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Ho sporto denuncia per il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, il quale aveva condannato la controparte a restituirmi le chiavi della casa in comproprietà del cui possesso sono stato privato. Mi è stata notificata la richiesta di archiviazione del pm: come posso fare opposizione?

È appena il caso di ricordare che l’art. 388 c.p. punisce, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro centotre a euro milletrentadue, praticamente ogni tipo di provvedimento emesso dal giudice, a prescindere dal fatto che si tratti di sentenza oppure di ordinanza: a tal proposito, significativa è l’ultima parte del secondo comma, secondo cui la pena si applica anche a chi elude l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero amministrativo o contabile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero

prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito (in questo senso anche Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 2940 del 17 dicembre 1993).

La norma, dunque, tutela a trecentosessanta gradi l’interesse all’effettività della tutela giurisdizionale; a questo proposito non ci so dubbi: secondo la giurisprudenza (Cass., sent. n. 2559 del 27 ottobre 1993), poiché l’art. 388 c.p. ha lo scopo di tutelare l’autorità delle decisioni del giudice civili costitutive di obblighi civili e assistite da forza esecutiva, anche se provvisoria, il provvedimento del giudice civile di cui si occupa la detta norma può essere costituito, oltre che da una sentenza di condanna, anche da un’ordinanza che sancisca l’adempimento degli obblighi civili di cui è in corso l’accertamento davanti all’autorità giudiziaria.

Secondo la Corte di Cassazione (sent. n. 32846 del 2009), l’elusione dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile può connettersi a un qualunque comportamento da cui derivi la frustrazione delle legittime pretese altrui,

compresi gli atteggiamenti di mero carattere omissivo.

Seppur non del tutto simile al caso prospettato, la Cassazione (Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 16562 del 24 aprile 2007) ha stabilito che integra il reato di cui all’art. 388 c.p. l’elusione dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, che ordini la reintegrazione dell’altro coniuge nel compossesso dell’abitazione coniugale, consistita nell’aver, con azione commissiva, chiuso a chiave le porte blindate interne dell’appartamento, impedendo così la libera disponibilità dell’immobile.

La Cassazione ha ricordato che, per la configurabilità del reato di cui all’art. 388 del codice penale, è sufficiente un solo atto che riveli la consapevole volontà di eludere il dovere di rispettare le decisioni del giudice, attesa la natura di reato istantaneo della fattispecie (Cassazione penale, sez. VI, sentenza 01/09/2010 n. 32562). Questa sentenza ci fa capire che non occorre un disegno criminoso affinché si integri l’ipotesi delittuosa, ma è sufficiente il mancato compimento di un singolo atto (il reintegro del possesso per mancata consegna delle chiavi).

Sempre a proposito dell’elemento soggettivo e dell’integrazione dell’elusione, la Corte di Cassazione (tra le tante, sent. n. 2925 del 2000) ha affermato che, ai fini della sussistenza del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, il termine «elude» va inteso in senso ampio, comprensivo di qualsivoglia comportamento, positivo o negativo, senza che l’elusione dell’esecuzione del provvedimento debba essere necessariamente caratterizzata dall’uso di scaltrezza o da condotta subdola, onde anche l’inazione dell’obbligato può assumere rilievo, ogni volta che l’esecuzione del provvedimento richieda la sua collaborazione.

Per la precisione, però, va detto che la semplice inattività è rilevante ai fini del reato di cui all’art. 388 c.p. solamente se è strettamente necessaria la collaborazione della persona condannata dal giudice: se il conseguimento del risultato non dipende direttamente dal comportamento dell’obbligato, la mera inerzia di quest’ultimo non è di per sé atta a realizzare alcuna elusione (Cass., sent. n. 1054 del 1999).

Dal punto di vista processualpenalistico, va ricordato che, ai sensi dell’art. 410 c.p.p., l’opposizione all’archiviazione deve indicare, a pena di inammissibilità della stessa, l’oggetto dell’investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova. Nel caso di specie, tuttavia, non è possibile rinvenire (almeno in base alle informazioni fornite) ulteriori indagini da suggerire alla Procura, in quanto la questione è meramente giuridica.

È comunque opportuno ricordare che anche l’opposizione alla richiesta di archiviazione che non contenga l’indicazione dell’oggetto dell’investigazione suppletiva e dei relativi elementi di prova non preclude al Gip (che, peraltro, ove non condivida le conclusioni del pubblico ministero ha comunque facoltà di ordinare l’imputazione coatta ovvero di ordinare le indagini suppletive) di fissare l’udienza in camera di consiglio a norma dell’art. 409 comma secondo c.p.p., assicurando così alla persona offesa la medesima forma di tutela prevista dalla direttiva dell’art. 2, n. 51, della legge delega al codice di procedura penale, che prevede la facoltà della persona offesa dal reato di formulare al giudice istanza motivata di fissazione dell’udienza preliminare.

Pertanto, anche quando l’opposizione sia basata esclusivamente su valutazioni di fatto e su ragioni di diritto, diverse da quelle poste a base della richiesta di archiviazione avanzata dal magistrato del pubblico ministero, l’atto di opposizione è sempre potenzialmente valido e idoneo a impedire la pronunzia di un decreto di archiviazione de plano e ad indurre, invece, il giudice a fissare l’udienza camerale, con il conseguente esame delle ragioni della persona offesa in contraddittorio con le altre parti (Corte Cost., sent. n. 97/95).

Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avvocato Mariano Acquaviva

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