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Quando si si parla di condono edilizio, sull’isola di Graziella c’è qualche sussulto di gioia. Ma non di pochi ma di tanti. Il perché è noto da sempre e anche riuscire a sanare piccoli abusi può essere una vittoria.

Dobbiamo sgombrare il campo però da false speranze. Le case iscritte nelle RESA, le case costruite in questi anni, le volumetrie importanti non vedranno mai sostanzialmente una formula condonale che li salvi e che li renda a tutti gli effetti senza nessuna “macchia”.

Dalla mera questione di natura formale alle discrepanze più gravi, l’ipotesi in studio mira a rendere regolari migliaia di piccoli interventi.

Le difformità di tipo formale, come l’incongruenza tra il progetto e la sua effettiva realizzazione sul campo, le difformità interne come le modifiche accumulatesi nel corso degli anni, ad esempio con la creazione o la rimozione di tramezzi e aperture di porte, nonché le difformità più rilevanti, che a causa delle rigide verifiche richieste dal regime della doppia conformità risultano impossibili da regolarizzare per molteplici interventi.

L’idea di una sanatoria edilizia, considerata dal Ministero delle Infrastrutture guidato da Matteo Salvini, muove proprio su questi tre livelli crescenti di irregolarità e potrebbe essere integrata in un decreto legge nelle prossime settimane, anche se i tempi precisi per la presentazione del testo sono ancora incerti. In attesa di una riforma più strutturale del Testo Unico dell’edilizia.

L’obiettivo principale è consentire la legalizzazione di lavori che nel corso degli anni sono diventati consolidati ma attualmente ostacolano il traffico e la ristrutturazione degli immobili, intasando allo stesso tempo gli uffici comunali. Tuttavia, va precisato che non si tratta di immobili totalmente abusivi, ma piuttosto di elementi specifici come muri, soppalchi, finestre, nicchie, cornicioni, porte e balconi oltre a tutti quegli interventi minori che spesso costituiscono delle variazioni rispetto alle autorizzazioni originali.

Il primo livello riguarda i problemi di natura formale ed è il più semplice. “Tipicamente si riferisce ad errori nella rappresentazione del progetto che sono stati corretti durante l’esecuzione in cantiere”, spiega Fabrizio Pistolesi, architetto e relatore della proposta di revisione del Testo Unico dell’edilizia in discussione. Queste correzioni creano un divario tra il progetto autorizzato, le mappe catastali e la realtà degli immobili. Prima del 1977 (anno dell’approvazione della legge Bucalossi), non era possibile apportare modifiche durante le fasi di realizzazione dei lavori, pertanto queste variazioni, anche se considerate “leggere” o non essenziali, non venivano corrette e oggi costituiscono delle difformità. Per esempio, una finestra presente nel progetto ma non realizzata o un cornicione che avrebbe dovuto essere lungo 30 centimetri ma invece misura mezzo metro.

Il secondo livello riguarda le difformità interne al di là delle semplici questioni formali. Vi sono diversi esempi pratici. “Prima del 1977, quando si progettava un edificio non era necessario fornire le planimetrie complete; bastava presentare il ‘piano tipo’. Durante la fase di realizzazione degli immobili si apportavano quindi alcune modifiche: si aggiungeva un bagno in più, si spostava un tramezzo o si divideva una stanza. Oggi queste modifiche costituiscono delle difformità”, spiega ancora Pistolesi. A ciò si aggiunge anche il caso frequente delle modifiche interne apportate nel corso degli anni (che magari non sempre sono state dichiarate) e che hanno determinato l’accumulo di elementi difficili da giustificare alla luce delle normative attuali. Anche questi tipi di interventi potrebbero essere regolarizzati.

Infine, vi è il terzo livello: quello delle difformità che potevano essere regolarizzate al momento dell’intervento ma che ora non possono più esserlo a causa del meccanismo della doppia conformità. Secondo il Testo Unico dell’edilizia attuale, solo gli elementi conformi alle norme vigenti al momento dell’intervento e al momento della richiesta di sanatoria possono essere regolarizzati.

L’obiettivo del decreto Salvini è eliminare questa doppia condizione pur mantenendo una regolarità urbanistica: pertanto non sarà possibile regolarizzare gli immobili costruiti in aree vietate dalla normativa urbanistica vigente. “Ad esempio – precisa ancora Pistolesi – le norme attuali consentono la costruzione di una zona tecnica per gli impianti all’interno di un cortile con determinate caratteristiche. Tuttavia se quell’elemento è stato realizzato anni fa senza titolo abilitativo, esso costituirà un abuso soggetto all’intervento normativo”.

Oltre alla rimozione della doppia conformità, l’altra chiave principale della proposta riguarda le tolleranze costruttive ossia quella margine d’errore rispetto a quanto dichiarato che le norme attualmente prevedono. Attualmente tale margine è fissato al 2% ma potrebbe essere aumentato in modo differenziato a seconda degli immobili.



 

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