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Il contratto di mutuo e il contratto di apertura di credito su conto corrente spesso sono intimamente e indissolubilmente legati tra di loro: infatti, frequentemente nello stesso momento in cui la Banca eroga la somma mutuata, questa (detratte le spese e competenze varie) confluisce sul conto corrente, ripianandone le presunte posizioni debitorie.


Si parla di presunte esposizioni in quanto, molte volte, nei contratti di apercredito stipulati ante delibera CICR del 9 febbraio 2000 (entrata in vigore il 22 aprile del 2000) ed ancor di più prima della Legge 154/92 (entrata in vigore l’8 luglio 1992), dalla ricostruzione dell’esatto dare-avere, effettuata a seguito dell’epurazione derivante dalle nullità originarie parziali, il correntista è o a credito, o debitore, di somme estremamente ridotte.


La circostanza è data, oramai, come pacifica dalla S.C. che non esita ad affermare che:


(…) Tale affermazione è del tutto conforme all’orientamento espresso da questa Corte secondo cui “una volta esclusa la validità della clausola sulla cui base sono stati calcolati gli interessi, soltanto la produzione degli estratti a partire dall’apertura del conto corrente – considerato che, in virtù dell’unitarietà del rapporto, da tale momento decorre la prescrizione del credito di restituzione per somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi (Cass. 9 aprile 1984, n. 2262) – consente, attraverso una integrale ricostruzione del dare e dell’avere con l’applicazione del tasso legale, di determinare il credito della banca, sempreché la stessa non risulti addirittura debitrice, una volta depurato il conto dalla capitalizzazione degli interessi non dovuti. (…) Cassazione Civile, sez. I, 25 novembre 2010, n. 23974.


Nel caso esaminato nella sentenza 13 marzo 2014, n. 789 del Tribunale di Taranto (Dott. Claudio Casarano) il contratto di apercredito utilizzato con scoperto in conto corrente presentava, durante il rapporto, una serie di saldi passivi extrafido che venivano consolidati con quattro differenti mutui che, di volta in volta, portavano lo scoperto nei limiti dell’affidamento.


La sentenza, con una motivazione assolutamente coerente con i principi consolidati della giurisprudenza specializzata, afferma il principio secondo il quale rideterminando le poste passive di un conto corrente, alla luce della pronunzia di nullità di clausole originariamente invalide (interessi ultralegali determinati secondo il c.d. uso piazza, anatocismo, cms, valute fittizie, etc.), il saldo ricalcolato che si viene a configurare a favore del correntista deve essere compensato con le rate di mutuo, essendo quest’ultimo negozio stipulato esclusivamente al fine di ripianare il presunto scoperto.


Nel caso in esame il quarto mutuo è stato, poi, dichiarato inefficace in quanto a quella data, in concreto, non risultava più alcuna passività oltre il limite dell’affidamento, venendo così meno la finalità per la quale il mutuo era stato concesso.


In particolare il Tribunale statuisce che:


“Trattandosi di ricostruire il saldo di un contratto di conto corrente opera appieno la compensazione ex art. 1853 c.c.; nel senso che si dovranno eliminare quelle poste passive che sono il frutto dell’applicazione di clausole nulle.


Non solo ma se, a seguito del ricalcolo delle partite di dare ed avere, risulti che ad una certa data, per effetto dell’eliminazione di interessi trimestrali, commissioni di massimo scoperto, etc., doveva risultare una posta attiva a favore del cliente, si deve operare la sua compensazione ex art. 1853 c.c. con eventuali rate non risultate pagate.


La forma di compensazione che si viene a configurare è la c.d. compensazione impropria e non quella ex art. 1241 c.c., che invece riguarda a rigore i crediti derivanti da rapporti distinti.


La prima forma di compensazione a differenza della seconda è sempre ammessa, anche d’ufficio, trattandosi di una ricostruzione contabile del dare ed avere relativi ad un unico rapporto (unica causa) ovvero rapporti distinti ma collegati.


Sotto altro profilo la soluzione preferita, fortemente avversata dalla difesa della banca anche nelle conclusionali, è una conseguenza del riverberarsi della nullità della clausola di conto corrente sul collegato contratto di mutuo, stipulato, si ricordi, per azzerare delle sue passività.


In secondo luogo appare coerente la soluzione preferita con il carattere dichiarativo della pronunzia della nullità di clausole di conto corrente, che implica l’eliminazione della fonte delle passività maturate illecitamente e per la quale pronunzia non opera neanche il limite della prescrizione per l’azione di ripetizione ex art. 1422 c.c.


In altri termini il controcredito riconosciuto al correntista per effetto dell’eliminazione dal mondo giuridico delle clausole nulle e dei suoi effetti non diviene esigibile solo con la pronunzia di nullità; la quale infatti non è costitutiva ma, come è noto dichiarativa”.


La Banca, a ben vedere, in casi simili a quello esaminato in sentenza, non consegna al mutuatario neanche un euro ma si accredita una forte somma consolidando una posizione creditoria illegittima, molte volte abbinata al conseguimento di garanzie immobiliari.


Ma, com’è noto, il mutuo è un contratto reale e la consegna della cosa mutuata è l’elemento principale e perfezionativo.


Non essendoci reale “traditio” delle somme mutuate il contratto di mutuo perde i suoi connotati codicisticamente tipici e diventa “altro” (Mastropaolo, I contratti reali, Il mutuo, Sez. I , n. 1 e n. 1b, in Tratt. Dir. Civ. diretto da Sacco, Torino, 1999).


Anche il Tribunale di Brindisi, G.U. Dott. Palmieri, sentenza del 4 dicembre 2006 (in Foro Italiano – 2007, I, pag. 1949 con nota redazionale) coglie l’invalidità di un simile negozio e così statuisce:


“… va dichiarata la nullità del contratto di mutuo stipulato con la sola finalità di azzeramento del saldo negativo di conto corrente, frutto di illecita applicazione di interessi ultralegali, spese e commissioni non dovute e capitalizzazione trimestrale di interessi a debito”.


Infatti, le somme mutuate non sono mai uscite dal patrimonio del mutuante: sarebbero servite a pagare un debito che, però, è inesistente.


Conseguentemente in un contratto simile difetta la causa, intesa come interesse concretamente perseguito dalle parti o funzione del singolo e specifico contratto posto in essere, dovendosi ritenerlo nullo per difetto di causa ex art. 14181325, n. 2 c.c.


Con la predetta operazione, quindi, il contratto di mutuo – di fatto – si snatura e si trasforma da contratto reale in contratto consensuale e, pertanto, la differenza con il contratto di apertura di credito, che è contratto consensuale, sfuma e si annulla.


Siamo innanzi a un “monstrum” contrattuale teso solo a legittimare e consolidare un “non dovuto”.


Senza la reale consegna o, comunque, reale messa a disposizione delle somme mutuate questo atipico contratto di mutuo si evolve o, per gli scopi perseguiti, è appropriato dire che degenera in un ibrido costituito dalla fattispecie complessa di un mutuo oneroso consensuale innestato su un contratto di apertura di credito su conto corrente (e in tal senso vedi anche Teti, Il Mutuo, n. 6, in Trattato di diritto privato, dir. da Rescigno, XII, Torino, 1985).


Correttamente il Tribunale di Taranto opera d’ufficio la c.d. compensazione impropria trattandosi di una ricostruzione contabile del dare ed avere relativa ad un unico rapporto (unica causa) anche se complesso.


La maggior parte delle volte siamo, peraltro, di fronte a contratti di mutuo simulati e pertanto inefficaci tra le parti, ai sensi dell’art. 1414, comma I, c.c., concretizzando gli stessi soltanto la concessione di una garanzia reale (imposta dalla Banca) per un presunto debito preesistente.


La Banca usa tale espediente per beneficiare del più favorevole regime riservato ai titolari di garanzie reali (cfr. A. Cesaroni, nota a Cass. 29 settembre 1997, n. 9520, in Fallimento 1998, 688, che giustamente ricorda come la giurisprudenza è concorde nel censurare tale atteggiamento); spesso essa adopera impropriamente il contratto di mutuo con uno scopo ben preciso distraendo le somme per il ripianamento di presunte scoperture di conto corrente.


La Giurisprudenza più volte espressasi sull’argomento, in caso di contratto di mutuo fondiario, garantito da ipoteca su un bene del terzo proprietario, con il quale una banca concede al cliente la disponibilità di una somma di denaro che il mutuatario utilizza immediatamente per adempiere un preesistente debito del terzo datore di ipoteca verso la banca stessa, ha ritenuto ricorrere la simulazione qualora risulti che l’effettiva volontà delle parti era diretta non già alla conclusione di un mutuo fondiario ipotecario ma alla conclusione di una diversa operazione, assistita da costituzione di garanzia reale[1].


La nullità per difetto di causa di un mutuo è stata espressamente dichiarata dalla Corte di Cassazione civile, sez. I, dell’ 8 aprile 2009, n. 8564, risultando accertata la mancata ultimazione dei lavori di un complesso edilizio per la quale il mutuo era stato concesso, perché l’ accordo appariva ab initio incentrato sul pagamento di debiti preesistenti del mutuatario.



A riguardo, va segnalata Corte d’Appello Bologna del 27 febbraio 1976, in Giur. Mer. 1978, II, p. 55, che ha ritenuto:


“simulata una operazione di credito fondiario effettuata non già al fine di erogare la somma mutuata, ma unicamente per accreditare al mutuatario figurativamente l’importo provvedendo immediatamente a stornarlo, compensandolo con il preesistente debito chirografario del cliente”.


Nello stesso senso, Tribunale di Cagliari, 26 febbraio 1990, in Riv. Giur. Sarda 1991, 737:


“ Il contratto di mutuo fondiario, garantito da ipoteca su un bene del terzo proprietario, con il quale una banca concede al cliente la disponibilità di una somma di denaro che il mutuatario utilizza immediatamente per adempiere un preesistente debito del terzo datore di ipoteca verso la banca stessa, deve considerarsi simulato qualora risulti che l’effettiva volontà delle parti era diretta non già alla conclusione di un mutuo fondiario ipotecario ma alla realizzazione di una diversa operazione, assistita da costituzione di garanzia reale”.


Il Tribunale di Latina – Sezione distaccata di TERRACINA, con Sent. 11 agosto 2008 – Est. Perinelli, (in www.studiotanza.it) correttamente statuisce che:


“Qualora il contratto di mutuo fondiario venga utilizzato non già al fine di erogare la somma mutuata ma per ripianare debiti nei confronti della banca mutuante e sostituire i debiti chirografari con altri di pari importo assistiti da garanzie reali e personali, l’operazione non è meritevole di tutela in quanto il contratto di mutuo viene utilizzato non già per concedere un finanziamento ma per costituire una ipoteca a garanzia di un debito preesistente. La fattispecie appare quindi viziata sotto il profilo causale, in quanto la causa concreta di garanzia è incompatibile con il tipo legale del mutuo, e viziata sotto il profilo causale ed affetta da nullità ex art. 1418 cod. civ.


Tutto ciò comporta la nullità degli impugnati contratti di mutuo, così come descritti in narrativa, per simulazione nonché, subordinatamente, anche ai sensi e per gli effetti degli artt. 1325, 1343 e 14182 c.c., per difetto ovvero illiceità della causa, con l’effetto di non produrre alcun effetto tra le parti e la non debenza di ogni e qualsivoglia pretesa della banca.


I mutuatari, inoltre, nella maggior parte dei casi non hanno mai dato specifiche indicazioni alla Banca di impiegare la somma mutuata per estinguere un precedente presunto debito: sovente siamo innanzi alla censurabile iniziativa unilaterale di una Banca che dispone, in totale autonomia, di somme concesse a titolo di mutuo e in totale assenza del requisito della consegna, pur anche nella forma, non materiale, della giuridica disponibilità.


Il Tribunale di Taranto ha individuato la reale natura giuridica della vicenda negoziale: essa, infatti, priva di alcuni requisiti principali del mutuo, è costituita da una fattispecie contrattuale complessa che non consente alcun rilievo di autonomia ma in cui una atipica forma di contratto di mutuo conosce e assorbe i contenuti del contratto di apertura di credito su cui si innesta e a cui è inscindibilmente collegata, permettendo l’applicazione dell’istituto della compensazione.


Ebbene, appare palese il “collegamento negoziale” tra il contratto di apercredito e quello di mutuo, costituendo in effetti un unico e più complesso rapporto bancario[2].


Per approfondimenti:


  • La difesa nel contratto di conto corrente e di mutuo, Altalex Formazione.


(Altalex, 22 aprile 2014. Nota di Antonio Tanza)


_______________


[1] Principio questo a cui si allinea la Cassazione civile , 25 Marzo 1999, n. 2801 sez. I “Non comporta alcuna contraddizione la sentenza che dichiari l’inefficacia nei confronti del fallimento di atti sotto il profilo di fattispecie revocatorie di cui all’art. 67 comma 1 n. 2, ovvero n. 3 l. fall. nel contempo dichiarando la simulazione di singoli atti (fattispecie riguardante il ripianamento di scoperto di conto corrente del fallito da parte di un terzo, genero del fallito, attraverso un meccanismo solutorio che ha previsto la erogazione di un mutuo fondiario a favore di quest’ultimo, con relativa iscrizione ipotecaria, il cui importo non veniva erogato in contanti ma versato su di un libretto al portatore, consegnato alla banca per ripianare lo scoperto di conto corrente del fallito)”.


[2] CANNELLA , nota a Cassazione civile , 25 Marzo 1999, n. 2801 sez. I, Banco Napoli c/ Fall. Nappi e altro, in Gius. Civ. 2000, I, 1801, “ … La posizione della Suprema Corte è netta anche in tema di garanzia ipotecaria, ed è su questo terreno che si inizia a sviluppare la possibilità di estensione della revoca a negozi collegati, quando afferma che l’ipoteca che sia iscritta dalla banca in sede di apertura di credito concessa al cliente già debitore per saldo passivo relativo ad altro contratto regolato in conto corrente (saldo passivo che non si estingue per compensazione, dato che l’apertura di credito non costituisce un “saldo attivo”), è qualificabile come garanzia di detta preesistente obbligazione, e come tale ricade nelle previsioni dell’art. 67, primo comma, della legge fallimentare in presenza di simulazione parziale, quando cioè le parti abbiano voluto soltanto tutelare quell’obbligazione anteriore, senza creare ulteriore disponibilità ovvero in presenza di collegamento negoziale, che evidenzi l’intento dei contraenti di considerare la nuova provvista come già utilizzata dall’accreditato per l’importo corrispondente al precorso debito”.

 

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