamento dell’impresa, non integrando la prestazione del professionista una obbligazione di risultato ma di mezzi. In questo modo si è espressa la Cassazione civile, con l’ordinanza n. 281/2023.
E. M. propose domanda di ammissione al passivo del Fallimento S. s.r.l., in prededuzione, per l’importo complessivo di € 50.000,00 per prestazioni professionali svolte in esecuzione di incarico ricevuto con atto di data certa del 4.4.2014, oggetto di successiva integrazione del 9.7.2014.
Il Giudice Delegato ammise il credito in prededuzione per il minor importo di € 14.092,98, oltre iva e cpa, considerato che la procedura di concordato non aveva avuto sviluppi positivi successivi all’omologazione e che la somma richiesta e pattuita di € 50.000,00 andava ridotta prendendo a riferimento le percentuali medie previste dall’art 27 del D.M. n. 140/2012.
Sull’opposizione proposta dal professionista, il Tribunale di Teramo ha accolto il ricorso proposto da Erminio Moscone ed ha ammesso il professionista al passivo del Fallimento S. s.r.l. per l’ulteriore somma di € 35.907,02 oltre oneri di fatturazione, in prededuzione.
I giudici dell’opposizione hanno rilevato:
a) che la lettera di incarico del 4/4/2014 e la successiva lettera integrativa del 25/7/2014 avevano data certa opponibile al fallimento;
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b) che le prestazioni dedotte nelle scritture di assistenza al concordato preventivo ammesso ed omologato erano state regolarmente eseguite ed esaurite con l’omologa del concordato preventivo ed il compenso non poteva essere ridotto per effetto del fallimento dichiarato tre anni dopo la conclusione della procedura concordataria.
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La Curatela del Fallimento ricorre per Cassazione affidandosi a due motivi.
La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha osservato che le prestazioni e le attività dedotte nelle scritture private (predisposizione degli atti necessari all’attuazione della procedura di risanamento, cura dei rapporti tra la società e i fornitori e le banche, assistenza nelle varie fasi della procedura di concordato) erano state regolarmente espletate, a nulla rilevando il successivo fallimento, intervenuto alcuni anni dopo il decreto di omologa.
Appare, quindi, evidente che l’impugnato decreto si è fatto carico di valutare l’incidenza del susseguente fallimento sulle prestazioni rese dal M., non reputando le cause dell’apertura della procedura concorsuale maggiore correlate ad inadempienze nell’esecuzione del mandato professionale ricevuto.
l giudici dell’opposizione non si sono neanche sottratti al compito di esaminare la validità della clausola dell’incarico professionale a forfait ritenuta dalla giurisprudenza (cfr. Cass. n. 7974/2018) nulla nella parte in cui prevede l’erogazione dell’intero corrispettivo a prescindere dal completamento dell’opera professionale, dal momento che l’intero corrispettivo di € 50.000 era venuto a maturare a seguito dell’effettivo compimento da parte del professionista dell’attività di predisposizione degli atti e di assistenza alla procedura che aveva consentito l’approdo all’omologazione del concordato.
D’altro canto, la curatela non ha neanche prospettato la sussistenza di specifiche carenze nella dovuta diligenza e perizia del professionista alle obbligazioni assunte, né l’organo della procedura ha allegato circostanziati elementi di inesattezza quantitativa della prestazione professionale di risanamento dell’impresa, contestabili mediante eccezioni di inadempimento, idonei a giustificare la riduzione del compenso pattuito.
Il dato di fatto del sopravvenuto fallimento, dichiarato a distanza di tre anni dall’omologa, non può assurgere, da sé solo ad elemento decisivo dell’inesattezza della prestazione del M., non integrando la prestazione del professionista una obbligazione di risultato ma di mezzi.
Ne discende l’applicazione della regola generale stabilita dall’art. 2233 c.c. per le prestazioni d’opera intellettuali, secondo cui il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, norma che prevede una gerarchia a carattere preferenziale dei criteri di liquidazione (Cass. 23 maggio 2000, n. 6732; Cass. 29 dicembre 2011, n. 29837), con l’ulteriore conseguenza che il ricorso ai criteri sussidiari (tariffe professionali, usi, decisione giudiziale) è precluso al giudice quando esista uno specifico accordo tra le parti, le cui pattuizioni risultano preminenti su ogni altro criterio di liquidazione (cfr. Cass. n. 14050/2021).
Esito:
Rigetto
Riferimenti normativi:
Art. 2233 c.c.
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