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Proseguiamo nella rassegna: ecco una selezione di alcune sentenze interessanti per le materie dell’edilizia e dell’urbanistica, pubblicate la scorsa settimana. Oltre a un’interessantissima sentenza su un modesto deposito o capanno degli attrezzi (ml 6.00 x 3.50 con altezza variabile da ml 3.00 a ml. 3.30) e piccolo forno familiare, che sono pertinenze non necessitanti del permesso di costruire, gli argomenti oggetto delle pronunce sono:

  • ordine di demolizione a distanza di lungo tempo dalla realizzazione dell’abuso – motivazione rafforzata;
  • diniego del permesso di costruire, necessità di adeguata motivazione;
  • aggiornamento delle tabelle degli oneri concessori: irretroattività;
  • modificabilità di una destinazione urbanistica

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Modesto capanno attrezzi e piccolo forno familiare: non serve il permesso di costruire

 

Come è noto, la nozione di pertinenza urbanistica è meno ampia di quella civilistica e non può consentire la costruzione di opere consistente impatto edilizio, in quanto l’impatto volumetrico incide in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio e, conseguentemente, si rende necessario il rilascio di permesso di costruire.

La nozione di pertinenza urbanistica, in altre parole, richiede che si tratti di opera collegata all’edificio principale in un rapporto di stretta e necessaria consequenzialità funzionale. Il rapporto di strumentalità, pertanto, non può essere frutto sic et simpliciter della destinazione “effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima”, come previsto dall’art. 817, comma 2, c.c., bensì deve, altresì, ontologicamente emergere dalla struttura stessa dell’opera destinata a servizio di quella principale, sì da rivelare un carattere oggettivo e non meramente soggettivo (cfr., tra le molte, TAR Calabria, sez. Reggio Calabria, sent. 24 settembre 2015 n. 900).

Tanto premesso, devono considerarsi mere pertinenze edilizie sottratte al preventivo rilascio del permesso di costruire un piccolo forno ad uso familiare, aperto sui quattro lati e un deposito per gli attrezzi di modeste dimensioni (ml 6.00 x 3.50 con altezza variabile da ml 3.00 a ml. 3.30) in lamiera grecata, imbullonato tramite piastre su una platea di cemento armato di eguali dimensioni, entrambi di remota edificazione.

Viene confermata, perciò, la costante interpretazione giurisprudenziale in virtù della quale ha natura di pertinenza un deposito agricolo di limitate dimensioni posto in termini accessori rispetto ad un immobile principale, con conseguente insussistenza dei presupposti per la demolizione non trattandosi di opera soggetta al previo rilascio di titoli edilizi (cfr., da ultimo, TAR Emilia-Romagna, Parma, sez. I, sent. 15 marzo 2016 n. 91).

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Ordine di demolizione dopo molto tempo dalla realizzazione dell’abuso

 

A lungo la giurisprudenza ha affermato che “il provvedimento demolitorio non necessita di alcuna speciale motivazione sull’interesse pubblico alla demolizione … tenuto conto che l’ordine di demolizione di una costruzione abusiva costituisce atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di questo con gli altri interessi coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione e che nemmeno è configurabile un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana, inibendo tale constatazione all’interessato il potere di dolersi del fatto che l’Amministrazione abbia emanato dopo lungo lasso di tempo dalla conclusione dei lavori i dovuti atti repressivi” (TAR Lazio, Roma, sez. I, sent. 2 aprile 2014, n. 4975).

Tuttavia, in tempi più recenti il Consiglio di Stato ha avuto modo di affermare che occorre “dare conto anche dell’esistenza di un diverso orientamento giurisprudenziale, per vero minoritario, più sensibile alle esigenze del privato, del quale sono espressione, ad esempio, e senza alcuna pretesa di completezza, le sentenze Cons. Stato, sez. VI, n. 2512 del 2015, sez. V, n. 3847 del 2013, n. 883 del 2008 e n. 3270 del 2006 (ma si vedano anche Cons. Stato, sez. IV, n. 2266 del 2011 e 2705 del 2008).

Secondo questo differente orientamento, il notevole periodo di tempo trascorso tra la commissione dell’abuso e l’adozione dell’ordinanza di demolizione, e il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, possono costituire indice sintomatico di un legittimo affidamento in capo al privato, a fronte del quale grava quantomeno sul Comune, nell’esercizio del potere repressivo -sanzionatorio, un obbligo motivazionale “rafforzato” circa l’individuazione di un interesse pubblico specifico alla emissione della sanzione demolitoria, diverso e ulteriore rispetto a quello al mero ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato, in deroga al carattere strettamente dovuto dell’ingiunzione a demolire” (Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 8 aprile 2016, n. 1393).

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Diniego del permesso di costruire: necessità di adeguata motivazione

 

È carente di motivazione il diniego di permesso di costruire fondato su un generico contrasto dell’opera progettata con leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, dovendo invece il diniego stesso soffermarsi sulle disposizioni normative e/o sulle previsioni di riferimento contenute negli strumenti urbanistici che si assumano ostative al rilascio del titolo, in modo da consentire all’interessato, da un lato, di rendersi conto degli impedimenti che si frappongono alla realizzazione dell’opera e, dall’altro, di confutare in giudizio, in maniera pienamente consapevole ed esaustiva, la legittimità del provvedimento impugnato.

Di conseguenza, la determinazione reiettiva del permesso di costruire, quando si limita ad un’apodittica affermazione di principio sulla contrarietà dell’attività edilizia ad uno strumento urbanistico quale il piano di lottizzazione, risulta viziata da difetto di motivazione, atteso che l’obbligo di motivazione legislativamente imposto va declinato in adeguate argomentazioni che chiariscano la non compatibilità dell’opera con le singole prescrizioni di piano preposte a tutela dell’ordinato sviluppo del territorio.

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Aggiornamento delle tabelle degli oneri concessori: irretroattività

 

Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, fondato sullo stesso tenore letterale dell’art. 16 del D.P.R. 6 Giugno 2001 n° 380 (“la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al Comune all’atto del rilascio del permesso di costruire” e “la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto del rilascio…”), i contributi concessori devono essere stabiliti al momento del rilascio del permesso edilizio; a tale momento occorre dunque avere riguardo per la determinazione della entità dell’onere facendo applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del titolo edilizio.

Da tale affermazione di principio si trae il corollario della irretroattività delle determinazioni comunali a carattere regolamentare con cui vengono stabiliti i criteri generali e le nuove tariffe e modalità di calcolo per gli oneri concessori ribadendosi l’integrale applicazione del principio “tempus regit actum” e, quindi, la irrilevanza ed ininfluenza di disposizioni tariffarie sopravvenute rispetto al momento del rilascio della concessione edilizia (cfr. ex multis: T.A.R. Puglia Lecce, III Sezione, 15 gennaio 2013 n° 49).

Di conseguenza, deve ritenersi che le delibere comunali che dispongono l’adeguamento degli oneri concessori possano trovare applicazione esclusivamente per i permessi rilasciati a far tempo dall’epoca di adozione dell’atto deliberativo e non anche per quelli rilasciati in epoca anteriore.

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Modificabilità di una destinazione urbanistica

 

La discrezionalità del Comune nella disciplina del proprio territorio è assai ampia, non necessita di regola di puntuale motivazione delle singole scelte (essendo sufficiente l’esplicitazione delle ragioni di fondo che sorreggono il nuovo assetto) e non è vincolata in linea di principio dalle zonizzazioni e localizzazioni preesistenti (cfr. TAR Umbria, sent. n. 402/2015).

Di per sé una destinazione precedentemente impressa a un’area non implica affatto che quell’area mantenga all’infinito quella destinazione, essendo nella natura della pianificazione urbanistica tener conto delle mutazioni medio tempore intervenute nel più ampio contesto in cui l’area medesima si inserisce, nonché delle sopravvenute esigenze da soddisfare (cfr. TAR Emilia Romagna – Bologna, sez. I, sent. n. 654/2015).

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Fonte della foto: www.boxtosello.com

 

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