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Anche se la richiesta veniva dal suo partito – Fratelli d’Italia – il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha detto un perentorio no: non verrà applicata nelle carceri italiane rigorosamente la legge anti-fumo. Perché la sola libertà che hanno i detenuti è quella di fumarsi una sigaretta in cella, anche se nei pressi ci sono agenti della polizia penitenziaria cui potrebbe dare fastidio. D’altra parte anche ai condannati a morte nella storia si concedeva un ultimo desiderio, e spesso era proprio quello: fumarsi un’ultima sigaretta. A chiedere lo stop del fumo in carcere a Nordio era stato l’ex capogruppo di Fratelli di Italia nel consiglio regionale della Puglia, Ignazio Vullo, ora diventato senatore. Al ministro della Giustizia aveva segnalato una richiesta di un sindacato di polizia penitenziaria, il Sappe, che lamentava come «nonostante le leggi nazionali ed europee in vigore vietino il fumo in ogni ambiente lavorativo e, in alcuni casi, anche all’aperto, i poliziotti penitenziari verrebbero costretti dall’amministrazione penitenziaria ad inalare il pericoloso fumo passivo rilasciato dalle sigarette dei detenuti che sarebbero autorizzati a comprarle e a fumarle nelle zone detentive alla presenza di poliziotti e detenuti medesimi per l’intero turno lavorativo, con tutti i gravi danni che ciò comporterebbe alla loro salute». La risposta scritta di Nordio è stata netta, spiegando che si toglie la libertà di sigaretta dietro le sbarre sarà ancora più difficile mantenere l’ordine in carcere. «Quanto alla doglianza circa il fumo passivo», scrive il ministro della Giustizia, «va osservato che all’interno dei penitenziari il consumo di tabacco rappresenta una delle modalità compensative cui la popolazione reclusa ricorre a fronte del disagio derivante dallo stato di privazione materiale e psicologica connesso alla condizione detentiva; ragion per cui un intervento drasticamente riduttivo della possibilità di fumare potrebbe avere effetti destabilizzanti».

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