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Il principio d’immutabilità del giudice impone che il giudice che provvede alla deliberazione della sentenza sia non solo lo stesso giudice davanti al quale la prova è assunta, ma anche quello che ha disposto l’ammissione della prova, fermo restando che i provvedimenti sull’ammissione della prova emessi dal giudice diversamente composto devono intendersi confermati, se non espressamente modificati o revocati; l’avvenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere sia prove nuove sia la rinnovazione di quelle assunte dal giudice diversamente composto, in quest’ultimo caso indicando specificamente le ragioni che impongano tale rinnovazione, ferma restando la valutazione del giudice anche sulla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa; il consenso delle parti alla lettura degli atti assunti dal collegio in diversa composizione, a seguito della rinnovazione del dibattimento, non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non chiesta, non ammessa o non più possibile.

Questi i principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione con la sentenza 10 ottobre 2019, n. 41736 (testo in calce) in materia di rinnovazione delle prove dichiarative in conseguenza del mutamento del Giudice che di fatto liquida il principio di immediatezza della decisione e quello ad esso funzionale di immutabilità del Giudice attraverso un’interpretazione sostanzialmente abrogatrice del secondo comma dell’art. 525 c.p.p.

Sommario

Il fatto

Nel caso sottoposto all’esame delle Sezioni Unite l’imputato era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia, per i reati ascrittigli, con sentenza che la Corte d’appello aveva annullato per violazione  dell’art. 525 c.p.p., comma 2,  in quanto, nel corso del giudizio di primo grado, le prove richieste dalle parti erano state ammesse dal Tribunale in una composizione collegiale diversa rispetto a quella che aveva successivamente assunto le predette prove e pronunciato la sentenza.

Contro la decisione aveva proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte d’appello deducendo, con un unico motivo, l’erronea applicazione dell’art. 525 c.p.p., comma 2 in quanto  dinanzi al collegio nella composizione successivamente mutata non avevano avuto luogo attività istruttorie e la difesa dell’imputato nulla aveva opposto alla rinnovazione, implicitamente consentendovi. Il ricorso è stato assegnato alla Sesta Sezione penale, che ne ha disposto la rimessione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618 c.p.p., comma 1, rilevando l’esistenza di contrasti interpretativi in ordine alla portata del principio d’immutabilità di cui all’art. 525 c.p.p., comma 2, sotto due profili:

  • quanto all’applicabilità del principio soltanto all’assunzione delle prove dichiarative oppure anche alla formulazione delle richieste delle prove e/o all’adozione della relativa ordinanza di ammissione”;
  • quanto alle modalità con le quali deve essere prestato il consenso alla lettura dei verbali delle prove dichiarative assunte dal giudicante in diversa composizione, in particolare, se limitandosi ad accertare che le parti non si siano opposte alla lettura delle dichiarazioni raccolte nel precedente dibattimento, oppure verificando la presenza di ulteriori circostanze processuali che rendano univoco il comportamento omissivo degli interessati”.

I termini del contrasto giurisprudenziale

L’esegesi dell’art. 525 c.p.p. ha visto insorgere contrasti giurisprudenziali su due questioni:

  • se sia, o meno, rilevante, ai fini del rispetto del principio d’immutabilità del giudice, la diversità di composizione tra il giudice che si è limitato a disporre l’ammissione della prova dichiarativa e quello dinanzi al quale è avvenuta la sua assunzione;
  • entro quali limiti, in caso di mutamento della composizione del giudice, possa ritenersi rilevante il consenso alla lettura delle dichiarazioni rese prima del predetto mutamento, ed in presenza di quali presupposti detto consenso possa ritenersi effettivamente prestato.

Sulla prima questione, all’orientamento che ritiene non violato il principio di immutabilità nel caso in cui il giudice che ha disposto l’acquisizione della prova sia composto diversamente rispetto a quello che ha proceduto all’assunzione della prova ed alla deliberazione finale si è contrapposto l’orientamento che afferma che il giudice il quale decide sulla richiesta delle prove, ammettendole o negandone l’ammissione, deve essere lo stesso che delibera la sentenza.

In ordine alla seconda questione, un orientamento, certamente prevalente, ritiene che il mero silenzio delle parti, che non abbiano espressamente richiesto di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale o formulato opposizione alla lettura ex art. 511 c.p.p. dei verbali di dichiarazioni rese dinanzi al giudice diversamente composto, possa essere interpretato come consenso implicito alla rinnovazione del dibattimento per sopravvenuto mutamento della composizione del giudice senza ripetere le attività in precedenza svolte ed alla lettura degli atti suddetti. Un orientamento minoritario ritiene che il silenzio delle parti possa essere interpretato come significativo della prestazione del consenso alla mancata ripetizione delle attività già svolte dinanzi a giudice diversamente composto soltanto quando risulti con chiarezza l’intervenuta rinnovazione del dibattimento, e siano comunque acquisite circostanze ulteriori che consentano di qualificarlo come univocamente espressivo della volontà di acconsentire all’utilizzo delle prove precedentemente assunte.

Manuale di diritto processuale penale


La sentenza

Nel corpo dell’articolata sentenza, le Sezioni Unite hanno espresso una serie di argomentazioni che di fatto hanno stravolto il dato normativo neutralizzando la sanzione posta dall’art. 525 c.p.p. a tutela dell’immutabilità del giudice e dell’immediatezza del processo.

In particolare, hanno, preliminarmente affermato che la garanzia dell’immutabilità del giudice attribuisce alle parti (che abbiano ab origine tempestivamente depositato la lista nei termini dell’art. 468 c.p.p.) il diritto di poter nuovamente esercitare, a seguito del mutamento della composizione del giudice, la facoltà di presentare nuove richieste di prova, che andranno valutate dal nuovo giudice;  e che la parte la quale non abbia esercitato tale facoltà non ha diritto all’ammissione, ma può soltanto sollecitare il giudice, all’esito dell’istruzione dibattimentale, a disporre la nuova assunzione delle prove già precedentemente assunte dal collegio diversamente composto ai sensi dell’art. 507 c.p.p., sempre che ricorrano le condizioni di assoluta necessità ai fini dell’accertamento della verità richieste da quest’ultima disposizione.

Ciò che sorprende della sentenza in esame è la risposta che la Corte dà al quesito se la richiesta di ripetizione dell’esame, già in precedenza assunto dinanzi a giudice diversamente composto, debba essere necessariamente accolta dal giudice nella composizione sopravvenuta, o possa essere rigettata.

Sorprende perchè di fatto la Cassazione interpreta abrogativamente la norma nella misura in cui inserisce una vaglio discrezionale del giudice rispetto alla reiterazione della prova prevista fisiologicamente dalla norma a garanzia dell’immediatezza e a pena di nullità assoluta.

Ed invero la Corte afferma che il giudice sarebbe titolare di un potere-dovere di valutare, ai sensi dell’art. 495 c.p.p., comma 1, e art. 190 c.p.p., comma 1, l’eventuale manifesta superfluità della reiterazione degli esami in precedenza svolti dinanzi al giudice diversamente composto, e conseguentemente non ammetterli; salva la lora utilizzabilità previa lettura dei relativi verbali, ai sensi dell’art. 511 c.p.p.: testualmente “Il nuovo esame del dichiarante già esaminato dal giudice diversamente composto potrà, ad esempio, rivelarsi non manifestamente superfluo nel caso in cui le parti si siano avvalse del potere, legittimamente esercitabile, di indicare circostanze (in precedenza riferite in modo insoddisfacente perché incompleto, od anche nuove, purché rilevanti ai fini della decisione) in ordine alle quali esaminare nuovamente il dichiarante, o abbiano allegato elementi dai quali desumere la sua inattendibilità (anche se limitatamente ad alcuni punti della deposizione resa), e la conseguente necessità che egli venga nuovamente esaminato. Il nuovo giudice – anche prescindendo dall’interesse delle parti – potrà, inoltre, ritenere necessario attivare i poteri di cui all’art. 506 c.p.p. (che attribuisce al giudice la mera facoltà, e non l’obbligo, di rivolgere domande al teste), in precedenza non attivati”.

Diversamente, il nuovo giudice, secondo la Corte, potrà non ammettere, per manifesta superfluità:

  • la richiesta di pedissequa reiterazione dell’esame già svolto dinanzi al diverso giudice, che debba vertere sulle stesse circostanze già oggetto del precedente esame;
  • la richiesta di reiterazione dell’esame di un verbalizzante che nel corso del precedente esame abbia dimostrato di non ricordare i fatti.

Tale interpretazione è criticabile in quanto l’audizione del testimone davanti al diverso giudice non può essere considerata una pedissequa reiterazione di quanto già in precedenza dichiarato nella misura in cui anche i connotati espressivi nell’happening processuale hanno una loro rilevanza nella formazione del convincimento del giudice rispetto all’acquisizione della prova: ed invero, proprio la Consulta che la Corte cita a suffragio, sottolinea come “l’immediatezza risulta funzionale rispetto ai suoi obiettivi essenziali: e cioè, da un lato, quello di consentire la diretta percezione, da parte del giudice deliberante, della prova stessa nel momento della sua formazione, così da poterne cogliere tutti i connotati espressivi, anche quelli di carattere non verbale, particolarmente prodotti dal metodo dialettico dell’esame e del controesame; connotati che possono rivelarsi utili nel giudizio di attendibilità del risultato probatorio”. Senonochè, secondo la Corte  le parti non possono chiedere la rinnovazione delle prove dichiarative già assunte, solo ed esclusivamente perché è mutato il Giudice; e ciò nonostante il legislatore abbia previsto per la violazione del principio di immediatezza la nullità insanabile della sentenza.

Tale interpretazione secondo la Corte non sarebbe ostacolata dall’art 511 c.p.p. poiché tale norma  afferma, che “La lettura dei verbali di dichiarazioni è disposta solo dopo l’esame della parte che le ha rese  a meno che l’esame non abbia luogo”. Per le Sezioni Unite tale locuzione ricomprende non solo il mancato svolgimento dell’esame per scelta delle parti o per impossibilità di effettuarlo, ma anche in conseguenza del rigetto delle istanze di rinnovazione da parte del Giudice sopravvenuto, in esercizio dei poteri valutativi previsti dall’art. 190 c.p.p. e quindi per superfluità dell’incombente richiesto.

Ne consegue che i verbali di dichiarazioni rese dai testimoni in dibattimento dinanzi a giudice in composizione successivamente mutata, che permangono nel fascicolo del dibattimento a seguito del mutamento della composizione del giudice, possono essere utilizzati ai fini della decisione previa lettura ex art. 511 c.p.p., in due casi: dopo il nuovo esame della persona che le ha rese, se chiesto, ammesso ed ancora possibile, ai sensi dell’art. 511, comma 2; anche senza la previa rinnovazione dell’esame, ove questo non abbia luogo perché non chiesto, non ammesso o non più possibile.

Quanto alla possibile rilevanza del consenso delle parti alla lettura ex art. 511 c.p.p., comma 2, degli atti assunti dal collegio in diversa composizione, la Corte ha precisato che esso non è necessario, quando la ripetizione dell’esame non abbia avuto luogo in difetto della richiesta di rinnovazione della parte che ne aveva domandato l’ammissione, oppure perché la ripetizione non sia stata ammessa o non sia più possibile .

Sulla scorta di tali argomentazioni la Corte, ha escluso che vi fosse stata nel giudizio di merito violazione dell’art. 525 e ha disposto annullamento con rinvio per un nuovo esame alla Corte d’appello di Brecia enunciando i principi di diritto esposti in premessa.

Com’è stato efficacemente osservato dalla Giunta delle Camere Penali, le Sezioni Unite hanno coniato con tale pronuncia un singolare criterio circolare in virtù del quale il giudice può sottrarsi alla riaudizione del dichiarante già sentito affermandone la superfluità in ragione della presenza delle dichiarazioni nel fascicolo del dibattimento: “un vero e proprio cortocircuito interpretativo” in quanto “ad omettere volontariamente l’esame, determinando la lettura delle precedenti dichiarazioni, è proprio il Giudice obbligato dal legislatore a provvedervi”.

CASSAZIONE PENALE, SENTENZA N. 41736/2019 >> SCARICA IL TESTO PDF

 

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