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Le opere non ultimate entro i termini imposti dalla legge per il
rilascio del condono edilizio a causa di
intervenuti provvedimenti emanati dall’Autorità
amministrativa o giurisdizionale, possono essere sanate
successivamente qualora sussistano i presupposti per
l’accoglimento.

Si tratta di una misura concessa in via eccezionale a favore del
soggetto che abbia rispettato tali provvedimenti, mentre non si
estende a colui che abbia invece violato i sigilli per ultimare
l’opera abusiva.

Abusi ultimati oltre i termini: sanabili a determinate
condizioni

A spiegarlo è la Corte di Cassazione con la
sentenza del
28 maggio 2024, n. 20852
, che ha rigettato il ricorso
proposto per la sospensione e revoca dell’ordine di demolizione –
disposto con sentenza di condanna divenuta irrevocabile – per
diverse opere abusive, realizzate senza titoli in area sottoposta a
vincolo paesaggistico, oggetto di istanza di condono ai sensi della
Legge n. 724/1994 (Secondo Condono Edilizio).

In particolare, la normativa consente la sanatoria di
immobili abusivi che rispettino determinate caratteristiche
volumetriche, e che siano stati ultimati entro la data del 31
dicembre 1993. Essa segue le regole già disposte per la legge
di cui al Primo Condono (Legge n. 47/1985), il cui art. 43
dispone che:

Possono ottenere la sanatoria le opere non ultimate per
effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali
limitatamente alle strutture realizzate e ai lavori che siano
strettamente necessari alla loro funzionalità. Il tempo di
commissione dell’abuso e di riferimento per la determinazione
dell’oblazione sarà individuato nella data del primo provvedimento
amministrativo o giurisdizionale. La medesima disposizione per
determinare l’oblazione è applicabile in ogni altro caso in cui i
suddetti provvedimenti abbiano interrotto le attività
edificatorie”.

Tale concessione è ammessa in via eccezionale
per consentire la condonabilità delle opere che non siano state
ultimate entro i termini a causa di intervenuti provvedimenti,
dell’Autorità amministrativa o giurisdizionale, che siano stati
rispettati dal soggetto interessato.

Si riserva pertanto un trattamento di favore a colui che abbia
rispettato il provvedimento, che non può essere però applicato a
chi invece abbia continuato la realizzazione delle opere abusive
violando i sigilli imposti.

Prosecuzione indebita e frazionamento artificioso: condono
inammissibile

Nel caso in esame, si afferma che le opere oggetto di istanza di
secondo condono sarebbero state ultimate al
rustico
entro i termini stabiliti, mentre i lavori
conclusivi di rifinitura e completamento sarebbero stati
perfezionati solo nel 1998 in ragione del sequestro preventivo
disposto dalle Autorità nel 1990.

In virtù di ciò, il ricorrente ritiene che sarebbe applicabile
la disciplina di cui all’art. 43 della Legge n. 47/1985, e che, ad
ulteriore sostegno della tesi, sulla richiesta di condono si
sarebbe formato il silenzio-assenso devolutivo
previsto per gli abusi in aree vincolate dall’ex art. 146 del
D.lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del
paesaggio
).

Da quanto si apprende negli atti, tuttavia, è emerso che il
soggetto, in seguito al sequestro, abbia continuato i lavori
nell’opera abusiva, peraltro realizzando un ampliamento, per il
quale è stata successivamente richiesta istanza di Terzo Condono
(Legge n. 326/2003), che poi è stato demolito.

Si fa presente innanzitutto che non è possibile
frazionare le opere in diverse istanze di condono,
pertanto le stesse devono essere considerate in maniera unitaria.
Da ciò si deduce che l’opera, da come rileva con ampliamento nel
1998, non è stata in realtà conclusa per la data del 31 dicembre
1993.

La concessione di cui all’art. 43 della legge sul primo condono,
peraltro, è applicabile esclusivamente ai casi nei quali i
provvedimenti siano stati rispettati, cosa non avvenuta nel caso in
questione, che ha visto il soggetto violare i sigilli per
proseguire, ampliare e ultimare l’opera.

Anche a volere applicare la norma, la sanatoria dell’opera
sarebbe stata ammissibile limitatamente alle strutture realizzate
fino a quella data ed ai lavori destinati a consentirne la
funzionalità, con esclusione di ogni altro intervento
strutturale.

La mancata ultimazione dell’opera entro i termini basterebbe per
escludere la possibilità di condono, ma la sanatoria non può essere
ammessa anche per via del fatto che l’art. 146 del Codice dei beni
culturali – in merito agli abusi realizzati in area sottoposta a
vincolo paesaggistico – dispone che, qualora la Soprintendenza non
dovesse esprimere un parere entro i termini imposti dalla legge, si
andrebbe a formare sull’istanza di condono il silenzio-rifiuto, al
contrario di quanto ritenuto dal ricorrente. Il ricorso deve quindi
essere respinto.

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