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Il termine di prescrizione de 36 mesi decorre dalla data di presentazione dell’istanza “solo ove la stessa sia corredata di tutta la documentazione necessaria alla sua definizione”. In caso contrario parte dal momento in cui è stata completata a seguito delle richieste istruttorie presentate dall’ente. Con questa motivazione il Tar di Roma, con la sentenza 7822/2023 ha accolto il ricorso presentato da una società contro il Comune di Ardea in merito a una vicenda che riguardava un’istanza di condono presentato negli anni 80 cui si sommava la richiesta di pagamento di oneri concessori avvenuta una decina di anni più tardi.

Tutto nasce nel 1986 quando viene presentata domanda di condono edilizio. Poi un’altra istanza di condono nel 1995 (per campeggio realizzato nel 1975). I rappresentanti della società hanno quindi chiesto l’intervento del Tar per l’accertamento «dell’intervenuta prescrizione del diritto del Comune ai conguagli richiesti o comunque per l’accertamento in rettifica degli importi inesattamente quantificati per errori aritmetici e per errata applicazione dei criteri normativi di calcolo». Nel 2012 l’azienda ha impugnato le note con cui l’amministrazione ha determinato gli importi spettanti per conguaglio oblazione e oneri concessori riferiti a ciascuna delle pratiche. Nel ricorso l’azienda ricorrente «eccepisce la prescrizione delle somme chieste dall’amministrazione in quanto sarebbero a suo dire decorsi sia il termine di 36 mesi previsto per il conguaglio dell’oblazione dall’art. 35, co. 17, l. n. 47/1985, applicabile in parte qua anche al secondo condono (l. n. 724/94), sia quello decennale per il conguaglio degli oneri concessori».

I giudici sottolineano che il Comune avrebbe riconosciuto la completezza della documentazione «per entrambe le istanze nelle date, rispettivamente, del 24.1.1995 e dell’1.4.1998, con conseguente maturazione della prescrizione per ciascuna delle pretese». Per i magistrati amministrativi il ricorso è fondato. «Per consolidata giurisprudenza il termine breve di prescrizione di 36 mesi fissato dall’art. 35 l. n. 47/85 decorre dalla data di presentazione dell’istanza “solo ove la stessa sia corredata di tutta la documentazione necessaria alla sua definizione – scrivono nella sentenza -: dovendosi altrimenti collocare il predetto dies a quo nel momento in cui quest’ultima sia completa, anche a seguito delle richieste istruttorie formulate dall’ente”». Il medesimo criterio di individuazione del dies a quo, rimarcano ancora, «è valevole anche per la richiesta di conguaglio degli oneri concessori».

Non solo. Nella sentenza viene evidenziato anche un altro aspetto: «La completezza della domanda (sia nel senso del corredo documentale obbligatorio, sia avuto riguardo alle somme dovute) incide sulla decorrenza del termine per la formazione del silenzio assenso (come si è detto) e ai fini della riconosciuta possibilità all’amministrazione “di verificare la congruità dei versamenti effettuati, chiedendone, appunto, l’eventuale integrazione (‘conguaglio’) laddove non satisfattivi”». Risultato: «la prescrizione del credito ad eventuali conguagli presuppone che la pratica di sanatoria edilizia sia definita in tutti i suoi aspetti, senza omissioni documentali suscettibili di alterare la valutazione degli uffici, così da rendere precisamente determinabili, alla stregua dei parametri stabiliti dalla legge». E, nel caso specifico, poiché la società che ha presentato ricorso « ha individuato il dies a quo nelle date del 24.1.1995 e dell’1.4.1998, può dirsi maturata la prescrizione per tutte le somme richieste dall’amministrazione solo nel 2012». Ricorso accolto, annullate le note impugnate e dichiarazione che « ricorrente non è tenuta al pagamento nei confronti del Comune».

 

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