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Financial crisis. Sinking business amid the financial crisis. The collapse of the budget. Company bankruptcy. Obligations to the bank. Vector illustration.

Quando un’impresa può essere definita “insolvente” ? E quali criteri devono essere soddisfatti per poterla dichiarare “fallita” e iniziare quindi la relativa procedura?

Che intraprendere un’attività economica comporti dei rischi non è un segreto. Può capitare che gli affari non procedano bene e che, nel tempo, il volume delle passività superi quello delle attività. Quando succede questo e l’imprenditore non riesce a risolvere una situazione di dissesto, magari per incapacità, per condizioni di mercato sfavorevoli e chi più ne ha più ne metta, è possibile definire l’impresa “insolvente” e chiedere al giudice di dichiararla fallita. Ma a tal fine, è necessario che vengano rispettate delle determinate condizioni richieste dalla legge. In altre parole:

che cos’è l’insolvenza? E quali sono i presupposti del fallimento? Cerchiamo di scoprirlo insieme, ma prima è opportuno accennare alla nuova legge entrata recentemente in vigore e alla nuova terminologia da utilizzare.

La nuova procedura di liquidazione giudiziale

Il sistema delle procedure concorsuali è stato regolato dalla Legge Fallimentare per ben 80 anni. A partire dal 15 luglio 2022, dopo diversi rinvii e modifiche (dovuti soprattutto alla pandemia da Covid-19), è entrato in vigore il Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, o Codice della Crisi dell’Impresa e dell’Insolvenza (CCI), che ha introdotto moltissime novità importanti, tra cui la sostituzione della parola “fallimento”, che si presentava molto afflittiva e umiliante, con l’espressione “liquidazione giudiziale“.

L’obiettivo principale della riforma è di introdurre dei meccanismi volti a far emergere la situazione di

crisi dell’impresa quando questa è ancora in una fase iniziale e superabile, giocando quindi d’anticipo, in modo da intervenire tempestivamente per trovare una soluzione. A questo scopo, è stato introdotto il concetto di “crisi“, che è diverso dall’insolvenza. Essa si ha quando l’impresa non riesce a pagare i debiti entro 12 mesi dal momento in cui sono sorti. Quindi, la crisi si presenta come una situazione che precede l’insolvenza.

In ogni caso, i presupposti per la liquidazione giudiziale richiesti dal Codice della Crisi dell’Impresa e dell’Insolvenza sono gli stessi che venivano chiesti dalla Legge Fallimentare del 1942. Tuttavia, per le domande di dichiarazione di fallimento che sono state presentate prima del 15 luglio 2022, si applicherà ancora la procedura fallimentare, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Questo vuol dire che le norme sul fallimento continueranno ad essere applicate ancora a lungo e che questa procedura continuerà ad avere grande importanza.

Leggi anche Quando un’impresa entra in stato di crisi?

Cos’è il fallimento?

Il fallimento è una procedura concorsuale di carattere giudiziario disciplinata dal Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, o Legge Fallimentare. Questa procedura viene attivata al verificarsi di determinati presupposti, e mira alla liquidazione del patrimonio dell’imprenditore insolvente e a ripartirne la somma ricavata tra i vari creditori. Si parte con una fase istruttoria, volta ad accertare la presenza di tutti i presupposti previsti dalla legge.

Qualora tale accertamento abbia avuto esito positivo, il tribunale dichiara fallito l’imprenditore e si apre la procedura fallimentare vera e propria, che inizia con la gestione del patrimonio del debitore. Attraverso tale passaggio, la gestione dell’impresa fallita viene tolta all’imprenditore e assegnata ad un soggetto qualificato, il cosiddetto “curatore fallimentare”, normalmente un avvocato, un dottore commercialista o un ragioniere. Questi deve redigere un accurato inventario dell’impresa e provvedere alla sua amministrazione ordinaria e alla sua conservazione, mentre per le operazioni straordinarie deve chiedere l’autorizzazione del giudice.

Nella seconda fase, che consiste nell’accertamento dello stato passivo, il curatore deve individuare tutti i creditori dell’impresa, il loro ammontare, la loro natura e la presenza di eventuali situazioni che possano mettere certi creditori in una posizione preferenziale rispetto ad altri (ad esempio, se un determinato credito è garantito da un pegno o da un ipoteca). In seguito, il curatore deve predisporre un elenco di tali crediti, da presentare al giudice in un’apposita udienza, che ha lo scopo di accertare tutti i crediti da soddisfare con la procedura fallimentare.

Durante la terza e ultima fase, quella della liquidazione e distribuzione dell’attivo, i beni dell’impresa, costituenti l’attivo aziendale, vengono venduti affinché vengano trasformati in denaro liquido. Il denaro così ricavato viene poi ripartito per soddisfare i vari crediti e le spese, dando prima la precedenza alle spese sostenute per avviare e proseguire la procedura, poi i creditori privilegiati (cioè quelli titolari di un credito garantito da un pegno o un’ipoteca, ma anche i crediti che derivavano dai rapporti di lavoro dipendente e i Trattamenti di fine rapporto) e infine, se rimane qualcosa, i

creditori chirografari.

Una volta conclusi tutti questi passaggi, il tribunale dichiara la chiusura del fallimento. Si tratta di una procedura particolarmente lunga e complessa, che può durare anche diversi anni. Nonostante l’entrata in vigore della nuova legge, ancora oggi si continua a parlare genericamente di fallimento, sia perché questa procedura continua ad essere quella dominante dal punto di vista applicativo, sia per sottolineare che l’apertura di questa procedura è la conseguenza del fatto che l’impresa è divenuta insolvente.

Cos’è l’insolvenza?

Come già anticipato, il fallimento di un’impresa viene dichiarato dal tribunale, su richiesta dello stesso debitore, o di un creditore, o del pubblico ministero, qualora venisse accertata la sussistenza di determinati presupposti. Uno di questi è l’insolvenza.

L’insolvenza può essere definita come l’incapacità di pagare in maniera regolare i propri debiti. Essa rappresenta quindi una situazione negativa dell’imprenditore e del suo patrimonio, a causa della quale non riesce a soddisfare le obbligazioni che ha assunto per l’esercizio dell’impresa, oppure vi riesce, ma con estrema difficoltà. Quindi, l’insolvenza viene accertata o per mezzo di inadempimenti, o al compimento di uno o più fatti esteriori. Fatti esteriori che possono indicare una situazione di insolvenza del debitore possono essere, ad esempio, la

fuga o la latitanza dell’imprenditore per evitare di essere trovato, il pagamento con mezzi “anormali” (come la richiesta di prestiti usurari, o la vendita di beni personali per procurarsi le risorse necessarie), la chiusura dei locali dell’impresa, o il trafugamento dell’attivo, allo scopo di evitare che determinati beni venissero sottoposti ad azioni esecutive individuali. Di solito, tali condotte finivano con l’aggravare la situazione anziché risolverla, e l’imprenditore poteva andare incontro anche a conseguenze di carattere penale.

Ovviamente, uno o più inadempimenti possono essere sintomo di insolvenza, ad esempio quando l’imprenditore non riesce a pagare le rate del mutuo che ha eventualmente aperto per acquistare un macchinario, oppure i canoni di locazione dei locali dell’impresa, o ancora quando non riesce a pagare i suoi fornitori.

Se invece l’imprenditore non paga un debito per dimenticanza, per negligenza o perché ritiene di non doverlo pagare (ad esempio perché la ritiene già soddisfatta, o la ritiene inesistente o caduta in prescrizione), l’

inadempimento non è indice di insolvenza.

Quali sono gli altri presupposti del fallimento?

Naturalmente, la sola insolvenza (presupposto oggettivo) non basta per poter dichiarare il fallimento, ma è necessario che il soggetto insolvente sia un imprenditore commerciale (presupposto soggettivo). Quindi, il singolo soggetto privato che si trova in difficoltà economiche, ma che non è imprenditore commerciale, non può essere dichiarato fallito.

Sono imprenditori commerciali coloro che svolgono attività di natura industriale per produrre beni o servizi, e coloro che favoriscono la circolazione dei beni da un luogo all’altro svolgendo un’attività di intermediazione o di trasporto, ma anche le banche e le compagnie assicurative.

Inoltre, sono imprenditori commerciali coloro che svolgono ogni attività ausiliaria e funzionale allo svolgimento di quelle appena elencate (ad esempio, le attività di agenzia, o di deposito, di commissione, di pubblicità e di spedizione).

Un altro presupposto da soddisfare per il fallimento attiene alle

dimensioni dell’impresa e dal volume dei suoi affari. Più nello specifico, l’impresa non può essere dichiarata fallita se:

  • nei tre esercizi precedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento (o dall’inizio dell’attività, se questa è iniziata meno tempo), ha un attivo patrimoniale complessivo uguale o inferiore a € 300.000,00;
  • ha realizzato, sempre in questo lasso di tempo, ricavi lordi uguali o inferiori a € 200.000,00;
  • ha un ammontare di debiti uguale o inferiore a € 500.000,00.

Tali requisiti devono essere soddisfatti congiuntamente, ed è l’imprenditore che deve dimostrare la loro sussistenza. Come già accennato prima, tali presupposti sono rimasti gli stessi anche per poter applicare la procedura di liquidazione giudiziale prevista dal nuovo Codice della Crisi dell’Impresa e dell’Insolvenza. Quindi, al di là del cambio della nuova terminologia da utilizzare, dal punto di vista sostanziale non è cambiato poi molto.

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