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Al termine della lunga Camera di consiglio della Corte Costituzionale, del 15 febbraio scorso, il neo Presidente della Consulta, Giuliano Amato, ha risposto alle domande dei giornalisti nella conferenza stampa in diretta streaming. In tema di Giustizia, ammessi cinque dei sei quesiti presentati. Bocciato il referendum sulla responsabilità civile diretta dei magistrati.

Quali saranno infine i quesiti referendari in tema di Giustizia sui quali gli Italiani potranno esprimersi? E cosa potrà cambiare con il sì?

Nella Conferenza stampa del 16 febbraio il Presidente Amato ha annunciato i quesiti ammessi al termine della Camera di Consiglio della Corte Costituzionale. Fra questi, cinque riguardano la Giustizia. Rilevante cambiamento potrebbe derivare dall’approvazione del quesito sul ruolo degli avvocati nei consigli giudiziari, così come da quello sull’annosa questione della separazione delle carriere dei magistrati.

Ma per raggiungere il quorum della metà degli elettori aventi diritto, più uno, ci vorrebbe una massiccia partecipazione alle urne, che si teme possa essere demotivata dalla estromissione dei tre quesiti più “popolari” su eutanasia, cannabis e responsabilità civile dei magistrati.

Consigli giudiziari

Via libera al referendum sulle funzioni da riconoscere ai consigli giudiziari nella loro composizione completa anche coi laici.

La questione è molto importante ed ha a che fare con il potere di valutare la professionalità e la competenza dei magistrati. Il CSM che esercita tale potere, lo fa sulla base delle valutazioni dei Consigli giudiziari, organismi territoriali composti in parte da magistrati e in parte da avvocati e professori universitari in materie giuridiche, che formano la c.d. componente laica.

Nell’attuale sistema normativo, la componente laica è esclusa dalla discussione e votazione delle decisioni del CSM che riguardano la competenza dei magistrati. Il referendum abrogativo consentirebbe, in caso di vincita del sì, di ammettere alla discussione e al voto anche i membri laici.

Sul tema, riferisce il Presidente della Consulta, il Governo ha preparato un maxiemendamento che otterrebbe però soltanto la partecipazione alla discussione dei membri laici, ma senza  diritto di voto.

“Correnti” nella Magistratura

Promosso anche il quesito che mira a scardinare il sistema delle c.d. “correnti” nella magistratura. La norma colpita dal quesito (art. 25 comma 3 L. 195/1958) è quella che richiede ad un magistrato che intenda candidarsi nell’organo di controllo della magistratura (CSM), di procurarsi dalle 25 alle 50 firme per presentare la propria candidatura.

Questo meccanismo, ritenuto dai presentatori del referendum, come responsabile della forte influenza esercitata dalle correnti nelle decisioni del CSM, sarebbe eliminato, consentendo a tutti i magistrati in servizio di candidarsi all’organo di controllo e rimettendo alle votazioni la scelta del magistrato, e rimettendo al centro le qualità personali e professionali del candidato.

Separazione delle “funzioni” dei magistrati

Ammesso anche il referendum sulla separazione delle funzioni dei magistrati. Non è corretto, spiega il Presidente Amato, parlare di separazione delle carriere, perchè “la carriera secondo questo referendum non viene toccata, rimane unica”, ma il passaggio dall’una all’altra funzione si ridurrebbe nel tempo.

Quando si parla di carriera, ci si riferisce propriamente al come si entra, come sono regolati gli avanzamenti, qual è l’organo che decide su avanzamenti e spostamenti; tutto questo rimane comunque comune, e la carriera è la stessa in realtà”. Non è detto poi che in alcuni limitati casi ci possa essere il cambio di funzioni per inderogabili esigenze di sostituzione.

Sospensione, incandidabilità e ineleggibilità di politici condannati

Il quesito referendario per l’abrogazione della Legge Severino (D.lgs. n. 235/2012), si propone di eliminare l’automatica incandidabilità, ineleggibilità e decadenza di parlamentari, membri del governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali, in caso di condanna penale.  A cadere anche l’art. 11 che impone la sospensione degli amministratori locali condannati anche in via non definitiva.

Le ragioni dei promotori del referendum, risiedono nel fatto che spesso la sospensione del politico colpito da una condanna non definitiva, si rivela eccessivamente afflittiva in caso di successiva assoluzione dell’imputato. Abrogando la norma, verrebbe sradicato l’automatismo previsto dalla legge, rimettendo ai magistrati il potere di valutare caso per caso, quando e se applicare ai politici l’interdizione dai pubblici uffici.

Sul quesito saranno chiamati a pronunciarsi i cittadini, e in caso di vittoria dei sì, sarà cancellata la legge che ha introdotto il meccanismo di esclusione per legge dai ruoli politici dei condannati, restituendo al giudice pieni poteri di valutazione discrezionale.

Abrogazione della custodia cautelare in determinati casi

Ha passato il vaglio della Consulta anche il quesito referendario che introduce limiti alla custodia cautelare in carcere, e mira all’abrogazione dell’art. 274 comma 1 lett. c) del codice di procedura penale con riferimento alla parte in cui consente di portare in carcere una persona sotto processo, se vi è il rischio che possa commettere un reato della stessa specie di quello per cui si procede. L’obiettivo dei promotori del referendum è evitare che la carcerazione preventiva possa colpire persone che poi risultino innocenti.

Responsabilità dei magistrati

Inammissibile invece il referendum sulla responsabilità diretta dei magistrati. Spiega il Presidente della Corte, che essendo sempre stata la regola per i magistrati quella della responsabilità indiretta, (si cita lo Stato che poi esercita la propria rivalsa su magistrati), l’introduzione della responsabilità diretta renderebbe il referendum più che abrogativo, “innovativo”.

L’effetto finale sarebbe quello di introdurre una regola che prima non c’era ( e non di abrogare una norma per farne espandere una preesistente).

Per i magistrati, a differenza che per altri funzionari pubblici, la regola infatti è sempre stata quella della loro responsabilità indiretta. Sul punto dunque, come per l’eutanasia, gli italiani non hanno altra strada che auspicare un intervento del legislatore.

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