Due presidenti, tre membri del comitato crediti tra cui il vice presidente, il responsabile della direzione territoriale, un componente del collegio sindacale, oltre ad un avvocato e all’amministratore unico e un componente del cda di una azienda che avrebbe ottenuto uno dei finanziamenti contestati. Sono queste le figure che, con Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato ed ex direttore generale, sono state indagate dalla Procura di Treviso nel cosiddetto filone delle «bancarotte» di Veneto Banca, il terzo troncone d’inchiesta dopo quello che ha portato alla condanna (in due gradi di giudizio) di Consoli per ostacolo alla vigilanza e quello delle truffe perpetrate ai danni degli azioni dell’istituto di credito, arrivato alla vigilia di un processo (l’udienza ci sarà il prossimo 9 novembre) nato già morto in quanto tutti i reati sono già prescritti.
L’ipotesi di reato
L’ipotesi dei pubblici ministeri Massimo De Bortoli e Gabriella Cama è quella della bancarotta fraudolenta per distrazione e dissipazione: 320 milioni di euro che sarebbe stati di fatto «sottratti» dalla massa a disposizione dei creditori della banca attraverso erogazioni di prestiti, mutui e fidi dati a società che però non avrebbero avuto i requisiti per accedere alle linee di credito, date sulla base di garanzie inesistenti o ampiamente sopravalutate.
Gli indagati
Nelle carte di chiusura delle indagini risultano ci sono i nomi di Mosè Fagiani, condirettore e responsabile commerciale (fino al 2014), degli ex presidenti Flavio Trinca e Francesco Favotto, il secondo succeduto al primo nell’assemblea 2014 e rimasto in carica fino all’ottobre 2015, del vice presidente del comitato crediti Romeo Feltrin, di Daniele Scavaortz e Roberto Mascalchin, che facevano parte dello stesso comitato, di Michele Barbisan, responsabile della direzione territoriale. Compaiono anche l’avvocato Pierluigi Ronzani – molto noto a Conegliano dov’è titolare di un grosso studio – esperto in diritto commerciale, fallimentare, societario e sportivo, ed ex senatore della Lega cui sarebbe stata pagata una ricca parcella per un lavoro inutile, Michele Stiz, componente del collegio sindacale che avrebbe anche «perorato» la causa di alcune società da lui seguite per aperture di linee di credito, Mauro Angeli, amministratore unico della Vimet, colosso dell’industria orafa vicentina finita in un crac nel 2017 e debitrice «illustre» di Veneto Banca e Attilio Carlesso, componente del consiglio di amministrazione della stessa società.
Attesa per la Cassazione
Sono 30 le situazioni che la Procura di Treviso ha preso in considerazione, concessioni di credito che anche risalenti al 2006 (in parte posizioni provenienti da altri istituti di credito) che i dirigenti della ex popolare, in osservanza alle istruzioni date da Consoli, avrebbero erogato senza una attenta valutazione della capacità di restituzione. Così, nel giugno 2018, data della dichiarazione d’insolvenza di Veneto Banca, i liquidatori si sarebbero trovati con una montagna di denaro praticamente impossibile da recuperare. In alcuni casi le perdite sarebbero arrivate a circa il 45% dei soldi prestati. Tutto rimane, almeno formalmente, condizionato alla decisione della Corte di Cassazione che deve esprimersi sulla dichiarazione di insolvenza, confermata in due gradi di giudizio. La decisione, che nel Palazzo di Giustizia trevigiano confidano non possa che confermare la sentenza, si conoscerà entro l’inizio del prossimo anno. «È un capo di imputazione che mi deve esser spiegato – commenta Emenegildo Costabile, difensore di Vicenzo Consoli – si parla di distrazione e dissipazione ma non un solo euro è finito nelle tasche del mio assistito come di nessun altro dirigente di Veneto Banca».
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