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Nella vicenda sottoposta all’esame della Corte numerosi imprenditori erano accusati di avere costituito e preso parte a una associazione a delinquere per la commissione di “frodi carosello” (art. 2 D. Lgs. 74/2000; art. 416 c.p.) nell’attività di commercio di pneumatici, determinando così la distrazione di ingenti somme di denaro dal patrimonio di alcune società e il conseguente fallimento delle stesse (art. 223, comma 2, n. 2 l.f.).

Secondo la tesi dell’accusa gli pneumatici venivano ceduti da società con sede in Italia a società estere con sede in Paesi UE che, successivamente, li rivendevano alle società facenti capo ad uno degli imputati le quali, riapplicando l’IVA (non versata), li cedevano nuovamente, ma sottocosto, alle società da cui erano inizialmente partiti.

Tale complessa operazione produceva l’inevitabile conseguenza che dal patrimonio di alcune delle società coinvolte venivano distratte consistenti somme di danaro, operazione da ritenersi dolosa ai sensi dell’art. 223, comma 2, n. 2 l.f.

La tesi dell’accusa era fatta propria dal Tribunale di Milano, che condannava gli imputati alla pena ritenuta di giustizia. La Corte di appello, pronunciandosi sul gravame proposto dai prevenuti, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava estinti per prescrizione i delitti di associazione a delinquere e di bancarotta preferenziale, e, per l’effetto, rideterminava la pena a carico degli imputati per le residue condotte criminose loro contestate.

Avverso tale decisione ricorrono per cassazione alcuni imputati lamentando – tra i diversi motivi di ricorso finalizzati ad ottenere una clausola assolutoria più favorevole nel merito – la loro totale estraneità alla causazione del fallimento, particolarmente evidente sul piano della proiezione soggettiva del dolo “di distrazione”.

La prospettazione difensiva, ritenuta infondata dalla Corte, costituisce l’occasione per riaffermare importanti dicta circa la natura dell’elemento soggettivo del concorrente extraneus nel delitto di bancarotta impropria per effetto di operazioni dolose.

Le argomentazioni della Corte si aprono con alcune riflessioni sull’operazione fraudolenta denominata “frode carosello”.

Nell’esecuzione di queste il soggetto importatore è evidentemente destinato a essere sistematicamente svuotato di risorse economiche, in ragione delle vendite sottocosto e dell’accumulo del debito IVA, trovandosi così “votato” al fallimento. Dell’indebitamento fiscale beneficia il soggetto che si trova all’inizio e alla fine del “carosello”, il quale riacquistando i medesimi beni ad un prezzo inferiore di quello di partenza, è in grado di collocarli sul mercato a prezzi competitivi.

Inoltre, nei singoli passaggi dei beni ogni intermediario fruisce di una parte del disavanzo garantito dall’evasione dell’IVA, sia sotto il profilo del risparmio di prezzo da parte dell’acquirente finale, sia sotto forma di distrazione delle somme incassate da parte del soggetto importatore.

L’espediente fraudolento raggiunge l’effetto finale indipendentemente dal trasferimento (reale o fittizio) dei beni: purché la società italiana importatrice trattenga l’IVA senza versarla, consentendo così di “spalmare” i benefici sugli altri protagonisti del “carosello”.

Come la prassi ha avuto modo di dimostrare, la presenza di società cartiere inattive, totalmente insolventi verso l’Erario – destinate, nella maggior parte dei casi, a succedere rapidamente nel tempo l’une alle altre – assume valore sintomatico dell’esistenza di una frode IVA nei termini indicati.

Date queste brevi premesse la Corte è lapidaria nell’affermare che, poiché il “carosello” si fonda sull’accumulo del debito IVA da parte della società cartiera importatrice, “tutti i protagonisti ne sono necessariamente consapevoli, così come, del resto, sono consapevoli delle vendite sottocosto che la cartiera effettua in favore del soggetto economico che poi immette effettivamente i beni sul mercato”.

Ciò diviene particolarmente significativo sul versante della partecipazione dell’extraneus alla causazione del fallimento della società che funge da cartiera. Dal momento che l’essenza della frode IVA è costituita proprio dall’endemico stato di insolvenza in capo alla società importatrice, dovuto al debito IVA ed alle vendite sottocosto, “l’avere concorso in tale fraudolento meccanismo determina anche i presupposti oggettivi e soggettivi che qualificano il concorso dell’extraneus nella bancarotta per distrazione”.

Richiamando la più recente giurisprudenza della Sezione (particolarmente significativa, in questa direzione, Cass. Pen., Sez. V, 23 marzo 2010 n. 16579), la Corte ribadisce che nell’accertare gli estremi del concorso in bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo dell’extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni del creditore, non essendo viceversa richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società.

Del resto, ai fini del concorso nella bancarotta fraudolenta per distrazione, non è necessario – come a più riprese statuito dalla Suprema Corte – il previo concerto dell’extraneus con l’amministratore della società fallita, né la volontà di causare un siffatto risultato, essendo sufficiente il dolo generico.

Ciò in quanto la fattispecie di fallimento determinato da operazioni dolose si distingue dalle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale (di cui al combinato disposto dell’art. 223, comma 1; art. 216, comma 1, n. 1, l.f.) in quanto “la nozione di “operazione” postula una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato”.

L’elemento soggettivo che caratterizza la fattispecie di causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose è dunque rappresentato dal dolo generico, che può assumere anche la forma del dolo eventuale: la causazione dolosa del fallimento, prevista dall’art. 223, comma 2, n. 2 prima parte della legge fallimentare, comprende due ipotesi autonome che “dal punto di vista oggettivo, non presentano sostanziali differenze, mentre da quello soggettivo vanno tenute distinte perché, nella causazione dolosa del fallimento, questo è voluto specificamente, mentre nel fallimento conseguente ad operazioni dolose, esso è solo l’effetto – dal punto di vista della causalità materiale – di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione ha accettato il rischio dello stesso”.

 

 

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